STUDENTESSA

PROFESSORESSA

 

LA VICENDA DELLA PROF.SSA SACERDOTI
COME STUDENTESSA AL BERCHET
 (1932-1938)


1936-37
La prof. Sacerdoti in VB Ginnasio Superiore,
 in grembiule nero alla sinistra del professore.

Ci racconti il tuo primo impatto con il Berchet?
Il primo impatto che ho avuto con il Berchet è stato nel 1932 con una persona meravigliosa, il professor Barzaghi, un prete che insegnava matematica e che poi non è stato il mio professore, ma che aveva una tale umanità oltre ad essere bravo, che mi ha fatto piacere subito lo spirito del Berchet. L’ho incontrato al Ginnasio inferiore, quando sono andata a fare l’esame orale, lui m’ha guardata e mi ha detto: "Ti te se chamet Sacerdot, mi sunt un pret, allora vem d’acord". Ed infatti siamo andati d’accordo.

E dopo l’esame al Ginnasio inferiore?
Allora si entrava al Ginnasio inferiore quando si avevano undici anni, ed infatti io sono nata nel 1922, in gennaio, e quindi ho cominciato la scuola un anno prima. Inizialmente mi avevano messa nella sezione F, che poi si è smembrata, e mi sono trovata bene anche li’ con il professor Seceni. In seconda sono entrata nella sezione B che è quella che mi è rimasta poi per tutti gli anni, dove c’era una professoressa di lettere meravigliosa, seppure un po’ strana: Vittorina Serra: ci faceva innamorare di tutto, ma era patita del Carducci, mentre io non l’ho mai amato moltissimo; lei invece lo declamava in classe e terminava sempre dicendo: "E così finisce questa meravigliosa poesia". Però devo dire che ci trascinava, era brava, e le ho voluto molto bene, anche dopo, perché ci ha seguiti anche dopo, e voleva sempre avere nostre notizie; come professoressa di matematica avevamo invece la magnifica Magnani, e tra gli altri, al ginnasio, Bernini, bravo, onesto.

Negli anni del fascismo, come si presentava il Berchet?
Nel corso di tutti gli anni in cui sono stata al Berchet, dal 1932 al 1938, ho trovato un ambiente, con ottimi professori, un complesso di bravissime persone, con uno spirito in alcuni di vero antifascismo, ma in altri, se non altro, di non acquiescenza; tra loro ricordo Ugo Mondolfo, che insegnava filosofia, che è uno dei tre famosi antifascisti, e che è andato via perché, dopo che era andato via Martinetti dall’università, aveva capito che era meglio andarsene. Devo dire che la sua sostituta, la professoressa Ferrighi e che poi è stata la mia insegnante, fu degna di lui.

Vuoi dirci qualcosa di quel famigerato personaggio che ha causato tanti guai?
Guarda, io non voglio farti quel nome, voglio dirti però che quell’unica persona ha fatto l’inferno, tradimenti di tutti i tipi, grane in ministero che poi sono arrivate in provveditorato e si dice anche che fosse poco raccomandabile con le sue allieve.

Parliamo invece un po’ del professor Untersteiner...
A proposito di Untersteiner voglio ripetere ciò che dice Buzzati di Luigi Castiglioni, che fu suo professore al Parini prima di andare all’università, e che io ho incontrato tante volte a casa di Castiglioni, insieme ad Alberto Grilli: "Quello che ho imparato e se ho imparato a scrivere" e pare che Buzzati sapesse bene scrivere "è per come Castiglioni ci faceva leggere Livio, Virgilio e Tucidide, perché non si fermava solo a farceli conoscere, penetrava nella lingua, ce ne faceva vedere i valori". Questo si può dire anche di Untersteiner: anche se faceva delle lezioni regolari, sceglieva sempre dei testi che gli permettessero di fare considerazioni di carattere sociale e politico, un po’ sottovoce diciamo, ma noi lo capivamo.

