L'eredità di Ambrogio
Dal quinto secolo all'età carolingia
Contemporaneamente alla perdita di prestigio di Milano,
dall'inizio del quinto secolo alla metà del sesto, si determina, anche a causa
dell'esilio genovese dei vescovi in seguito all'invasione longobardica, l'affermarsi della
ambrosianità di Milano. Infatti, in questo periodo, il vescovo di Milano inizia ad
essere chiamato "vicario di Sant'Ambrogio". Tale ambrosianità si riscontra tra
l'altro anche nell'utilizzo di testi liturgici diversi da quelli romani, che non furono
mai aboliti nemmeno in occasione della diffusione della legislazione franca in età
carolingia, tant'è vero che lo stesso Carlo Magno venne a Milano e vi fece battezzare una
figlia in segno di riconciliazione con la diocesi di cui aveva tentato di modificare la
liturgia. Questo fatto estremamente significativo prova che l'anima ambrosiana di
Milano non solo iniziava a manifestarsi, ma poteva già resistere ad una riforma di
portata internazionale come quella carolingia. Il ruolo politico dei vescovi milanesi
viene inoltre accresciuto dal fatto che il sovrano in quest'epoca vuole la legittimazione
del potere spirituale e si rinforza anche la condizione privilegiata del clero, come
avremo modo di evidenziare nella prossima sezione. In età carolingia avviene poi la
fondazione del monastero presso la basilica santambrosiana, nell'anno 784. Anche un
palatium regium, che sarà per due o tre secoli residenza di re e imperatori, sorgerà
vicino alla basilica. L'importanza della sede episcopale milanese è anche legata a un
fatto avvenuto sotto l'episcopato di Ansperto: in occasione della morte dell'imperatore
Lodovico II nel 875, egli venne sepolto a Brescia, nella chiesa di S. Maria. L'arcivescovo
ritenne che un imperatore, se morto in terra lombarda, non potesse non essere sepolto
nella basilica imperiale di Sant'Ambrogio. Egli si reca a Brescia di persona, e dopo molte
insistenze, ottiene la traslazione della salma.
I secoli nono e decimo
Nella seconda metà del nono secolo il vero signore della città
è l'arcivescovo, e non il conte, che è in una posizione di chiara subordinazione. Il
vescovo aveva alle sue dipendenze una guarnigione di armati che erano chiamati
"vassalli o militi di Sant'Ambrogio". Il nome di Sant'Ambrogio è nel nono
secolo così legato ad una figura eccezionale che sappiamo da un cronista dell'epoca,
Andrea Bergomate, come Lotario, rimproverando Angilberto per non essersi inchinato come
gli altri signori al suo cospetto, pronunciò queste parole: Sic contenis te quasi
Sanctus Ambrosius sis ("Ti comporti come se fossi Sant'Ambrogio").
Anche nel decimo secolo abbiamo significativi esempi della devozione di Milano per il suo
patrono: l'arcivescovo Gotofredo donò a "Sant'Ambrogio" un prezioso secchiello
d'avorio, custodito nel tesoro del Duomo, con cui l'arcivescovo poteva aspergere d'acqua
santa l'imperatore alla sua venuta nella cattedrale.
Ariberto vescovo di Milano nell'undecimo secolo
Il ruolo politico del vescovo di Milano tocca il suo apice nella
figura di Ariberto. Egli è l'artefice della prima incoronazione di un imperatore
del Sacro Romano Impero a Milano, Corrado II nel 1026. Con questo evento viene
conteso per la prima volta a Pavia il primato dell'incoronazione degli imperatori, che era
sempre toccato a quella città per via della sua importanza politica quando era la sede
del regno longobardo in Italia. Ariberto riuscì in seguito a sottrarsi sia alla
scomunica sia alla prigionia, grazie alla solidarietà nei suoi confronti di tutta la
cittadinanza, dando ancora una volta dimostrazione dell'indipendenza di Milano da Roma:
quella solidarietà il cui più insigne simbolo è il carroccio, su cui è forse
raffigurato anche Sant'Ambrogio, almeno stando alla fonte di un cronista dell'epoca.
La lotta tra nicolaiti e patarini
Non sorprenderà pertanto che Milano divenne il centro della lotta
tra papato ed impero per le investiture. Tale lotta prende nella città ambrosiana, a
partire dalla seconda metà del secolo undecimo, l'aspetto di un conflitto religioso fra
opposte fazioni: da un lato il clero ammogliato, i cosiddetti "nicolaìti",
dall'altro i fedeli, ossia quegli elementi del popolo desiderosi di una riforma volta a
riportare il contegno del clero a maggiore moralità, e che furono soprannominati
"patarini", cioè "straccioni", dagli avversari. Questa lotta molto
sanguinosa durò per svariati decenni e va notato che entrambe le parti contendenti
sostenevano che Sant'Ambrogio fosse dalla loro parte: i nicolaiti affermavano che egli
permetteva il matrimonio ai preti e non voleva Milano soggetta a Roma, mentre i patarini
sostenevano il contrario.Comunque va notato che in molte delle vicende spesso tragiche di
questi anni un posto di primaria importanza occupa "l'onore di sant'Ambrogio":
tutti i papi gregoriani (Nicolò II, Alessandro II e Gregorio VII, rispettivamente
1058-1061, 1061-1073, 1073-1085) erano fieramente avversi al partito nobiliare e
vescovile, e con molte bolle cercarono di proibire ai fedeli la partecipazione ai riti
sacri amministrati dai "preti ammogliati". E' una vera e propria guerra civile e
di religione, con episodi gravissimi per il patrimonio culturale cittadino, come
l'incendio disastroso del marzo 1085 in cui andarono perdute tutte le carte dell'archivio
arcivescovile. Uccisi i capi delle opposte fazioni, sembrò per un momento che la pataria
fosse vinta, ma, in seguito all'atto di sottomissione di Enrico IV a Gregorio VII, il
papato finisce col prevalere anche a Milano. Mai la diocesi ambrosiana ha vissuto nella
sua storia fino a questo momento un'antitesi più sofferta fra elementi del clero locale
(purtroppo gli eredi stessi di Ambrogio) e il clero romano. Evidentemente la degenerazione
morale di quegli eredi non poteva più ormai conciliarsi con le nuove forze che erano
venute al Cristianesimo da fonti diverse da quelle ambrosiane. La basilica ambrosiana, un
tempo, come detto, imperiale sotto le dinastie carolinge, subisce anche gravi danni in
questo conflitto trentennale: il segno dell'avvenuta riconciliazione del clero milanese
col papato è proprio la sua ricostruzione, che le diede la forma che ancor oggi possiamo
ammirare.
