Spunti critici e riflessioni sulla narrativa di De Carlo
In questa pagina vorremmo che i nostri visitatori trovassero alcune semplici considerazioni critiche relative ai contenuti che si sono evidenziati durante la nostra esperienza di lettura comune dei romanzi di De Carlo. Non abbiamo la pretesa di essere originali, o di tenere conto delle molte cose già sicuramente dette e scritte su questo autore. Pensiamo però che una lettura criticamente fondata dei suoi romanzi sia un contributo ineludibile in una pagina a lui dedicata. Ecco qui di seguito i contenuti che abbiamo giudicato più ricorrenti nella sua narrativa:
L'amicizia virile | Il controverso rapporto che si instaura attraverso quasi tutti i romanzi tra le due pricipali figure maschili. Analisi degli equilibri di forza e di attrazione nell'universo virile di De Carlo. |
L'insofferenza per Milano | Amore e odio per la città natale, il luogo da cui costantemente si fugge ma a cui l'autore rimane legato come all'estremo rifugio. |
La relazione fra creatività e affetto | I rapporti che intercorrono fra i capisaldi della narrativa di De Carlo: donna, amicizia, arte. |
Il significato della donna | La presenza femminile in un mondo caratterizzato dall'ottica prettamente maschile dell'autore. Contrapposizione fra donna come parte integrante del rapporto e oggetto di conquista. |
La critica del reale | La rivendicazione critica degli ideali del '68, la volontà di distruzione ed il bisogno di ricostruire la realtà. |
Conclusioni |
Amicizia virile: E'
sicuramente uno dei pilastri fondanti di quasi tutti i romanzi. Infatti molti di essi si
strutturano proprio sulle vicende, seguite attraverso un certo lasso di tempo, oppure
circoscritte alla durata del romanzo, di due personaggi uomini, i quali, se amici, sono
sicuramente fondamentali reciprocamente per la difficile affermazione nel mondo esterno
degli anni '80-'90, e si impegnano in un rapporto di forte condivisione ideale di valori e
progetti, spesso entrando però in rotta di collisione per questioni sentimentali; se
invece legati da un rapporto o professionale o d'età impari, i personaggi maschili sono
sempre tali per cui uno esercita sull'altro una fortissima influenza, ed è quasi sempre
connotato da una schiacciante superiorità. Anche la coppia amicale non è mai strutturata
a caso: essa presenta una forte connotazione polare, in quanto uno dei due amici è dotato
di caratteri personali molto carismatici e fascinatori, mentre l'altro tende a subirne
come una specie di magica dipendenza, tanto da volersi strutturare in funzione di lui. In
alcuni casi, abbiamo anche notato, si assiste al rovesciamento di questa polarità, in
quanto l'amico inizialmente più forte e fascinatore, si rivela poi, col passare del
tempo, il meno capace di radicarsi nella realtà, e deve scontare la propria creatività
con un prezzo assai alto, addirittura la morte, come avviene per Guido Laremi in Due di
due.
Questo modulo narrativo si appalesa in modo molto forte a partire dal
quarto romanzo appunto, Due di due, dove,
proprio come in Di noi tre, si rivela il vero
motore della narrazione. Già in Macno, sebbene
più incidentalmente, alla figura del protagonista, virilmente eccezionale, era affiancata
sia quella di Ottavio Larici, sia quella del giornalista compagno di Lisa, che sono
chiaramente personaggi visti dal punto di vista femminile di Lisa in netto stacco rispetto
alla forza magnetica di Macno.
In Yucatan
la coppia regista geniale (Dru Resnik) ed assistente (Dave) ci mette ancora una volta, in
modo molto marcato fin dalle prime battute del libro, di fronte ad un rapporto di
soggezione sia professionale, sia psicologica fra i due personaggi. Anzi, si potrebbe
persino dire che Dave, avendo il ruolo del narratore in prima persona, serve a De Carlo
per esprimere in modo abbastanza continuo tutte le reazioni e gli stati interni derivanti
da tale rapporto di soggezione. La genialità del regista è ancora una volta fonte di
fascino per Dave, salvo che, poi, l'epilogo stesso della ricerca pare quasi sardonicamente
voler evidenziare la più assurda inconsistenza sia della genialità, sia del fascino di
Dru. Anche i geni possono prendere colossali granchi.
