Marco Valerio Marziale nacque in Spagna a Bilbili fra il 38 e il 41 d.C. da una famiglia modesta. Nel 64 si trasferì a Roma, dove, dopo essere stato accolto da Seneca e Lucano, in seguito condannati al suicidio, si trovò sperduto, andò incontro a profonde delusioni e non riuscì mai a liberarsi dalla condizione di "cliente".
In seguito alla pubblicazione del Liber de spectaculis, in onore dell'inaugurazione dell'anfiteatro Flavio, si affermò come scrittore. Sotto l'impero di Domiziano divenne tribuno e venne ammesso al rango equestre; a questo periodo risalgono i rapporti con Quintilliano, Giovenale, Plinio il Giovane e Silio Italico.
Egli, tuttavia, non riuscì mai a raggiungere un'agiata condizione di vita, tanto che, alla morte di Domiziano, dopo aver cercato invano di ottenere i favori dei nuovi potenti, decise di tornare a Bilbili, dove morì tra il 101 e il 104 d.C..

Negli Xenia, Marziale scrive una sorta di catalogo di vini, per altro ben assortito e di grande valore documentario.
Molti sono quelli presenti, descritti con minuta attenzione, ma quello che fra tutti primeggia è il  Falerno, famoso vino rosso:

Falernum CXI (epigrammaton libri)
"De sinuessanis venerunt Massica prelis:
condita quo quaeris consule? Nullus erat."

Falerno
"Questo vino massico è venuto dai torchi di Sinuessa.
Mi chiedi sotto quale console fu imbottigliato? Non c'erano ancora i consoli."

Il Falerno è il re dei vini, fatto di mulsum, passito proveniente da Creta e miele attico, cioè miele molto pregiato.
Sotto il titolo "Falernum" si celebra il Massico, proveniente dal monte Massico, a sud di Sinuessa; il suo pregio deriva anche dalla sua mitica vecchiaia, che risale addirittura all'età dei re dell'antica Roma.
Una particolare caratteristica di questa descrizione di vini è l'assenza quasi completa di quelli greci.
Orazio aveva cercato di elogiare attraverso i suoi scritti i vini italiani; mentre per Marziale il vino è un tema trascurato ma non marginale.
Un altro elemento che accomuna i due autori è il senso della misura:

(X 47):
"Convictus facilis, sine arte mensa;
nox non ebria, sed soluta curis."

"Una mensa senza raffinatezze in compagnia cordiale;
notti senza ubriachezza ma libere d'affanno."

Il vino infatti, deve essere bevuto con moderazione per entrambi: Marziale sembra non preoccuparsene troppo, Orazio sembra propenso a violare la misura, purchè si tratti di occasioni particolari.
In Marziale il vino è legato alla gioia di vivere poichè è utile per scacciare l'ombra della morte, ma non è solo questo, è anche ispirazione poetica.
Infatti il poeta efferma che se beve risulta più facilmente ispirato.
Dunque Marziale non propone in modo rigido la misura, ma disdegna l'ubriachezza cronica che risulta ancora più ripugnante nelle donne.
Negli Epigrammata, il Falerno ricopre un ruolo rilevante, primeggiando su tutti gli altri vini.
Marziale attribuisce grande importanza agli strumenti per il trasporto del vino e dell'acqua da utilizzare per la miscela, un esempio è il nimbus, utilizzato per spruzzare l'acqua.
Normalmente, contrariamente agli oggetti dell'antichità, si riscontra la mancanza di ornamenti.
Un altro elemento del convito, che attirava Marziale, era la bellezza del coppiere (puer delicatus):

(VIII 55 [56])

"Adstabat domini mensis pulcherrimus ille
marmorea fundens nigra Falerna manu,
et libata dabat roseis carchesia labris
quae poterant ipsum sollicitare Iovem"

"Stava  il giovane bellissimo presso la mensa del padrone, versando il nero Falerno con la mano candida come il marmo, e offriva le coppe delibate dalle sue labbra rosee, che avrebbero potuto tentare lo stesso Giove."

Qui l'autore, mentre rimpiange la generosità di Mecenate, pone l'amore del coppiere tra i piaceri offerti ai poeti.
Da notare il contrasto tra la mano bianchissima del fanciullo e il colore scuro del Falerno, la scena è avvolta da una grazia impalpabile e da uno scenario surreale.