Le Rivoluzioni del 1989, a volte chiamate l'Autunno delle Nazioni, furono un'ondata rivoluzionaria avvenuta nell'Europa Centrale ed Orientale nell'autunno del 1989, quando diversi partiti comunisti furono rovesciati nel giro di pochi mesi. Il nome dato a questo evento ricorda quello delle Rivoluzioni del 1848, conosciute come la Primavera delle Nazioni. L'Autunno delle Nazioni iniziò in Polonia e si espanse anche all'estero, perlopiù in maniera pacifica, nella Germania Est, Cecoslovacchia, Ungheria, Bulgaria, mentre la Romania fu l'unica nazione del blocco orientale che rovesciò il regime in maniera violenta giustiziando il capo di stato. Questo evento alterò drasticamente la bilancia dei poteri mondiali, segnando, insieme al collasso dell'Unione Sovietica, la fine della Guerra Fredda e l'inizio dell'era post-Guerra Fredda.
Anche se diversi stati del blocco sovietico avevano sperimentato deboli riforme economiche e politiche dagli anni '70, l'avvento del riformista Mikhail Gorbacev alla guida dell'Unione Sovietica nel 1985, segnò il percorso irreversibile verso la grande liberalizzazione. Nella metà degli anni '80 si instaurò una nuova generazione di dirigenti dell'URSS che propose riforme di modernizzazione per uscire dal periodo di stagnazione di Breznev. L'Unione Sovietica stata affrontando un periodo di grave declino economico, ed aveva bisogno della tecnologia occidentale e di fondi per far fronte all'arretratezza del Paese. Il costo del mantenimento del cosiddetto "impero sovietico", delle milizie, del KGB stavano rapidamente prosciugando l'economia sovietica già in crisi.
I primi segnali di grandi riforme giunsero nel 1986, quando Gorbacev inaugurò la politica di "glasnost" (trasparenza) nell'Unione Sovietica, e sottolineò il bisogno di riforma economica, la "Perestroika" (ricostruzione economica). Dalla primavera del 1989, l'URSS sperimentò per la prima volta il dibattito mediatico, e tenne per la prima volta elezioni multipartitiche. Il "nuovo pensiero" di Mosca inevitabilmente si rifletté anche nell'Europa Orientale: l'URSS, che fino a quel momento aveva soppresso con la forza qualunque dissenso negli stati satelliti, iniziò a tollerare e anche a incoraggiare le riforme in questi Paesi.
La visita di Gorbacev alla Repubblica Popolare Cinese il 15 maggio durante la prima rivoluzione del 1989, la protesta di piazza Tiananmen, portò molte nuove agenzie a Beijing, e i loro ritratti dei protestanti aiutarono a galvanizzare lo spirito di liberazione tra gli stati dell'Europa dell'Est che stavano guardando. La leadership cinese, in particolare il Segretario Generale del Partito Comunista Zhao Ziyang, essendo giunti prima dei sovietici a riformare l'economia, erano aperti alle riforme politiche, ma non al costo di un potenziale ritorno al disordine della Rivoluzione culturale.
Il maggiore ostacolo di Mosca a migliorare le relazioni con le potenze occidentali rimase la cortina di ferro che esisteva tra l'est e l'ovest. Finché l'Unione Sovietica continuò ad usare la forza per rafforzare la sua influenza sull'Europa dell'Est, sembrò improbabile che Mosca potesse attaccare il supporto occidentale necessario per le riforme. Gorbacev spinse i suoi omologhi dell'Europa Orientale a imitare la perestroika e glasnost, tuttavia, anche se i riformisti di Ungheria e Polonia erano rafforzati dalla forza di liberalizzazione che si estendeva da est a ovest, gli altri stati del blocco orientale rimasero apertamente scettici e dimostrarono una generale avversione per le riforme. L'esperienza passata aveva dimostrato che anche se le riforme nell'URSS erano possibili, la pressione di cambiamento nell'Europa orientale poteva divenire incontrollabile: i regimi mantennero le loro idee e continuarono il loro autoritarismo in stile sovietico, supportato dalla forza militare dell'URSS e dagli aiuti economici. Credendo che le riforme di Gorbacev avrebbero avuto vita breve, i governatori comunisti ortodossi, come Erich Honecker nella Germania Est, Todor Zhivkov in Bulgaria e Gustáv Husák in Cecoslovacchia ignorarono le richieste moscovite di cambiamento.