In Tecniche di seduzione
siamo ancora in presenza della piena efficacia di questo binomio virile: Marco Polidori è
qui il detentore del ruolo di uomo dalla piena creatività, avvertito dal protagonista
quasi come dotato di onnipotenza fallica; Roberto Bata non può infatti resistere
all'inclinazione di assumere l'amico più maturo come modello incontrastato e plasmatore
della propria esistenza, salvo poi riconoscere tutta la doppiezza ed anche lubricità di
questo formidabile e geniale profittatore. Anche qui un rovesciamento in extremis
del binomio polare, che, peraltro, si presenta con la variante della disparità d'età,
mentre in altri romanzi la coppia virile è fatta da due amici coetanei.
In Arco
d'amore mancano a rigore tutti gli elementi per poter indentificare il nostro
binomio di personaggi virili centrali, ma una sua rivisitazione ed adattamento ai
caratteri della vicenda va pur sempre considerato il rapporto fra Leo Cernitori, il
protagonista, e suo cugino, a cui Leo soffia la storia con la bella arpista Manuela Dini,
conosciuta proprio grazie allo sfortunato cugino, a cui non resta che battere in ritirata,
una volta appurato che il campo era stato pienamente occupato da Leo, figura virile
sicuramente più libera e meno impastata di pregiudizi medio-borghesi, nonostante la
fatica esistenziale ed una vita affettiva piuttosto devastata alle sue spalle.
In Uto il tema della rivalità
entro un binomio virile assume una portata ancora una volta centrale, con il prevalere
della rivalità più spinta, che esplode dopo un lentissimo crescendo. Questa volta,
inoltre, il polo magnetico di attrazione lo esercita sicuramente il più giovane, Uto, il
quale arriva come una specie di veleno ad azione ritardata a destrutturare impietosamente
la vita e le pseudo-certezze di Vittorio Foletti, uomo adulto anagraficamente, ma
profondamente irrisolto ed immaturo affettivamente. Ed è ancora una volta alto il prezzo
che il detentore dell'innata creatività e d'un istintivo legame con lo spirito dovrà
pagare per l'affermazione di sé nel mondo: il sacrificio quasi iniziatico del braccio di
Uto nell'incidente, estrema conseguenza dell'invidia distruttiva su di lui da parte di
Vittorio, sancirà l'evento della successione di Uto al capo spirituale del villaggio, che
in puncto mortis lo identificherà come il detentore del potenziale spirituale
tanto insistentemente ricercato da Marianne come il segreto potente della realizzazione
esistenziale in questa vita.
Che dire infine dell'amicizia di
sempre fra Marco e Livio in Di noi tre? Non ci
è sembrato per nulla casuale che l'ultimo romanzo di De Carlo riprendesse proprio questo
tema, sancendone la centralità nella sua narrativa. Forse ancora più autobiografico di
molti altri, pare emergere da questo romanzo con maggior forza rispetto ai precedenti il
divario che si viene a creare, anche nel nostro mondo post-industriale, fra vita
creativa o artistica e vita borghese. Marco è sicuramente l'artista per
eccellenza, ed è precisamente questa sua natura di creativo a trecentosessanta gradi quel
che lo rende indispensabile alla vita sia di Livio sia di Misia: fonte di inesauribile di
fascino, che tuttavia finisce coll'essere per gli altri due amici potenziale pericolo di
perdita definitiva dei legami al mondo "normale", degli affetti familiari e del
quotidiano. Salvo che poi la scelta finale per questa "normalità" rigetta Livio
e Misia in uno stato di profonda, angosciante insoddisfazione, riaprendo così un circolo
la cui fine non è dato di intravvedere, se non nell'affermazione del significato di
questo legame a tre, come antidoto imperituro contro il male d'essere.
Se Livio, nell'ambito della loro amicizia, riceve da Marco questa spinta all'approccio
creativo verso la realtà, Marco pare sistematicamente porre Livio di fronte
all'imperativo di essergli vicino con totale disponibilità. Ma sicuramente è proprio il
legame con la quotidianità di Livio che rappresenta per Marco un ricorrente punto di
riferimento: soprattutto in merito alla relazione con Misia, ovviamente destinata
all'insuccesso, nonostante i molti tentativi di mantenerla in vita. A noi parrebbe
comunque di forzare la lettura del romanzo, volendo affermare che quello fra i due amici
sia un rapporto di vera reciprocità affettiva, un perfetto equilibrio nel dare e nel
ricevere: pare proprio che il piatto della bilancia penda sempre a sfavore di uno dei due.
