In questa pagina presentiamo un semplice riassunto dei contenuti del dialogo, per coloro che, non avendolo ancora letto, vogliano visitare le restanti sezioni, senza rimanere disorientati.
La sezione consiste dei seguenti paragrafi:
Antefatto | Discorso di Fedro | Discorso di Pausania | Discorso di Erissimaco |
Discorso di Aristofane | Discorso di Agatone | Discorso di Socrate | Comparsa finale di Alcibiade |
ANTEFATTO
Il simposio appartiene al genere
largamente usato da Platone del dialogo narrato: nelle prime pagine infatti
Apollodoro riferisce all'amico Glaucone quanto Aristodemo gli ha raccontato
riguardo al banchetto offerto dal poeta Agatone nel 416 a.C.
Il convivio era stato organizzato per festeggiare la vittoria da lui conseguita al concorso tragico delle Grandi Dionisie. Questa occasione riunisce alcuni amici del poeta che sono espressione delle varie forme artistico-culturali in voga nell'Atene del V sec.a.C. I personaggi in questione sono stati anche interpretati come delle maschere che esprimono non solo singole individualità ma correnti di pensiero dell' epoca di Socrate e di Platone. Essi sono: Fedro (simbolo di quel tipo di uomini che sanno provocare discorsi piuttosto che farne di propri), Pausania (maschera del retore politico, si avvale nel suo discorso di una retorica di tipo isocrateo), Erissimaco (rappresentantedell'ordine dei medici greci, ispirato ai filosofi naturalistici), Aristofane (simbolo della commedia greca), Agatone (icona della tragedia), Socrate (incarnazione del filosofo greco, non parla in prima persona, ma assume la maschera della sacerdotessa Diotima, a cui affida l'esposizione del proprio pensiero); ed infine Alcibiade (emblema del giovane dotato, ma incapace di cogliere fino in fondo il senso e le finalità del discorso di Socrate). Durante il banchetto i partecipanti decidono di pronunciare a turno un elogio in onore del dio Eros. Si susseguono così una serie di encomi circa le qualità e le caratteristiche di Amore che culminano nel discorso di Socrate; la sua peculiarità è mostrare non tanto pregi e difetti, quanto la natura intrinseca di Eros arrivando ad una vera e propria confutazione di ciò che aveva detto in precedenza il poeta Agatone. Particolarmente interessante è la struttura tipica del "racconto nel racconto", dove il filosofo ricorda i suoi incontri con la sacerdotessa Diotima e gli insegnamenti di questa circa la natura e la funzione di Eros. L'opera si chiude con la comparsa finale di Alcibiade che pronuncia un discorso encomiastico nei confronti dell'amato Socrate.
DISCORSO DI FEDRO
Il suo elogio ha carattere mitico-eroico; Eros è il più antico
degli dei e suscita negli uomini senso di vergogna per le azioni turpi e allo
stesso tempo li incita alla gloria. Ne è testimonianza la vicenda di Alcesti,
che eroicamente decide di morire al posto del marito Admeto, ricevendo così,
come grazia divina, la possibilità di ritornare nel mondo vivente. E' sempre
Amore che spinge Achille a sacrificarsi per l'amico Patroclo, e questo gli vale
il soggiorno perpetuo nell'isola dei beati.
DISCORSO DI PAUSANIA
Imposta il suo discorso partendo dalla relazione esistente tra
Afrodite ed Eros: infatti non c'è Afrodite senza Eros. Quindi come non esiste
una sola Afrodite, non esiste un solo Eros, ma due: uno Pandemio, l'altro Uranio.
Peculiarità del primo è l'essere volgare e senza ritegno, e agire alla cieca:
è questo l'Eros che amano le persone di poco valore, quelle che si rivolgono
tanto alle donne quanto ai ragazzi, indirizzandosi più al corpo che all'anima;
il secondo poichè non partecipa della natura femminile ma solo di quella maschile
è sublime e celeste, e ha come fine ultimo la virtù. Proprio di questo Amore
è il rapporto onesto e consapevole che si instaura tra fanciullo e adulto ai
fini di un percorso educativo.