Nel 1989, l'Unione Sovietica aveva abbandonato la Dottrina Breznev in favore di un non-interventismo negli affari interni dei suoi alleati del Patto di Varsavia. La Polonia, seguita dall'Ungheria, divennero i primi paesi del Patto di Varsavia a rompere i legami con la dominazione sovietica.
Le manifestazioni operaie in Polonia negli anni '80 avevano portato alla formazione di un sindacato indipendente, Solidarnosc, guidato da Lech Walesa, che in poco tempo divenne una forza politica. Il 13 dicembre 1981, il leader comunista Wojciech Jaruzelski, temendo un intervento sovietico, decise di abbattere Solidarnosc, dichiarando la legge marziale in Polonia, sospendendo l'unione e improgionando temporaneamente la maggior parte dei suoi capi. Verso la metà degli anni '80, Solidarnosc rimase la sola organizzazione supportata dalla Chiesa cattolica e dalla CIA, e verso la fine del decennio divenne sufficientemente forte da impedire i tentativi di Jaruzelski di riforma: gli scioperi nazionali del 1988 obbligarono il governo ad aprire un dialogo con Solidarnosc.
Nell'aprile 1989 Solidarnosc venne nuovamente legalizzata, ed autorizzata a partecipare alle elezioni parlamentari del 4 giugno dello stesso anno (il giorno seguente alla repressione delle proteste studentesche in piazza Tienanmen a Pechino). La vittoria di Solidarnosc smentì tutte le previsioni: i suoi candidati conquistarono tutti i seggi possibili nel Sejm, e 99 seggi su 100 al senato. Molti importanti candidati comunisti non ottennero nemmeno il numero minimo di voti per accedere ai seggi a loro riservati: un nuovo governo, non comunista, il primo nella sua singolarità nell'Europa orientale, si insediò nel settembre 1989.
Seguendo la spinta della Polonia, anche l'Ungheria era vicina all'indipendenza. Sebbene fossero state raggiunte riforme economiche e liberalizzazioni politiche durante gli anni '80, le principali riforme avvennero solo a seguito della sostituzione di Janos Kadar come Segretario Generale del Partito comunista nel 1988. Quello stesso anno, il Parlamento adottò un "pacchetto democratico", che includeva il pluralismo nei commerci, libertà di associazione, assemblea e stampa, una nuova legge elettorale e una radicale revisione della Costituzione, insieme ad altre novità.
Nell'ottobre 1989 il Partito comunista si riunì nell'ultimo congresso e si ridefinì come Partito Socialista ungherese. In una storica seduta dal 16 ottobre al 20 ottobre, il Parlamento adottò una legislazione che prevedeva elezioni parlamentari multipartitiche e l'elezione presidenziale diretta. Questa legislazione trasformò l'Ungheria da Repubblica popolare in Repubblica di Ungheria, garantendo diritti civili e umani e creando una struttura istituzionale che assicurava la separazione dei poteri giudiziario, esecutivo e legislativo.
Seguendo la scia degli avvenimenti della vicina Germania Est e l'assenza di ogni reazione sovietica, la Cecoslovacchia si riversò nelle strade per chiedere elezioni libere. Il 17 novembre 1989 una manifestazione pacifica studentesca a Praga fu caricata dalla polizia antisommossa; questa reazione causò una serie di manifestazioni pubbliche dal 19 novembre fino a dicembre, e uno sciopero generale di due ore il 27 novembre. Dal 20 novembre si radunò a Praga un gran numero di protestanti pacifici, che raggiunsero la cifra di 500.000 persone riunite.