Il significato della donna: La massima parte dei romanzi di De Carlo parla di vicende amorose. Si tratta ora di vedere come emerga il mondo femminile o la figura della donna dal complesso dei romanzi. Nella nostra esperienza di lettura, abbiamo spesso tratto l'impressione che il mondo femminile sia filtrato attraverso la mentalità e l'animus prettamente maschili, anche a volte leggermente fallici, dell'autore. Non siamo certo di fronte alla volontà, né sentita né dichiarata da De Carlo, di rendere la propria narrativa un omaggio trasognato o vibrante alle meraviglie dell'anima femminile. Per quanto la donna sia spesso il vero motore traente dell'esistenza del protagonista, il fatto stesso che quest'ultimo, nella quasi totalità dei romanzi, sia un uomo, ci pare gettare una luce chiarificatrice sulla Weltanschauung prettamente maschile del nostro autore. Che una vicenda amorosa sia al centro dei primi due romanzi dell'esordio, Treno di panna e Uccelli da gabbia e da voliera, ci spinge ad affermare che spesso la conquista di un personaggio femminile sentito come irraggiungibile o come appartenente ad un mondo socialmente troppo in alto o comunque minato da pericoli ed ostilità per il protagonista, rappresenti un modo ultraforte di affermazione di se stessi nella vita in termini che più che affettivi, vorremmo appunto definire sociali o di carriera, e senza dubbio legati sempre ad una potente affermazione del proprio ego maschile.
Questa
visione della donna come fragile bersaglio o vittima volontaria di un personaggio dal
carisma irresistibile, è addirittura il motore narrativo di Macno,
dove il narratore non indugia nemmeno un attimo a spiegare i meccanismi che inducono Lisa
a divenire l'amante del dittatore. In realtà il lettore, almeno quello disposto ad
un'innata identificazione coi valori narcisistico-fallici di cui Macno è portatore, sa
che Macno è l'equivalente di una calamita, resistere alla quale contravverrebbe ai
meccanismi fisici più elementari. Potere assoluto, assoluto prestigio politico, totale
esclusività, capacità di dominare le masse con la parola, un intero regno televisivo ai
suoi piedi: come potrebbe una giovane giornalista in cerca di successo e golosi scoop
rifiutare le attenzioni di un personaggio come questo? E nemmeno la reazione finale di
Lisa, che finisce col percepire la solitudine e la mancanza di autentica affettività, che
minano alla base la sostanza umana di Macno, ci impedisce di sentire il bisogno, per
questa figura femminile, di una maggiore autonomia, di un più grande orgoglio per il
proprio essere donna.
In Yucatan l'elemento
femminile è visto ancora una volta come mero oggetto di contorno di una pseudo-ricerca
esistenziale, tutta incentrata sulla figura del grande regista geniale ed affermato, Dru
Resnik. Il binomio fra "ragazza spirituale" e "ragazza materiale",
lungi dall'essere un elemento portante nel dipanarsi della vicenda, suggerisce ancora una
volta in modo assai forte che le due figure femminili sono semplicemente l'oggetto della
attenzioni di un gruppo di uomini, tutto impegnato in una scommessa esistenziale da cui
l'universo femminile risulta escluso quasi aprioristicamente.
Nel romanzo Due di due, invece, alla centralità della vicenda amicale di Guido e Mario, si affianca ovviamente anche la presenza della donna. All'inizio della loro storia, ambientata come abbiamo visto in un liceo che sappiamo essere il Liceo Berchet, la difficoltà adolescenziale di Mario nell'avvicinarsi all'altro sesso diviene uno dei motivi traenti del fascino che egli prova per Guido. Questi, va da sé, ha una sua teoria riguardo anche l'approccio con le ragazze. Così il potenziamento virile che Mario esperimenta grazie al positivo modello dell'amico diviene uno dei valori più importanti della loro amicizia. Senonché, come dicevamo inizialmente, col passare degli anni e a causa dei diversi percorsi di crescita ed esistenziali dei due amici, il ruolo delle loro compagne cambia. Mario, dopo aver avuto la sua iniziazione virile con alcune storie adolescenziali, compie la scelta di vita fondamentale della comune agricola umbra in cui inizia un'attività di produzione di colture biologiche, accompagnato e sostenuto da quella che diviene la sua compagna stabile, Martina. Viceversa Guido, sempre più ingolfato in uno di stile di vita alternativo, ma che non gli consente di trovare punti di riferimento stabili, nonostante il suo successo artistico sancito dalla pubblicazione di diversi libri, non trova nemmeno una realizzazione affettiva all'insegna della stabilità. E' proprio durante un'improbabile relazione con una ragazza di dieci anni più giovane di lui, una diciannovenne, che Guido trova la morte accidentale che conferisce al suo personaggio gli estremi dell'eroismo e del sacrificio di se stesso compiuto nel tentativo frustrato di trovare un'identità impossibile. La presenza femminile ancora una volta, dunque, non è centrale nella crescita del personaggio Guido, che subordina il lato affettivo della propria esistenza alla ricerca ed alla creatività.
