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Il prof. Pio Foà
con Gabriella Untersteiner
Piazza Libia - Milano, 1941 |
Era la sera del 31 ottobre 1943. Pio
Foà, al passo della Maiocca, sopra Como, strappata la terra alla terra,
aprì un passaggio sotto la rete metallica, sì da fuggire in Svizzera.
Mentre con gesti sicuri eppure pazienti aiutava i figli
nell'attraversamento, d'improvviso il silenzio fu rotto dal segnale
prodotto dall'urto del piccolo Giorgio contro il filo spinato, e la
libertà appena conquistata gli parve subito più pesante del rischio di una
cattura mortale.
Lo sguardo di Pio si era fatto cupo e senza gioia: non poteva sostenere
l'incerta fuga dell'altra figlia Anna (oggi in Israele) rimasta al di là
della linea, né mai avrebbe potuto lasciare sola Enrica, la minore,
mentre, in preda alla paura, veniva catturata. Tornò indietro col
figlioletto e da quel momento Pio fu preda da sacrificare all'ariano.
Pio Foà non ci ha lasciato scritti. Il commento al II libro di Erodoto,
che in una nota dell'aprile 1936 dice di aver consegnato pronto per la
stampa all'editore Carabba, io non sono riuscito a trovarlo, ed anche la
cartella personale custodita presso il Liceo Berchet, dove, dopo avervi
studiato, insegnò dal 1925 al 15 settembre 1937, è estremamente parca di
notizie, così come dell'attività di Ispettore dell'Istituto Israelitico
(scuole elementari e giardino d'infanzia) non è rimasta traccia.
Eppure egli non è stato dimenticato. Pio amò nei suoi figli il suo Dio,
sperò per tutti loro l'impossibile e quando insieme a loro precipitò
dentro la Shoah, la catastrofe, neppure allora dimenticò la sua fede.
Fu per fede che Pio, gracile nel corpo e da tempo debole per una grave
forma di nefrite, seppe infondere forza ai compagni di quel tremendo
viaggio attraverso la Germania, invitandoli al canto e alla preghiera.
Molti avrebbe salvato col suo esempio. Non però se stesso, poiché ad
Auschwitz, la figura tribolata della sua carne e la giovinezza del figlio,
utili a niente, erano criterio scientifico per decidere chi immediatamente
dissolvere nel fuoco.
La bellezza condannò Enrica, la figlia sedicenne, a toccare, prima di
morire, l'abisso oscuro del male.
In Genesi, 28,15, queste sono le parole di Dio a Giacobbe: "Ecco, Io sono
con te: ti custodirò dovunque andrai". Pio sapeva che ad Auschwitz Dio,
umiliato e muto, pativa la più grande profanazione della storia, coinvolto
nelle immani sofferenze di vittime cui era negato anche il martirio, in
quanto fu loro negata ogni scelta.
Per questo, contro tutto, continuò a credere e non lasciò che si oscurasse
quel Nome, che sempre aveva interrogato nei suoi studi di storia, di
letteratura e d'esegesi biblica, passione irrinunciabile e costitutiva
della sua vita, come ricorda in una pagina autografa del 18 maggio 1936,
in risposta alla richiesta di informazioni delle autorità sull'attività
extrascolastiche svolte dai docenti.
Questa sua fede acceca noi lontani spettatori ma è perfettamente intesa da
chi potè raccogliere il bagliore incandescente dei suoi occhi viventi. In
essi gli alunni della sezione C del Ginnasio del Berchet sentivano la sua
anima come "luce che subitamente si accende da una scintilla di fuoco" per
nutrirsi poi di essa così ricca di sapienza greca, ebraica ed orientale.
Una compossibilità di culture e tradizioni che per lui rappresentava del
resto la fertile radice di una positiva relazione fra diversi. A
cominciare dall'amore per Michelina Biancotti, di religione cattolica,
sposata nel 1923 con il pieno accordo di dichiarare ed educare i figli
come ebrei, alle discussioni con Achille Ratti (il futuro Papa Pio XI)
all'Ambrosiana ed al modo con cui curava la formazione, non solo
didattica, dei suoi studenti, mediante un insegnamento capace di lasciare,
come dice il Cantico dei Cantici, "sul loro cuore" l'orma incancellabile
della sua umanità. Non è un caso che sia stato proprio lui a fondare la
biblioteca degli alunni del Berchet, estendendone al pomeriggio del
venerdì la consultazione, dopo avere, come tiene a sottolineare,
"completamente riordinato, o meglio ordinato, quella dei docenti".