DISCORSO DI ERISSIMACO
Pronuncia un elogio a Eros basandosi sulla teoria precedentemente
citata da Pausania, secondo cui Amore è scindibile in due parti; Eros non
esiste solo nelle anime degli uomini, ma anche nei corpi di tutti gli animali
e dei vegetali. E' rivolto verso quelli che sono belli, e pure verso altre cose
e altre sedi.Ciò esplica come questo grande dio estenda il suo potere su ogni
cosa sia umana che divina E' dall'Eros Uranio che deriva la felicità e l'armonia
tra le varie parti del corpo e l'anima; invece dall'Eros Pandemio scaturiscono
il disordine e la sofferenza.
DISCORSO DI ARISTOFANE
Propone una storia paradossale: un tempo gli uomini erano di tre
sessi: maschile, femminile e androgino; avevano due volti, quattro braccia,
quattro gambe e due apparati riproduttori ed erano dotati di una forza straordinaria
assimilabile a quella dei Giganti. Zeus temendo la loro potenza decise di dividerli
in due parti cosicché dall'androgino derivarono maschi e femmine che tendono
alla ricerca della loro anima gemella attraverso l'amore eterosessuale. Al contrario
i maschi e le femmine derivati dagli antichi maschi e dalle antiche femmine
ricercano la loro metà nell'amore omosessuale.
DISCORSO DI AGATONE
Dopo la conclusione del discorso di Aristofane e dopo un breve scambio
di complimenti, comincia il suo discorso Agatone. Il suo elogio è di tipo estetico,
proprio perchè dichiara necessario definire prima di tutto le qualità del dio
Eros: egli è il più felice tra gli dei poichè è il più bello e buono; è giovanissimo,
delicatissimo, leggiadro ed è portatore di valori come la temperanza, la giustizia
e la sapienza e rende partecipi gli uomini di tutte queste virtù. Lelogio
di Agatone contiene accenti particolarmente lirici che rivelano linflusso
della nuova poesia ditirambica.
DISCORSO DI SOCRATE
Il discorso di Socrate segna una netta cesura nello svolgimento del
dialogo, sottolineata dallo stesso filosofo che si preoccupa di prendere le
distanze dai contenuti dei precedenti discorsi e dai modelli encomiastici considerati
dagli altri oratori. Socrate infatti riformula lintera questione su un
piano ontologico: è necessario chiedersi cosa sia Eros in verità, e quale sia
la sua essenza; solo così è possibile determinare qual è il vero oggetto a cui
lamore deve volgersi. Le parole che egli dice però non gli appartengono,
ma espongono la dottrina di una sapiente straniera, Diotima di Mantinea. Anzitutto Eros non ha il volto ed i tratti dellamato,
bensì va cercato dalla parte dellamante: chi ama, ama ciò di cui è privo,
ciò che ancora non possiede. Lamore è per sua natura segnato dalla povertà
e dalla mancanza e costituisce per ogni uomo lo slancio verso qualcosa estraneo
da sè; per questo Eros ha la figura di un povero lacero e scalzo. Eros non ha
bellezza se dunque è vero che si desidera ciò che non si possiede: Eros è sempre
amore e desiderio di eterno possesso del Bene
coincidente con l'idea del bello. Se lamore è brama di possedere
il bene per sempre, è necessario, come afferma Diotima, che assieme al bene
si desideri anche limmortalità e che lamore sia anche amore di immortalità.
