L’opera di Apuleio, Le Metamorfosi, o Asinus Aureus (titolo testimoniato da Agostino), propone come il Satyricon, problemi complessi, sia per quanto riguarda le fonti e la composizione, sia per quanto concerne l’interpretazione generale. Infatti all’interno dell’intreccio principale, desunto dalla tradizione milesia, si inseriscono innumerevoli digressioni costituite da vicende di vario tipo, dove il magico si alterna con l’epico (nelle storie dei briganti) col tragico e col comico. Apuleio, come Petronio, utilizzò gli schemi narrativi tratti dal patrimonio milesio, per esprimere attraverso di essi la crisi della sua epoca e le inquietudini e i problemi del suo tempo.

La principale innovazione, apportata da Apuleio alla tradizione del romanzo, è il rilievo dato all’elemento mistico e religioso. Nel II sec. d.C. si diffondono dottrine religiose di tipo misterico: Iside, Mitra, Ermete, i misteri orfici, divengono i poli di riferimento all’inquietudine religiosa dell’epoca. In questo nuovo clima di ricerca spirituale, determinato da forti spinte irrazionalistiche, trova largo spazio una nuova concezione dell’arte magica. Nelle Metamorfosi il giudizio sulla magia è decisamente negativo. Essa provoca la trasformazione di Lucio in asino, simbolo della degradazione dell’uomo. Solo grazie ad una seconda metamorfosi, dovuta esclusivamente alla misericordia isiaca, il protagonista riacquista le proprie fattezze umane.

Al di là della caleidoscopica varietà ed inventività narrativa, l’opera, dunque, si può interpretare ad un livello più profondo, in una chiave allegorica, di cui sono segnali il proemio, la favola di Amore e Psiche, l’XI libro e, in particolare, l’epilogo: Le Metamorfosi sono, in tal senso, da leggersi come il percorso iniziatico dell’anima dalla degradazione e dall’abiezione morale alla redenzione. A tutta l’opera è sotteso, quindi, un messaggio religioso: la salvezza dell’uomo non avviene grazie alla sua opera, ma è un dono gratuito della divinità.