In Tecniche di seduzione la vicenda narrativa è
dominata dall'interesse passionale del protagonista verso Maria Blini, storia che in
realtà, all'insaputa di Roberto, si rivela il motore vero della rivalità coll'amico
falso protettore, Marco Polidori. Ancora una volta una donna contesa da due amici: una
situazione molto comune nella narrativa decarliana. Maria Blini è sempre presentata come
un oggetto d'amore, inteso come desiderio dei sensi, e soprattutto occasione di rivalità
e simbolo di realizzazione sociale. Possederla e farla definitivamente propria coincide
con una piena affermazione di sé agli occhi del mondo e di se stessi. Ed è proprio la
presenza del mentore-profittatore Marco Polidori che sancisce per Roberto il fallimento
della sua realizzazione di uomo, sia sul versante artistico sia su quello affettivo. Non
molto spazio, ancora una volta, troviamo nella narrazione per una raffigurazione obiettiva
del personaggio femminile, che esiste nell'economia delle vite e dei giochi interpersonali
dei personaggi maschili quasi esclusivamente come preda contesa.
Totalmente consacrato invece alla cronaca di una relazione è Arco d'amore, romanzo in cui un certo spazio è
sicuramente dato alla figura femminile, l'arpista Manuela Duini. E' difficile stabilire se
alla base di questo interesse per lei vi sia, da parte del protagonista, una precisa
volontà di riscatto della propria vita. Nel romanzo è dominante infatti l'analisi della
crisi dell'istituzione familiare e matrimoniale, vissuta dal protagonista quarantenne. Lo
sviluppo della vicenda mostra, con il crescere della passione di Leo per Manuela, anche il
fatto che egli è sicuramente dominato da una forte volontà di possesso e di dominio nei
confronti dell'amante. Accanto a questo elemento c'è anche certo la possibilità di
recuperare attraverso l'amore un rapporto spontaneo e genuino con la vita, ma il tentativo
fallisce, anche perché non c'è molta sostanza affettiva o psicologica in Leo, che
concepisce nei confronti della sua nuova compagna sentimenti un po' troppo esclusivi, e
per cui, soprattutto, la passione coincide con una volontà di possesso assoluta, che
finisce con lo schiacciare l'altra, o metterne in crisi l'autonomia.
In Uto le due figure femminili centrali sono quelle di Marianne e della sua figliastra Nina, adolescente problematica affetta da anoressia. Entrambe queste donne reagiscono in modo forte all'affascinante figura dell'adolescente ribelle, ma figlio dello spirito: la più grande provando per lui un trasporto, ovviamente sublimato, messo in moto dalla comprensione delle sue qualità di guru inconsapevole; la ragazza Nina, invece, si trova ad essere curata dall'anoressia proprio grazie all'interessamento di Uto, il quale, con un'incredibile manifestazione di forza di volontà e di carattere, e cioè smettendo di respirare fino quasi ad avere una sincope, riesce a dimostrare all'incredula Nina che tutto è possibile, anche dunque eventualmente smettere completamente di mangiare. La reazione a questa manifestazione di forza interiore (che però ancora una volta non possiamo fare a meno d'interpretare come un'espressione di una personalità virile assai fortemente caratterizzata) è che Nina smette di non mangiare, forse perché il gesto di Uto viene da lei interpretato come una camuffata, ma efficacissima, prova d'amore. Ma Nina non si sottrae al modulo narrativo da noi individuato: la donna soggiace, certo spontaneamente, al fascino della personalità del personaggio maschile. Non prende mai l'iniziativa, ma la sua unica facoltà sta nel reagire ad una personalità maschile strapotente.