Per quanti anni è stato tuo insegnante?
Io ho avuto Untersteiner solo in prima liceo, poi i fascisti mi hanno impedito di iscrivermi e non ho potuto più andare a scuola, ma è stata come una scintilla, visto che egli è stato il mio grande maestro e siamo rimasti talmente legati. Per farti un esempio, quando ho dovuto fare gli esami privatamente, il prof. Untersteiner mi diceva di andare da lui in modo da leggere qualcosa. Io ho letto il Prometeo Incatenato di Eschilo, ed il rapporto è rimasto tale che poi lui mi ha chiamata per fargli da assistente a Genova quando è passato all’università ed io sono rimasta con lui per anni. Quindi non è che l’abbia solo visto, io lo considero veramente il mio grande maestro.

Fu particolare solo il rapporto con Untersteiner?
No, non è che fosse solo con Untersteiner; devo dire che anche la professoressa Ferrighi, cattolicissima, seppur agli antipodi di lui per certe cose, ma antifascista dentro, mi diceva a volte: "Vieni che discutiamo un po’ di questo, di quest’altro", e sono andata a casa sua restando con lei parecchio tempo.

C’è un episodio che ricordi particolarmente?
Sì, mi ricordo ancora chiaramente di come la professoressa Cremaschi, che insegnava ginnastica, e che era legata al fascismo, ciò nonostante, dopo che ho fatto un anno via da scuola, in occasione della mia maturità, mi ha fatto chiamare apposta in modo che, visto che da privatista dovevo fare l’esame anche di ginnastica, potessi esercitarmi nella palestra del Berchet con le mie compagne e ripassare gli esercizi: io poi ero una ginnasta provetta, appassionata di pertiche e quadrati. Questo è stato davvero un episodio bellissimo: sarebbe stato vietato e lei ha rischiato tantissimo, non solo la carriera, ma lo ha fatto, perché mi voleva bene ma probabilmente perché lo giudicava un gesto onesto verso una sua ex-allieva; questo va detto perché non si possono etichettare le persone solo perché la vita le ha portate ad entrare in una carriera piuttosto che in un’altra.

Vuoi dire che nella scuola c’era un clima di solidarietà umana?
Certo, si era creato nella scuola un clima di affetto, di famiglia, che io non ho mai dimenticato più, e qui salta fuori l’altro ragionamento che non riguarda solo il Berchet, ma il mondo scolastico italiano in generale: se gli insegnanti, dal primo all’ultimo, dessero tutto quello che hanno dentro, non limitandosi solo alla loro materia o alla loro piccola cosa (come la Cremaschi col suo gesto mi ha dato tanto e non mi ha insegnato solo a far ginnastica), allora la scuola diventerebbe davvero formativa. Adesso si tende secondo me un po’ troppo a specializzarla, anche con i benedetti computer e con tutte quelle cosine carine lì, a renderla molto settoriale e orientata verso la professionalità: certo, il lavoro è importante, ma anche una preparazione solida etica e culturale, ti permette di fare bene poi anche l’operaio specializzato, il ragioniere, ma devi avere una formazione dentro; ed io devo dire che il Berchet la dava, almeno fino a qualche anno fa.

In cosa consisteva l’antifascismo al Berchet?
Al di là della facciata che doveva esserci per necessità di cose, con gli atti formali e la propaganda che venivano imposti, il Berchet era indubbiamente il Liceo più antifascista di Milano. Però per necessità bisognava esser molto attenti, perché al Parini, un professore che aveva fatto un discorso apertamente antifascista era stato denunciato da un suo allievo; al Berchet non si facevano discorsi apertamente antifascisti, ma neppure fascisti, e tu le sentivi le cose, in quello che dicevano Untersteiner, la Ferrighi, giocando molto sulla allusività.