Insieme alla caduta degli altri regimi comunisti e con la crescita delle manifestazioni di piazza, il Partito Comunista di Cecoslovacchia annunciò il 28 novembre che avrebbe rinunciato al monopolio sul potere politico. Fu rimosso il filo spinato al confine con la Germania Ovest e l'Austria nel mese di dicembre. Una targa visibile a Praga riassume gli avvenimenti in poche parole: "Polonia - 10 anni; Ungheria - 10 mesi; Germania Est - 10 settimane; Cecoslovacchia - 10 giorni" ("Romania - 10 ore" fu aggiunto dopo la Rivoluzione romena).
Il 10 dicembre il leader comunista Gustav Husak nominò il primo governo non comunista in Cecoslovacchia dal 1948 e si dimise. Alexander Dubcek fu eletto presidente del Parlamento federale il 28 dicembre e Vaclav Havel divenne Capo di Stato il 29 dicembre.
Il 10 novembre 1989, il giorno dopo la caduta del Muro di Berlino, il leader della Bulgaria Todor Zhivkov fu rigettato dal suo Politburo. Mosca in apparenza approvò il cambiamento alla dirigenza, nonostante la reputazione di Zhivkov come alleato sovietico slavo. L'abbandono di Zhivkov non soddisfece comunque il crescente movimento a favore della democrazia: la folla si riunì a Sofia per chiedere più riforme e democratizzazione. Il Partito Comunista allora rinunciò al potere nel febbraio 1990 e nel giugno 1990 si tennero le prime elezioni libere in Bulgaria dal 1931. Zhivkov subì un processo nel 1991, ma scampò alla fine violenta del suo omologo della Romania, Nicolae Ceausescu
Diversamente dagli altri stati dell'Europa orientale, la Romania non aveva mai sperimentato il processo di de-stalinizzazione. Nel novembre 1989, Nicolae Ceausescu, all'età di 71 anni, fu rieletto per altri 5 come leader del Partito Comunista Romeno, segnale del fatto che intendeva abbattere le rivolte anti-comuniste che serpeggiavano negli altri paesi vicini. Mentre Ceausescu si preparava a una visita di stato in Iran, la sua sicurezza ordinò l'arresto e l'esilio di un parroco ungherese locale calvinista, Laszlo Tokes, per avere fatto sermoni contro il regime. Tokes fu arrestato, ma riuscì ad evadere poco dopo. Dopo aver ascoltato la cronaca del fatto dalle radio occidentali, gli anni di insoddisfazione repressa vennero a galla e nella popolazione romena scoppiò la rivolta.
Ritornando dall'Iran, Ceausescu ordinò che la rivolta fosse soppressa fuori dai quartieri generali del Partito Comunista a Bucarest. Dapprima le forze di sicurezza obbedirono ai suoi ordini sparando anche sulla folla, ma la mattina del 22 dicembre le forze armate romene cambiarono tattica: l'esercito iniziò a muoversi contro il Comitato Centrale, cercando di catturare Ceausescu e la moglie, Elena, che però riuscirono a scappare in elicottero.
Nonostante la soddisfazione che seguì alla partenza dei Ceausescu, la loro sorte rimase incerta. Il giorno di natale la televisione romena mostrò il dittatore e la migliaia che affrontavano un processo sommario, seguito dall'esecuzione. Un Consiglio per la Salvezza Nazionale provvisorio colmò il vuoto di potere, e annunciò le elezioni per il maggio 1990.