La figura di Misia in Di noi tre è quella in cui De Carlo ci offre il meglio della sua attenzione ad una personalità femminile autenticamente ritratta, sentita come centrale lungo il percorso d'un'intera vita, dagli anni giovanili fino alla maturità completa. Anzi, si può definire questo romanzo come un omaggio a questa figura di donna, che il narratore sente con grande intensità. Ed è proprio perché, per una volta almeno, un personaggio femminile non riveste immediatamente il ruolo di amante, e perchè la vicenda fra Misia e Livio è destinata a restare per sempre irrisolta sul piano erotico, che questa relazione può divenire veramente centrale per l'io narrante ed essere l'asse portante di tutte le quasi cinquecento pagine del romanzo. Profondamente accomunata a Livio da una fondamentale ambivalenza fra creatività e bisogno di stabilità e di certezze, con la stessa impellente spinta ad affermarsi nella vita a dispetto di tutte le insufficienze affettive ed i torti subìti dalle figure parentali (la cui analisi ne evidenzia con spietata obiettività le inadeguatezze), Misia è soprattutto un personaggio veramente autonomo, in grado di resistere alle fascinazioni immediate del solito carisma maschile, e di tentare d'imprimere alla propria vita un andamento autonomo, sebbene sofferto, e spesso al limite dell'auto-distruzione. Le personalità di Livio e di Misia sono veramente l'una di fronte all'altra in un rapporto di vera parità, mentre ben più sofferto è l'iter del rapporto Misia-Marco, che, per il fatto di strutturarsi sulla base della fascinazione reciproca attivata dalle personalità fortemente artistiche dei due, sfocia nell'erotico, ma non riesce ad avere un epilogo felice, nonostante il figlio che nasce dalla relazione, ed il dolore tremendo che le reiterate, ma inevitabili, separazioni causano ai due amici-amanti. Abbiamo comunque ricevuto l'impressione, dalla nostra lettura, che quella di Misia è senza dubbio una delle figure femminili più autentiche e meglio riuscite di tutta la narrativa decarliana.
L'insofferenza
per Milano: Anche questo ci è parso un tema assolutamente ricorrente, e dunque
criticamente rilevante, della totalità dei romanzi di Andrea De Carlo. Si tratta di una
corda molto profonda nell'autore, che lo spinge ad inserire assai di frequente, lungo
l'arco della narrazione, giudizi molto negativi sulla sua città natale; innanzitutto
legati alla situazione ambientale, notoriamente invivibile, a causa del traffico, dello
smog, del freddo, dello sporco, del clima ostile; ma poi anche resi spesso metafora
d'un'insofferenza di più vasta portata: verso un tipo di vita sostanzialmente
provinciale, troppo legato agli schemi medio- (o anche alto-) borghesi, caratterizzato
dall'ansia di produrre, dalla negazione di un'autentica creatività, dal grigiore di una
quotidianità sentita come oppressione, negazione dell'affermazione di sé, rinuncia a
qualunque forma di spontaneità, ipocrisia che come un cancro ingloba e devasta le parti
più sane e feconde dell'anima. E da qui sarebbe facile fare un altro salto, ed arrivare
ad identificare in questa insofferenza quella di tutta una generazione, che ha rifiutato,
dalla metà degli anni '70 in poi, gli schemi in cui una società post-industriale
spietata e omologante pretendeva di ridurla. Ma di questo ci occuperemo nella prossima
sezione.
L'ultima notazione riguardo a questo tema, è che tutta questa negatività gettata su
Milano non è immune da una certa ambivalenza di fondo. Infatti, se Milano, la città
natale, è il punto di partenza, l'odiata quotidianità da negare, l'inizio di ogni fuga
verso la realtà vera, e verso la realizzazione di sé, Milano è anche la meta
dei ritorni, in ogni momento di stanchezza o difficoltà, o il luogo di passaggi
intermedi, quando una pausa o un ritorno su se stessi diventano essenziali per la
sopravvivenza. Dunque Milano, la origo, le radici tanto negate, rappresenta come
tutte le radici e i nidi autentici, una sua validità extrapersonale, come l'estremo
rifugio in caso di necessità, l'àncora di salvezza, la cui utilità è quella, se non
altro, di servire da punto di salvataggio, per essere poi ancora fatalmente abbandonata o
negata. Ma un riconoscimento di questa realtà non ci pare presente in alcuna riflessione
né del narratore né di qualche personaggio.
La
critica del reale: Con questa formula forse un po' generica, intendiamo
quella situazione che riguarda molti dei personaggi nei romanzi decarliani, per la quale
essi si ritrovano fortemente coinvolti in una meccanismo che vorremmo definire
generazionale: il rifiuto della loro realtà, ed il tentativo di ristrutturarla. Che
questi non siano solo atteggiamenti adolescenziali, ma invece siano riconducibili a una
temperie socio-culturale che riguarda i movimenti giovanili e i climi degli anni fine
'70-80, ci pare dimostrato solo che si guardi all'attuale comportamento e standard di noi
adolescenti degli anni '90-2000: la realtà non ci pare più qualcosa da distruggere, o da
rifare secondo i nostri gusti, ma un terreno di lotta per l'affermazione di noi stessi
vòlta al successo nell'ambito dell'esistente. Un divario non insignificante.