In voi c’era la consapevolezza di essere una élite?
No, in noi non c’era la consapevolezza di essere una élite: avevamo famiglie di sangue blu, il conte Duraggi, il marchese Grioni, ma venivamo da tutte le parti, e c’erano persone anche semplicissime. Avevamo però la consapevolezza di essere una élite culturale e non sociale: perché avevamo dei maestri. Che poi le due cose si unissero poco male, e ci sono state persone importantissime tra gli allievi del Berchet, come Luchino Visconti, ma non è che andassero li’ perché il Berchet era il Berchet, e questo anche dopo, quando sono tornata ad insegnarci, nel 1967 (alla vigilia del ’68).

Dopo le leggi razziali come hai potuto continuare gli studi?
Maturata nel 39, dopo non potevo iscrivermi all’università a causa delle leggi razziali, poiché potevano continuare l’università le persone di origine ebraica solo se erano già iscritte; nel frattempo mi ero battezzata e la mia madrina era stata (guarda caso) la Ferrighi, che mi voleva molto bene, e che mi consigliò di iscrivermi per un anno all’università cattolica di Friburgo in Svizzera, che era mezza tedesca e mezza francese: c’era Gigon che faceva letteratura greca in tedesco e De Brenval che la faceva in francese, e Contini, che ho conosciuto là e insegnava filologia romanza. Dopo un anno, dopo due semestri, la guerra non era ancora scoppiata, ed io sono tornata in Italia; poi, prima che potessi ripartire, la guerra era scoppiata, e non mi hanno più dato il passaporto, quindi non ci sono più potuta ritornare, a meno che non andassi clandestinamente. Allora siccome una quantità di mie amiche facevano lettere all’università, sono riuscita sempre a frequentare tutte le lezioni, naturalmente senza iscrivermi, di Banfi per filosofia, di Castiglioni, con cui è nato un rapporto bellissimo, di Pisani, un maestro meraviglioso, di Vogliano per greco, con cui poi mi sono laureata.

Dopo l’armistizio la situazione è cambiata?
Dopo che sono arrivati i tedeschi me ne sono dovuta andare da Milano, dove frequentavo l’università, senza essere iscritta, in via Festa del Perdono. Allora io ho fatto la bambinaia dai Giulini, che avevano una villa a Velate, e che sapevano benissimo chi in realtà fossi, ma per nascondere la cosa io sotto falso nome facevo la bambinaia alla Fernandina e a Vittorio, che adesso è un pezzo grosso dell’industria, e sono stata benissimo, e nel frattempo continuavo a studiare. Quando finalmente il 25 aprile è venuta la liberazione, mi sono precipitata qui all’università a maggio o a giugno, e c’era allora come Preside di Facoltà Vogliano, a cui ho detto: "Io ero iscritta a Friburgo, ho perso gli anni per i motivi che lei conosce bene: cosa possiamo fare?"; e lui mi risponde: "Io se vuole la metto nel terzo anno, poi si arrangi lei a farsi gli esami". E così io il 2 luglio ho fatto subito il primo esame, quello di Pestalozza, perché Untersteiner mi aveva parlato a lungo di quel suo grande amore che è stata la religione mediterranea; poi il 2 di agosto un altro, sempre superandoli tutti; insomma ho fatto tutti gli esami in un anno, lasciandomi indietro solo geografia, perché la odiavo, che ho lasciato come ultimo esame, ed ho superato nel novembre del '46. Poi mi sono laureata il 29 marzo del ‘47, senza andare fuori corso. Mi ricordo che una volta i miei ragazzi di tanti anni fa lo avevano saputo e quel giorno sono andata a scuola e mi sono trovata una specie di banda, perché erano 30 anni da quando mi ero laureata.