Il dodicesimo secolo e l'affermarsi del Comune
Terminate le lotte intestine del periodo vescovile, Milano
affronta la dura prova dello scontro con Federico Barbarossa, da cui in un primo momento
è sconfitta, per presto risorgere rinvigorita grazie alla celebre coalizione della Lega
Lombarda. Anche nel glorioso periodo comunale Sant'Ambrogio è più che mai simbolo della
lotta contro il barbaro invasore: sulla Porta Romana riedificata, egli è effigiato come
armato e combattente contro gli Ariani, che ora sono divenuti nell'immaginario collettivo
i tedeschi stessi: un bell'esempio, vorremmo dire, della caratteristica dei personaggi che
assurgono al mito, di riempirsi di sempre nuovi significati e valori nel corso della
storia. L'apporto della storia è sempre presente come contenuto che rinnova il mito:
infatti Sant'Ambrogio è ora detto celebs, con evidente riferimento alla
trascorsa lotta contro i vescovi degeneri. Anche la contrapposizione degli strati sociali
nei due ordinamenti medievali della "Motta" e della "Credenza di
Sant'Ambrogio", conseguenza delle lotte seguite alla vittoria di Legnano nel 1176,
bene testimonia la capacità della figura di Ambrogio di elevarsi a punto di riferimento
ogni qual volta il popolo milanese sa organizzarsi in una forza nuova, nei momenti
cruciali del suo cammino storico: la Credenza raccoglie infatti al suo interno i piccoli
mercanti e gli operai, il nucleo germinale di quella classe non nobile destinata a giocare
un così importante ruolo nell'affermazione delle future signorie rinascimentali.
Dall'età delle signorie alle dominazioni straniere
La situazione di conflitto sociale fra nobiltà e popolo minore si
conclude solo con l'instaurazione della signoria viscontea, nel 1277, resasi necessaria
per governare una situazione di grave difficoltà interna. Durante tutto il XIV° sec.
abbiamo vistose testimonianze di devozione milanese al patrono: le molteplici
incoronazioni tenute tutte nella basilica ambrosiana ne sono un esempio, come pure il
fatto che la più antica moneta d'oro di Milano fu detta "ambrosino", e coniata
dal 1250 al 1350. L'episodio che vide i soldati di Luchino Visconti gridare nella
battaglia di Parabiago del 1339 contro i mercenari tedeschi dell'opposta fazione degli
Scaligeri "Sant'Ambrogio" come grido di battaglia non è forse corrispondente a
verità storica, ma frutto di una forzatura dell'ultimo grande vescovo successore di
Ambrogio, Giovanni Visconti, che Dante accusò, con la consueta icasticità espressiva, di
tenere "giunta la spada al pastorale", perché fu caratterizzato da un forte
legame al potere del suo casato e della sua famiglia. La letteratura cronachistica del
trecento è ricca di storie edificanti basate su presunte apparizioni di Ambrogio: una si
riferisce proprio a questa battaglia di Parabiago. Quando l'ultimo dei Visconti muore nel
1477, il popolo è incitato a gridare "viva Sant'Ambrogio e la libertà": questo
grido segna l'inizio della Aurea Repubblica Ambrosiana, una parentesi libertaria invero
assai breve, che sfociò ben presto nella signoria di Francesco Sforza. I tempi non sono
certo maturi per repubbliche, e non dimentichiamo che il trentennio della signoria
sforzesca fu il momento del massimo splendore rinascimentale di Milano.Nel secolo
decimosesto inizia il periodo delle dominazioni straniere, quella francese e quella
spagnola: per questa epoca ci accontentiamo di ricordare che proprio del 1593 è la
fondazione del "Banco di Sant'Ambrogio", quell'istituto economico che getta le
basi di tutta l'economia milanese del sei e settecento, e forse va considerato la
necessaria premessa dello sviluppo liberale dell'economia durante l'ottocento, i cui
effetti hanno tanto caratterizzato la nostra città fino ai giorni nostri. Infine corre
l'obbligo di ricordare la testimonianza forse più grande della ambrosianità milanese: la
fondazione. per volere del cardinale Federigo Borromeo, nel 1609, della Biblioteca
Ambrosiana, la cui inaugurazione avvenne il 7 dicembre dello stesso anno, nel giorno cioè
della festa patronale.