Nel primo fascicolo dello scorso anno questa Rivista aveva già
dato notizia del convegno che si era svolto a Trento e a Rovereto, in febbraio, in
occasione del centenario della nascita di Mario Untersteiner, organizzato dalla
Associazione Italiana di Cultura Classica in collaborazione con il Dipartimento di Scienze
filologiche e storiche dell'Università di Trento e con l'Accademia roveretana degli
Agiati. Giovanni Rota aveva brevemente, ma con molta precisione, presentato le ventuno
relazioni di italiani e stranieri in parte dedicate all'opera di Mario Untersteiner in
parte su temi discussi dall'illustre studioso. Ora sono già disponibili gli atti: Dalla
lirica al teatro: nel ricordo di Mario Untersteiner, 1899-1999, a cura di Luigi
Belloni, Vittorio Citti, Lia de Finis (Università degli Studi di Trento, 1999).
Oltre alle relazioni gli atti contengono una preziosa appendice: quel commento alle Coefore
1-86, rimasto inedito, opera che avrebbe dovuto completare l'edizione del testo, uscita a
Como nel 1946, ma limitatamente all'introduzione, testo critico e traduzione. L'appendice
comprende anche un affettuoso scritto del fedele allievo Antonio Mario Battegazzore,
La
scuola deve essere amicizia. Il titolo coglie assai bene lo spirito dell'insegnamento
di Untersteiner sia nei confronti degli studenti, sia dell'istituzione scolastica, fosse
essa il liceo o l'università. Dice Battegazzore: "Oggi Untersteiner avrebbe
condannato la philia di un buonismo che non fa maturare (e che trasforma anche le
conquiste in uno sterile rito), e avrebbe ribadito la philia dell'autorevolezza e
del carisma, una philia da riconquistare ogni giorno, e non da elargire come atto
dovuto". Ancora Fabio Rosa, Edipo nelle Langhe, ritorna su La luna e i
falò, l'ultimo romanzo di Cesare Pavese. E' noto quanto Pavese e quel romanzo
fossero cari a Untersteiner, e la corrispondenza intellettuale intercorsa fra i due
autori. In una lettera dell'agosto del '50 Untersteiner scrive:
"Sono costernato per la morte dell'amico Pavese.
Sento un grandioso mistero, che si è compiuto... L'epigrafe che scrisse sul libro di
Leucò - a me particolarmente caro - è qualcosa che stupisce: io sento la potenza di quel
'Va bene?' ...è una parola di dominio e di fermezza. E di stacco. Credo che molto
raramente si troverà sì scarna schiettezza davanti al mistero".
Non è il caso di illustrare qui i singoli contributi di questi
atti. Tutti molto puntuali, richiederebbero un discorso lungo e complesso. Li affidiamo al
lettore che sceglierà secondo i propri interessi, e in ogni caso troverà occasione per
approfondire le proprie conoscenze. Detto questo, penso invece che sia utile e necessario,
data la sede e almeno per i più giovani, spendere qualche parola sulla figura di questo
grande studioso. Non dimentichiamo che questa rivista fu fondata e diretta dal 1946 al
1952 da Mario Dal Pra, Bruno Nardi e, appunto, Mario Untersteiner. In quegli anni la sua
collaborazione fu notevole, e non mancò mai neppure negli anni successivi. Che egli fosse
veramente un maestro e un esempio di rigore politico e morale, va detto, e ripetuto,
perché il caso non è comune nella cosiddetta comunità scientifica e accademica. Una
vita condotta in disparte, ispirata a francescana modestia, ma vigile e pronta ad
intervenire di fronte agli avvenimenti politici. Non credo di fargli torto se dico: la
vita più di un lavoratore che di un intellettuale.
Ho conosciuto tardi Untersteiner, non prima degli anni Sessanta, dopo che lo ebbi
come commissario alla libera docenza del 1958. Quando da Urbino risalivo a Milano non
mancavo di fargli visita e di avere con lui conversazioni assai vivaci sui temi più
disparati: sì, i nostri studi, la vita accademica anche, ma soprattutto politica e
letteratura. Che fosse un lettore onnivoro lo dimostrano i suoi libri, e in fondo quel
sistema dossografico che vi si trova alla base; ma non immaginavo tanta passione per la
letteratura e una cultura storica così solida e varia. Non posso passare sotto silenzio
un aneddoto che dice tutto sullo stile dell'uomo e dello studioso. Nel 1959 o '60 passai
da Milano in piena estate, credo fosse luglio; pensai di telefonargli, ma senza speranza
perché sapevo delle sue sacrosante vacanze in montagna e al mare per interrompere il
ritmo frenetico del lavoro. Invece c'era e mi disse subito di andare a trovarlo.