Dopo la laurea?
Dopo essermi laureata ho dovuto aspettare i concorsi, che non ci sono stati subito, e sono entrata al De Amicis, dove ho fatto solo uno o due mesi, perché poi mi hanno chiamata le suore del Sacro Cuore, dove sono stata per ben sette anni e sono stata benissimo; però insegnavo alle magistrali, italiano, latino e geografia, il mio amore: ma l’ho scampata abbastanza, perché ho fatto una specie di geografia storica e mi sono divertita molto. Poi finalmente viene un concorso, ed ho vinto per la media, Rho, per il ginnasio, Casalmaggiore, che era di una scomodità impressionante, e per il liceo, Lecce: naturalmente sono andata a Rho. Nel frattempo, quando ero ancora ad insegnare dalle suore, che tra l’altro mi era molto comodo perché allora erano qui in via Andrea Doria, sono stata chiamata da Untersteiner a Genova, quindi io da via Andrea Doria filavo in stazione di corsa, perché facevo là tre giorni, andavo via il mercoledì alle 11, e facevo lezione il mercoledì pomeriggio, tutto il giovedì e il venerdì presto, per poi tornare indietro, e questo sono andata avanti a farlo anche al Berchet, ancora, per parecchi anni. A Rho ho insegnato un anno e due anni alla De Marchi, che era in Corso di Porta Romana. Poi ho detto: "Sono stufa", ed ho rifatto il concorso solo per il liceo: sono arrivata tra le prime ed ho avuto Busto Arsizio, dove ho fatto un po’ di anni, poi sono passata a Monza, per un anno, ed avevo come collega Ranzato, che era stato un mio compagno di università, e anche la Cerchiari. Poi sono andata a quel Liceo Omero, che tra le altre cose ho battezzato io: il giorno in cui lo dovevamo battezzare, un nostro collega, Quirino Principe, arriva con una enorme aquila bicipite, in legno, e la attacca lì, perché dobbiamo intestarlo a Maria Teresa D’Austria; allora io dico: "Tanto di cappello, è stata una mecenate, illuminata e tutto quello che vuoi, però a Milano tu un liceo a Maria Teresa non lo intitoli". Io avevo proposto Castiglioni, ma forse era morto da troppo poco tempo, e quindi abbiamo optato per Omero.

Tu con Valgimigli non ti sei mai incontrata?
Si’, moltissime volte, con Valgimigli, Marchesi, che furono i maestri di Untersteiner, ma anche i miei.

Concedici una domanda delicata: che significato ha avuto per te nella vita avere origini ebraiche?
Guarda, devo dirti che io sono sempre stata laica, sia prima che dopo essermi battezzata: il mio spirito è sempre stato laico, e non ho mai praticato molto.    Soprattutto da ragazzina non ho mai sentito di essere nulla di diverso, e c'è voluto il fascismo per farmelo sentire: infatti i fascisti avevano diviso le classi in maschili e femminili, mettendo le femmine nella sezione B, e facendoci diventare una classe di 42. Eravamo in sette ad essere ebree, e solo allora mi sono accorta che anch’io ero come loro, mentre prima non me ne ero mai accorta; questo non ha mai voluto dire nulla per me né prima né dopo, quindi non mi sono mai accostata alle tradizioni e ai riti ebraici, ma non fu per me una tradizione nemmeno quella cattolica.

LA PROF.SSA SACERDOTI
COME INSEGNANTE AL BERCHET
(1967-1982)


La professoressa durante una sua lezione.
Berchet  anni '70.

In quale anno hai cominciato ad insegnare al Berchet?
Io ho iniziato ad insegnare al Berchet nel 1967... proprio poco prima dell'inizio della contestazione studentesca del '68.

Con quali presidi sei entrata in contatto in quegli anni?
Io conobbi Colombo solo come uomo e studioso, poiché abbiamo avuto degli scambi di articoletti, ma non lo conobbi come preside. Tutti però mi dicono che era una persona meravigliosa, un vero e proprio signore. Dopo che se ne andò Colombo arrivò Resta, ma con lui c’era un clima che non mi piaceva; invece Barbarito era un uomo meraviglioso.

