Carm., I, 9 Vides
ut alta stet nive candidum |
Odi, I, 9 Laggiú si staglia il Soratte, vedi?, con candido manto di neve. Stremati, faticano i rami a reggere il peso. Per il gelo tagliente, fiumi e ruscelli si sono rappresi. Dissolvi il freddo nutrendo la fiamma con larga provvista di ceppi e senza risparmio attingi, Taliarco, vino di quattr'anni, puro, dall'orcio sabino a duplice ansa. Il resto, rimettilo in mano agli dèi: bastò che abbattessero i venti in lotta sul gran ribollire marino, perché d'incanto i cipressi non piú s'agitassero, e gli orni vetusti. Che cosa t'attenda in futuro, rinuncia a indagare: qualunque altro giorno t'aggiunga il destino, tu devi segnarlo all'attivo. Sei giovane, non disprezzare gli amori gentili, le danze, fin tanto che il tuo verdeggiare rimane lontano da uggiosa canizie. Il campo sportivo, adesso, e le piazze, e sull'imbrunire, allora che s'è concordata, di nuovo uno scambio di dolci sussurri e il riso che, lieto zampillo, tradisce la giovane donna appiattata in un angolo oscuro e, pegno d'amore, il monile, sfilato da un braccio, da un dito che solo per finta rilutta. (trad. M. Beck) |
Lo spunto iniziale viene da Alceo (fr.338) ma le coincidenze si fermano qui : il poeta greco
descrive l'impressione di un momento di vita, Orazio la arricchisce di valori simbolici,
trasformandola in meditazioni esistenziali.Al motivo simpotico del contrasto
interno/esterno si sovrappone il tema del carpe diem; la prima parte
rievoca un paesaggio laziale, con il monte Soratte che si staglia nelle giornate limpide e
gelide d'inverno che sembra essere contemplato da
quell'ambiente caldo e rassicurante descritto nella seconda parte. Dopo il richiamo al
tema simposiaco ricompare l'ambiente esterno rappresentato attraverso la potenza e allo
stesso tempo dall'estraneità degli dei nei confronti della natura; qualche verso dopo
infatti compare la Fors intesa come la τύχη greca,
forza imperscrutabile di cui le divinità non sono altro che l'immagine mitica. La
trasparenza cristallina del paesaggio alcaico trapassa nella
vivacità cittadina del finale."Il convito, attraverso la pausa dei negotia,
ha il compito di interrompere e cancellare le curae, sia come tensione dell'animo
negli affari sia come angoscia; Orazio gli assegna la funzione di superare l'angoscia
lucreziana dell'esistenza, acuita da una sensibilità particolare per il tempo come corsa
ineluttabile e logoramento o distruzione: perciò il vino
come causa di oblio, come droga, che assume nel convito la funzione centrale" (A. La
Penna, Saggi e studi su Orazio, Firenze, Sansoni, 1993).
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Particolare di un affresco dalla Casa di Livia. |
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Carm., I, 11 Tu ne
quaesieris (scire nefas) quem mihi, quem tibi |
Odi, I, 11 Tu non chiedere mai, che non
si può, qual destino gli dèi (trad. E. Barelli) |
E' questa l'ode in cui forse meglio si armonizzano e si ricompongono in un equilibrio magico diversi temi: il pensiero ricorrente della morte, la presenza di un simposio invernale, il vino e la conversazione con la donna "finchè parleremo avremo l'illusione di fermare il tempo che in realtà nel momento in cui lo viviamo sta già fuggendo". Orazio non dà precetti morali ma in tono colloquiale e sommesso fa una riflessione sull'esistenza: è inutile porsi tante domande, ciò che conta nella vita sono le gioie piccole, i momenti preziosi da cogliere e assaporare nella quotidianità. Il carpe diem appare connesso con il divieto: "non pensare al domani". E' il pensiero della morte, inscindibile da quello del tempo che fugge, che egli cerca di rimuovere. | |
Carm., I, 20 Vile
potabis modicis Sabinum |
Odi, I, 20 Vinello di Sabina
in semplici boccali (trad. M. Beck) |
Commento ode 1.20 Il componimento si basa su un invito a cena da parte di Orazio a un amico importante; in particolare svolge il topos della dichiarazione di modestia del cibo e della casa: il tema dapertura del vino non pregiato, dopo il culmine e leccitazione della scena in teatro, ritorna a chiudere ad anello il breve giro del carme aggiungendo lidea della diversità tra i vini di lusso di Mecenate e quelli modesti del poeta; strettamente connesso al tema del simposio è la precisione con cui Orazio cita le diverse qualità dei vini sottolineando la modesta qualità del vino sabino per gradazione e colore, paragonato ai più celebri vini provenienti dal Lazio meridionale, il cecubo ed il formiano, e dalla Campania, il Falerno.
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Carm., I, 37 Nunc
est bibendum, nunc pede libero |
Odi, I, 37 Brindiamo, ora! In
libero tripudio, ora, i piedi percuotano il terreno! Ecco, è il momento, amici, (trad. M. Beck) |
Commento ode 1.37 Lode nasce dalla celebrazione della sconfitta di Antonio e Cleopatra nel 30 a.C. ad opera di Ottaviano: la reazione di Orazio è fortemente emotiva. Liniziale nunc est bibendum sembra infatti nascere come un moto liberatorio, ma esso in realtà richiama lesordio con cui il greco Alceo aveva celebrato la morte del tiranno Mirsilo. Ottaviano è al centro dellode, tra due blocchi dedicati alla regina, nei quali i motivi religiosi e politici passano in secondo piano poiché Orazio vuole celebrare il coraggio di Cleopatra, capace di eroismo personale: questo è un tratto consueto nella tradizione della letteratura latina, i cui scrittori spesso riconoscevano la grandezza degli avversari e la loro dignità nei momenti della sconfitta. Anche in questode compare la citazione del vino cecubo che qui viene contrapposto a quello mareotico di Cleopatra.
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Carm., I, 38 Persicos
odi, puer, apparatus, |
Odi, I, 38 Odio, ragazzo, il
lusso dei persiani (trad. E. Barelli) |
Commento ode 1.38 Questa è lultima ode del primo libro e funge da congedo: il tema è quello di un convito semplice senza pretese, che dispensa serenità. Le due strofe semplici e dirette si affidano a formule limitative e negative (odi, nihil curo, neque dedecet ) che tendono a rappresentare un ideale di vita sottovoce: Orazio infatti definisce ciò che non vuole essere tramite ciò che non vuole avere: il lusso e lo sfarzo persiani non sono indispensabili alla vita, mentre la misura è una forma superiore di eleganza che si adatta alla lezione epicurea della moderazione. In questa prospettiva la menzione del mirto, pianta sacra a Venere, rappresenterebbe i temi damore, privilegiati, con quelli conviviali, da Orazio lirico; la sobrietà e modestia del convito alluderebbero ad una poesia essenziale e di elegante semplicità. Le rose tardive, qui di piena estate, erano rare nellantichità e ricercate come ornamento prezioso dei banchetti ed il poeta, coerentemente con la sua filosofia, rinuncia volentieri alla rarità preferendo il mirto, pianta sempre verde e quindi sempre disponibile. Le delicate sfumature amorose del mirto e latmosfera estiva, da convito allaria aperta richiamano un ideale di vita che, come sempre in Orazio, è ben interiorizzato.
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