Naturalmente gli chiesi come mai fosse a Milano in quel periodo. La sua risposta avrebbe
meritato di essere stampata e fatta circolare fra i nostri giovani, ma anche fra i nostri
anziani colleghi: "Vedi, a Genova insegnavo letteratura greca, ora a Milano ho la
cattedra di filosofia antica. Debbo dirti la verità: non avevo ancora letto pagina per
pagina e quindi non avevo sistematicamente schedato lo Zeller. Ora come professore di
filosofia antica mi sono sentito in dovere di farlo". Rimasi stupefatto, e di colpo
capii che cosa fosse la ricerca scientifica fatta sul serio, come fossero possibili lavori
come quelli di Mommsen, ma soprattutto mi si svelò che cosa intendesse Arnaldo Momigliano
parlando di endurance a proposito di certi grandi studiosi ebrei - un termine che
poteva applicare per primo a se stesso.
I nostri incontri furono più frequenti negli ultimissimi anni quando lavorai, con
Massimo Venturi Ferriolo, alla messa a punto per la pubblicazione del manoscritto Problemi
di filologia filosofica. La sua comprensione e generosità nei nostri confronti (ci
volle un certo coraggio ad affrontare quel compito) furono senza limiti, ed è questo un
tratto che mi piace ricordare, tipico del suo rispetto per i più giovani e per il loro
lavoro.
Era nato a Rovereto il 2 agosto 1899 in una famiglia di giuristi ma anche di
intelligenti industriali. Lì aveva studiato e ricordò sempre con piacere la serietà di
quelle scuole. La famiglia, nota per sentimenti irredentistici, dovette trasferirsi a
Milano, e qui continuò gli studi al liceo Beccaria e all'Accademia Scientifico Letteraria
(così si chiamava l'autonoma Facoltà di Lettere). Vi incontrò autentici maestri:
Umberto Pestalozza, Remigio Sabbadini e quel Piero Martinetti che faceva lezione alle
sette e mezza del mattino perché aveva fra i suoi uditori, pare, operai e impiegati, e
che lasciò la cattedra nel '31 per non giurare fedeltà al regime. Credo che Untersteiner
debba a Martinetti il senso del problema religioso vissuto e coltivato da un laico e il
rigore politico, cioè morale. Penso che il suo antifascismo e il suo laicismo profondo e
coerente nascano anche di qui, e si coniugarono con una ispirazione socialista che poteva
derivargli da Giuseppe Rensi, altro filosofo perseguitato, laico, scettico, materialista,
infine ateo. Furono un'amicizia e un'ispirazione filosofica intense, e Untersteiner non
mancò di riconoscerlo in più occasioni.
Insegnò latino e greco al liceo Berchet dal 1926 senza prendere, come si esprimeva,
la "tragica tessera": nonostante l'intervento personale di Mussolini,
Untersteiner e Guido Ugo Mondolfo rimasero al loro posto. Dovette ritirarsi invece dal
concorso universitario per la cattedra di letteratura greca del '39, perché in quel caso
la "tragica tessera" era necessaria. Ebbe quella cattedra a Genova nel '48, e
poi, come si è visto, passò a Milano nel '59. I viaggi a Genova non gli pesavano,
qualche volta trovava conforto nel vagone ristorante, così mi diceva, e nella
possibilità di leggere indisturbato, che il treno gli offriva. Partiva sempre stracarico
di libri. Una volta mi disse: "Chi sa perché, viaggiando si ha l'impressione di
avere tempo per scrivere il centesimo canto della Divina Commedia".
Questi pochi dati biografici dicono tutto, o quasi. Non parlava volentieri di sé e
se ne parlava era per discutere, e autocriticare, i propri lavori (cfr. Appunti
autobiografici, in Saggi sul mondo greco, Trento 1972 e Incontro con me
stesso, in Incontri, Trento 1975 e poi Milano 1990). E' sempre curioso
notare come nella formazione degli individui, quindi anche degli studiosi, sia da cogliere
un segnale o se si vuole un filo rosso. Il primo scritto di Untersteiner è un articolo su
Giordano Bruno - e lì c'è a mio avviso tutto il senso del suo laicismo e del suo
materialismo intesi come coerenza morale (non a caso, penso, volle ripubblicarlo nel
citato Incontri). Non solo, ma l'articolo, del '22, apparve su
"L'Arduo", una rivista di cui si è persa memoria, vivacissima, tutta da
rileggere. Idealisti di sinistra, se posso chiamarli così (Gobetti, Giuseppe Saitta,
Rodolfo Mondolfo, Timapanaro senior, Federico Enriques, Luigi Russo, tra gli altri),
sostenevano immanenza e realismo rigorosi, dibattevano il rinnovamento della cultura
nazionale, ma soprattutto cercavano di superare il tradizionale dissidio tra scienza e
cultura umanistica (consacrato da quei Croce e Gentile ai quali riconoscevano tuttavia
un'importante lezione innovativa) promuovendo un senso della storia veramente moderno,
libero da vincoli e residui teologici e retorici, connesso semmai ai problemi politici e
sociali che il mondo contemporaneo sollevava, anzi, imponeva con forza.