Verso la fine del 1989, le rivolte erano scoppiate in tutti gli stati, rivoltando i regimi imposti dopo la seconda guerra mondiale. Anche in regime isolazionista dell'Albania dovette sostenere l'impatto delle rivolte popolari. L'abrogazione della Dottrina Breznev da parte di Mikhail Gorbacev fu forse il fattore che più di tutti sollevò le popolazioni: una volta divenuto evidente che l'Armata Rossa non sarebbe intervenuta per sedare il dissenso, i regimi dell'Europa dell'Est furono lasciati nella loro vulnerabilità ad affrontare il popolo che si opponeva al sistema mono-partitico. Alcuni hanno sostenuto che, nel momento in cui l'Unione Sovietica stava declinando economicamente e aveva bisogno del supporto dell'Occidente, l'Europa dell'Est stava iniziando a risollevarsi. E' inoltre improbabile che Gorbacev abbia mai pensato di smantellare completamente il Comunismo e il Patto di Varsavia; è piuttosto più probabile che intendesse solo fornire il supporto per uno sviluppo della Perestroika e del glasnost in tutti i Paesi della sua area di influenza.
Il 3 dicembre 1989 i leader delle due superpotenze mondiali dichiararono la fine della Guerra Fredda a un summit a Malta. Nel luglio 1990 fu rimosso l'ultimo ostacolo alla riunificazione della Germania, quando il cancelliere della Germania Ovest Helmut Kohl convinse Gorbacev a rinunciare alle obiezioni di una Germania riunificata all'interno della NATO.
Il 1° luglio 1991 il Patto di Varsavia si sciolse ufficialmente durante una riunione a Praga. Nello stesso mese, Gorbacev e il Presidente statunitense George H.W. Bush dichiararono un'amicizia strategica americano-sovietica, segnando definitivamente la fine della guerra fredda. Il Presidente Bush dichiarò che la cooperazione statunitense-sovietica durante la Guerra del Golfo nel 1990-1991 aveva gettato le fondamenta per un punto d'incontro per risolvere i problemi mondiali.
Mentre l'URSS ritirava rapidamente le sue forze dall'Europa orientale, le conseguenze delle rivolte popolari del 1989 riverberarono anche all'interno dell'Unione Sovietica stessa. Si verificarono agitazioni nei Paesi baltici per l'auto-determinazione, che portarono prima la Lituania, poi l'Estonia e infine la Lettonia a dichiarare l'indipendenza. Ci furono scontenti anche in altre repubbliche sovietiche come nella RSS Georgiana e nella RSS dell'Azerbaijan, che furono sedate con promesse di grandi decentralizzazioni. Si verificarono anche elezioni più aperte, che portatono all'elezione di candidati opposti al regime del Partito Comunista.
La glasnost aveva risvegliato i sentimenti nazionali a lungo soppressi di tutti i popoli all'interno dei confini dello stato multinazionale sovietico: questi movimenti nazionali furono in seguito rafforzati dall'economia sovietica in declino. Le riforme di Gorbacev erano fallite nel migliorare l'economia, e la vecchia classe dirigente sovietica si stava completamente spaccando. Una dopo l'altra, le repubbliche costituenti crearono il loro sistemi economici e votarono per subordinare le leggi sovietiche a quelle locali.
Nel tentativo di fermare i rapidi cambiamenti del sistema, un gruppo di conservatori sovietici, guidati dal Vice-Presidente Gennadi Yanayev attuarono il colpo di stato del 1991 a Mosca, rovesciando Mikhail Gorbacev nel mese di agosto. Il Presidente russo Boris Yeltsin guidò l'esercito e la popolazione contro il colpo di stato, che dovette soccombere; anche con la sua autorità confermata, Gorbacev aveva tuttavia perso irrimediabilmente il vecchio potere.
Nel mese di settembre fu concessa l'indipendenza ai Paesi baltici, il 1° dicembre l'Ucraina si staccò dall'URSS con un referendum, il 26 dicembre 1991 l'Unione Sovietica fu definitivamente sciolta, dividendosi in quindici parti costituenti: finì così il più grande e il più influente regime comunista del mondo.