Nel corso del 1937, peggioratesi le sue condizioni di salute, ottiene un
congedo per malattia dal 18 gennaio al 17 febbraio e viene sostituito da
un docente "regolarmente iscritto al PNF", come puntigliosamente precisa
il preside del tempo. Pio, nonostante le pressioni di amici e parenti
perché prendesse la tessera del partito fascista, non aveva mai accettato
di iscriversi, dichiarandosi fin dal 1919, anno di fondazione dei fasci di
combattimento, seguace del socialista Turati.
Poi, nella forma di una comunicazione ministeriale, laconica, improvvisa,
violenta, l'inizio della tragedia; il 10 settembre 1937, anno XV dell'era
fascista, gli viene notificato dal Ministero dell'Educazione Nazionale il
trasferimento per servizio al Regio Liceo Ginnasio di Cividale del Friuli
(Udine) con decorrenza dal 16 settembre 1937.
Giorgio Foà con Gabriella
Untersteiner
Casa Untersteiner, gennaio 1938 |
Impossibile non cogliere in questa
decisione il fare muto ed efficace della ferocia fascista che sperimenta e
anticipa su Pio quello che l'anno dopo, nel 1938, con le leggi razziali,
diventerà la politica ufficiale della persecuzione degli ebrei. Che fosse
da tempo sotto stretta sorveglianza, lo si può dedurre del resto da una
sibillina richiesta di informazioni rivolta al preside del Berchet da
parte del Provveditore agli Studi, in data 3 gennaio 1936, finalizzata a
sapere se Pio avesse denunziato e ottenuto regolare autorizzazione di
insegnare presso l'Ente Milanese per il Commercio, dov'egli in
effetti prestava tre ore settimanali di servizio da alcuni mesi, nel
tentativo di rimediare alle precarie condizioni economiche della famiglia,
acuitesi dopo la morte della moglie.
L'autorizzazione ministeriale che, in via eccezionale, per il 1936 gli
viene alla fine concessa, probabilmente per non smentire quella già
formalmente datagli dal preside, sarà l'anno dopo seguita dalla
comunicazione, già ricordata, del trasferimento da Milano, che, se
accettato, avrebbe comportato una insostenibile situazione familiare e la
separazione dai figli.
Sempre nel 1936 era stato denunciato insieme ad altri colleghi da un
docente che collaborava con l'OVRA e che servilmente eseguiva l'ordine che
lo stesso Mussolini aveva comunicato con telegramma fin dal 26 maggio 1931
al Ministro dell'Educazione Nazionale: "E' urgente ripulire Liceo Berchet
da tutti i professori antifascisti, tipo Mondolfo, Ghisalberti, Huntersteiner.
Vostra Eccellenza riceverà in proposito un grave dettagliato rapporto
della P.S.".
Alla fine, per l'intervento di amici, il trasferimento a Cividale del
Friuli viene sostituito con quello a Varese, presso il Liceo Ginnasio
Cairoli. Bandito l'anno seguente da tutte le scuole, organizza insieme a
Joseph Colombo per la comunità ebraica la scuola media nei locali che
ospitavano anche la materna e la elementare, dedicandosi al difficile
lavoro di formazione e di custodia dell'identità negata dei suoi studenti.
Dopo di allora il silenzio delle carte ma non l'oblio degli uomini.
L'ingiunzione assoluta a ricordare della comunità di Israele non consiste
nell'abbondanza della documentazione posseduta o nella curiosità verso
molteplici accadimenti, né è originata dal desiderio di tramandare eroiche
gesta (molte fra le narrazioni della Santa Bibbia Ebraica sembrano quasi
composte allo scopo di sminuire l'orgoglio nazionale). Il vero pericolo
non è infatti che si possa dimenticare quel che è accaduto nel passato, ma
che si trascuri il senso per noi di quegli eventi che si sono verificati.
Si ricordano le sventure, si ricerca l'ammaestramento, si rammenta ciò che
serve alla salvezza. Il ricordo è per noi, mai anche per Dio.
Se esso svanisce - scrive Walter Benjamin - "neppure i morti saranno al
sicuro dal nemico".
Per come ha pensato, amato, agito ed insegnato Pio è salvo nel
ricordo di chi lo ha conosciuto, dei suoi alunni ormai anziani come i
signori Guido Lopez, Dino Voghera, Matilde ed Elena Lombroso Morpurgo,
Augusta Perussia, Bianca Maria Grisoni, Adelina Provenzali, Emilia Candia
e Linda Candia Untersteiner, da cui ho appreso ciò a che a voi ho narrato
e affidato, seguendo il filo scarlatto della loro memoria.
Shema' ve zachòr et haggadà tovà: "ascolta dunque e ricorda" la
bella storia del nostro Pio Foà.
Milano, gennaio 2003 |
Prof. Guido Panseri |
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