Le sue opere maggiori e più note ne sono la prova: I sofisti (1949, Milano
1996, con il bel saggio sulle origini sociali della sofistica), Sofocle (1934,
Milano 1974), Le origini della tragedia e del tragico (1942, Milano 1984), La
fisiologia del mito (1946, Firenze 1972) e Problemi di filologia filosofica,
un ricco e originale, praticamente unico, strumento di consultazione, diciamo pure un manuale
secondo una vecchia tradizione (Milano 1981). Ma vanno almeno ricordati anche quei lavori
nei quali Untersteiner consegnò le sue doti di eminente filologo, di critico e di editore
di testi: l'edizione con traduzione delle Tragedie di Eschilo, che tanto piaceva
al severissimo Eduard Fraenkel (Milano 1947), del De Philosophia di Aristotele
(Roma 1963), degli Eleati e dei Sofisti, nella "Biblioteca di studi superiori"
presso La Nuova Italia, che ha magnificamente ampliato e rinnovato il classico testo di
Diehls-Kranz. Chi vuol sapere di più oggi ha a disposizione un'accurata bibliografia
untersteineriana a cura di Alonso Tordesillas, nel volume L'etica della ragione.
Ricordo di Mario Untersteiner, a cura di A. M. Battegazzore e Fernanda Decleva Caizzi
(Milano 1989).
E' inutile soggiungere che i testi ricordati, ma non solo quelli, sono un passaggio
obbligato per chi voglia addentrarsi nella cultura greca antica. Vediamo di delinearne
almeno la caratteristica. Untersteiner è tra gli ultimi studiosi (se non l'ultimo) che
hanno avuto la capacità di ripercorrere e di reinterpretare l'intero mondo classico:
tragedia, lirica, storiografia, religione, filosofia. Non solo, ma al piccolo saggio,
all'interpretazione estetica e puramente letteraria, al gusto della microstoria e delle
suggestioni sollecitate da quella saggistica che si presenta di volta in volta come la
moda del giorno (che stanno ora devastando la nostra scena culturale) ha preferito le
monografie, le ricerche in grande, concluse, complete, probabilmente discutibili, ma,
appunto, aperte a successive interrogazioni - insomma, come ho già accennato, la forma
del manuale sul quale studiare e imparare cose.
E così si è allontanato da una tradizione secolare di studio sostanzialmente
letteraria: la religione e il razionalismo antico sono per lui, al fondo, fatti sociali e
politici da comprendere nel loro rapporto con le istituzioni. Qui Untersteiner fu anche un
precursore. Le ricerche di Kenneth Dover e di Moses I. Finley, di Jean-Pierre Vernant e di
Pierre Vidal-Naquet, si sono poi mosse, a partire dagli anni Sessanta e Settanta, in
questa direzione. Se non sbaglio, è questo un momento importante, sfuggito finora ai
critici e agli interpreti e dovrebbe pur essere preso in considerazione per la storia
degli studi classici e della cultura in generale. In fondo Untersteiner seppe far propria,
con originalità, la lezione del vecchio Hegel: la tesi che la civiltà e il pensiero dei
Greci, pur grandissimi e originali, e fondamento della nostra cultura, non possono essere
presentati oggi come un ideale, ma vanno compresi nei loro molteplici contesti storici. E
solo così possono parlare e rispondere alle interrogazioni del nostro presente, quindi, a
loro volta, essere meglio compresi in prospettive più ampie.
Ancora una volta una lezione di metodo. Ma si vorrà riconoscere che non si tratta
solo di questo. Il metodo coincide di volta in volta con la ricerca, e vi si esaurisce -
come Aristotele aveva a suo tempo insegnato. Aristotele, Bruno, Hegel, presenze
significative: il filosofo e la storia, la coscienza storica anche come impegno morale e
politico. Untersteiner aveva saputo trovare i maestri giusti pur nella notte dei tempi.
Col suo esempio e col suo lavoro ce li ha riconsegnati, riprendendo e innovando la nostra
antica, viva tradizione.