Va precisato però che non tutti i personaggi di De Carlo rispondono a questa adesione ai
libertarismi e agli autonomismi della seconda metà degli anni '70. Molti di loro
prescindono dai modelli ideologici predominanti, e tentano la via dell'affermazione di sé
attraverso il grande filone della creatività artistica (riflettendo, almeno in parte, i
vissuti autobiografici di De Carlo stesso). Ma in alcuni casi si sente
in modo netto che le scelte di vita (vuoi temporanee vuoi definitive) di alcuni personaggi
(come Mario in Due di due, con la sua
"comune biologica" in Umbria, o lo stesso Livio in Di
noi tre, con la sua fuga alle Baleari in una vita a diretto contatto con la
natura, o Misia che cerca rifugio in una comune di autosussistenza in Provenza) si
inquadrano benissimo entro atmosfere che sono tipiche delle scelte giovanili di rottura,
di rifiuto del reale tipiche di quei decenni. Non a caso abbiamo citato Due di due e Di
noi tre, quei romanzi cioè il cui maggior pregio sta forse nell'essere più
di altri significativi sia della vicenda personale dell'autore, sia del debito che egli ha
contratto con i climi socio-culturali in cui ha vissuto la giovinezza e la prima
maturità. Altrove invece tende a prevalere una vicenda di invenzione narrativa, in cui
però uno dei motori dell'agire dei personaggi è pur sempre il tentativo di rivalersi
su un mondo di completa insoddisfazione. E che dire per esempio del
magistrale tratteggio compiuto da De Carlo per bocca di Marco Polidori in Tecniche di seduzione sulla classe politica
italiana di metà anni ottanta? Come non restare colpiti non solo dall'acutezza delle
considerazioni, dalla loro impietosa lucidità, ma anche dal senso di intollerabile
avversione verso l'ordine costituito, il potere organizzato, e la volontà quasi trainante
di denunciare, smascherare, corruzione, connivenze, marciume, invivibilità? E quello del
rifiuto senza appello dello status quo, lo si sa, è uno dei tratti più tipici
della visione giovanile del mondo negli anni che stiamo esaminando.
La relazione fra creatività e affetto: in questa voce vogliamo fare alcune brevi considerazioni su uno fra gli spunti secondo noi più interessanti e stimolanti che emergono dai romanzi di De Carlo. I capisaldi strutturanti di tutte le personalità maschili che De Carlo mette in scena sono indubbiamente:
- l'amico
- la donna
- l'arte
Ma quali sono le relazioni tra di loro? E soprattutto qual è la relazione fra 2. e 3.? Il personaggio tipo decarliano, infatti, ben lungi dall'essere capace di risolvere le proprie istanze esistenziali in un atteggiamento di creatività sublimata (quale artista moderno lo è, d'altronde?), mette al centro della propria realizzazione esistenziale, dell'affermazione del proprio ego, la conquista della donna, vista come inesauribile fonte di vitalità e di possibilità di entrare per il tramite di lei, in relazione con l'aspetto più genuino della vita. Ma evidentemente il nostro personaggio non si può fermare qui. La sua anima è anche agitata da altri, diversi imperativi. Infatti attraverso la donna egli entra in relazione con un solo aspetto della propria totalità, ma è solo con la creatività (sia egli fotografo, pittore, scrittore, regista cinematografico, dittatore, o semplice ventenne alla ricerca di una strada nella vita), che si completa il suo esserci nel mondo: spesso, anzi, egli arriva a percepire la propria creatività attraverso l'intensità del sentimento per la donna (come nel caso di Livio che è istradato da Misia sulla pittura). L'arte è anche, però, professione: la creatività pone sempre il nostro personaggio in relazione con gli altri, coi meccanismi della information society, per esempio, che rifiuta, spesso ottenendo il successo proprio per le sue posizioni di rigido anticonformismo, o di insofferenza verso i meccanismi della diffusione, della vendita del prodotto artistico (Marco, Guido, e a modo suo, anche Roberto Bata). E l'arte, cioè l'affermazione di sé nel mondo, lo pone anche in situazioni di subordinazione o di rivalità con chi è più in alto di lui, o più potente ed affermato.