Ma per tutto ciò che è mortale lunico mezzo per ottenerla è la procreazione
e la generazione nel bello, sia nel corpo che nellanima. La bellezza ha
il potere di rasserenare la creatura gravida che le si accosta. Ogni essere
gravido dunque cerca il bello; Diotima in seguito prende a delineare un itinerario
iniziatico attraverso vari gradi che corrispondono ai vari modi di intendere
l'Eros, che porta dallapprezzamento delle bellezze terrene alla visione
del Bello in sè. La prima fase dell'ascesa al bello è l'amore rivolto a un solo
bel corpo e nella persona bella prescelta si generano bei discorsi. Il passo
ulteriore viene dalla riflessione che la bellezza di un corpo amato è sorella
di quella di molti altri corpi attraverso un procedimento di astrazione che
porta dal particolare verso l'universale. Quindi l'iniziato riconosce che la
bellezza ravvisata in un singolo corpo è identica a quella che è in tutti i
corpi: in questo secondo stadio le realtà sensibili partecipano dell'unica ed
assoluta idea di bellezza. Si procede poi nella direzione dell'intellegibile
considerando la bellezza delle anime superiori a quella dei corpi. Al terzo
stadio, dove l'esperienza pedagogica si distacca dal modello educativo pederastico
del tempo, si arriva a contemplare la bellezza nelle istituzioni e nelle leggi,
implicando anche un'azione educativa a livello morale e politico. Il quarto
gradino prevede il passaggio alla scienza e segna il definitivo distacco dalle
realtà terrene e sensibili..Chi ha seguito questo percorso è in grado
di volgere lo sguardo su quello che Platone chiama "il grande mare del bello": siamo giunti alla tappa finale dell'ascesa con la
contemplazione della verità che consiste nell'idea
del Bello in sè, il quale non nasce e non muore, è sempre se stesso in un'unica
forma e di cui tutte le altre cose belle partecipano. L'ascesa intellettuale
è presentata con la terminologia propria dell'iniziazione misterica.
Particolare dal celebre dipinto La scuola di Atene di Raffaello. |
COMPARSA FINALE DI ALCIBIADE
Dopo che Socrate ha finito il suo discorso e Aristofane sta per replicare,
fa la sua comparsa Alcibiade ubriaco; appena entrato comincia ad incoronare
Agatone con nastri e corone di fiori. Vedendo Socrate, e dopo aver ornato anche
lui, invita tutti a bere da una tazza enorme; allora Erissimaco afferma che
nel loro simposio si era convenuto di limitare le bevute e di fare, invece,
a turno l'elogio di Eros. Alcibiade rifiuta di mettersi in gara e propone di
fare un elogio a Socrate: egli dichiara che il filosofo è simile nell'aspetto
al satiro Marsia,
[didascalia] |
un essere di natura ibrida con testa e tronco umano, zampe e coda animalesche, che faceva parte del corteo di Dioniso. Inoltre riconduce la sua figura a quelle dei Sileni, statuette vuote all'interno e apribili in modo da riporvi immagini di divinità; egli è simile a loro sia nel comportamento che nel resto. In primo luogo Socrate è un arrogante perchè non si è lasciato sedurre dalla bellezza di Alcibiade, e nei confronti di Agatone perchè ha ironizzato sulla sua sapienza; in secondo luogo è un abile auleta nel senso che incanta gli uomini con la forza del suo ragionamento come le melodie di Marsia. Alcibiade asserisce di fuggire via da Socrate tappandosi le orecchie per non essere incantato dai suoi discorsi, ma per riuscirci deve farsi violenza; prova vergogna davanti al filosofo, fatto unico per la sua proverbiale spregiudicatezza sia nella vita privata che in quella pubblica; si sente soggiogato da Socrate come uno schiavo dal padrone e desidera fuggire per recuperare la sua libertà. A questo punto Alcibiade racconta come ha sempre desiderato conoscere a fondo la sapienza del filosofo e confida che avrebbe avuto piacere di essere sedotto da lui per poter avere in cambio il dono di quella sapienza; quindi inizia a lodare le sue qualità in battaglia, la sua resistenza alla fame e al freddo. Asserisce poi che anche i suoi discorsi sono simili ai Satiri per la ripetitività e il riferimento continuo al lavoro degli artigiani e alle tecniche: per questo potrebbero apparire ridicoli; ma Alcibiade passa dall'esteriorità all'interiorità dicendo che per capire i discorsi di Socrate occorre penetrarvi dentro. Infine lancia un monito ad Agatone: egli non deve lasciarsi ingannare dal filosofo ma imparare dalla sua esperienza. Questo elogio di Socrate si allinea con quelli precedenti rivolti a Eros. Mentre i convitati ridono e discutono su ciò che è accaduto, un gruppo di ubriachi fa irruzione nella sala travolgendo tutti nella confusione come in un finale da commedia.