Gli studi classici erano a quel tempo contestati dai ragazzi?
Certamente: nel periodo della contestazione si diceva che queste cose non servivano a niente, e c’è voluta tutta la mia pazienza ed anche tutta la mia capacità di trascinare per fare vedere che invece importavano, e ci sono riuscita: importavano, non nel senso che importava tradurre bene o male una frase, ma quando leggevamo certe cose e ne parlavamo in classe, sono venute fuori delle cose stupende, che so che sono state poi recepite. Per questo io vorrei lanciare un messaggio: non affossiamo gli studi classici, perché aprono la testa per tutto, tanto che io conosco fior di ingegneri, di medici, di informatici e di economisti che si sono formati in questa scuola. Per farti un esempio, non dimentichiamo che molto di quello che oggi abbiamo scoperto e rivalutato, nel calcolo, nel senso della relatività, i Greci, soprattutto quelli dell’età Ellenistica, lo conoscevano già, lo avevano già scoperto; poi il Medioevo, ma anche il Rinascimento, nel cercare l’assoluto, hanno affossato tutto: così Zenone, con il suo argomento della tartaruga, ha preceduto Einstein. Per questo io sostengo che anche tutti gli studiosi di altri campi devono avere una base ed un fondamento di questo tipo.

Furono anni in cui una fase di contrapposizione di parti entrò anche in luoghi che avrebbero dovuto restarne fuori…
Sì, ma guarda che se noi facciamo dell’accademismo, se noi viviamo la cultura come accademia, allora è la rovina anche della cultura: cultura è anche vivere i fatti reali. Quando arrivò la notizia della bomba a Brescia, a piazza della Loggia, non potei più trattenerli, ed essi uscirono subito e se ne andarono, mentre eravamo a scuola, ma questa partecipazione fu giustissima: devo dirti anche che furono anni belli, anche se ci furono degli eccessi, perché c’era veramente una realtà dentro.

Cosa ci puoi dire dei tuoi rapporti con i tuoi studenti?
Devo dirti che io sono veramente molto grata ad alcune classi, perché mi hanno dato tanto, ed ancora adesso mi accorgo che abbiamo tante cose da dirci, anche se facciamo lavori diversi, e ciò significa che abbiamo vissuto anche quei momenti un po’ difficilotti di cui parlavamo prima, ed in cui il preside Barbarito si comportava così bene; infatti tutte le volte che c’era una occupazione gli venivano delle rughine perché si arrabbiava un po’, ma non riusciva mai a fare nulla che fosse eccessivo, ed effettivamente violento e autoritario. Inoltre io in quegli anni avevo la casa a Sori, e arrivavano, ogni tanto, senza che ci pensassi, dei miei studenti, e questo è veramente bello. Questo credo che derivasse dal mio modo di insegnare, tanto che mi sentivo quasi Socrate, con i discepoli vicini. Tutto questo era fondato sui contenuti della cultura, una cultura che però non si impone agli altri, che nasce da noi, e fu qualcosa di così autentico che ancora adesso, qualunque cosa importante facciano, mi scrivono, mi telefonano e siamo amici.

Per concludere, quali differenze vedresti tra la scuola di allora e quella di adesso?
Vorrei insistere su una cosa: non facciamo soltanto una lode al Berchet e al liceo classico in generale, ma vediamo di vedere i valori che vale la pena di continuare a difendere. Sicuramente a quel tempo la classe docente produceva ed il liceo non era estraneo dal mondo della cultura, ma adesso c’è anche un fraintendimento di come deve essere il rapporto con l’esterno, perché oggi si pensa che solo una scuola che ti faccia da tirocinio per un lavoro particolare sia valida. Questo è un po’ il retaggio del ’68, perché anche allora si diceva che la scuola era avulsa dalla vita: oggi lo è ancora di più, anzi è come asettica di fronte alla complessità della realtà odierna. Inoltre ora, al contrario di allora, le persone più valide non insegnano più al liceo prima di andare ad insegnare all’università, e così saltano direttamente la scuola superiore, perdendo tantissimo loro stesse, in termini di esperienza, e facendo perdere molto anche alla scuola.


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