Riportiamo qui di seguito due testimonianze - di segno indubbiamente diverse, perché diversi ne sono i protagonisti - che però, a nostro modo di vedere, danno un quadro autentico di vissuta autenticità alla figura del preside Barbarito, che qui intendiamo commemorare.

Testimonianza di Vittorio Agnoletto Testimonianza di Irene Marazzi

INCONTRO-INTERVISTA CON IL DOTT. VITTORIO AGNOLETTO, LA PROF. ORIETTA RINOLDI BRAICOVICH, LA FIGLIA DEL PRESIDE BARBARITO, PROF. LUISA BARBARITO. CONDUCE IL PROF. GHERLONE, SONO PRESENTI ANCHE ALCUNI ALLIEVI DEL GRUPPO WEB.

prof. Gherlone: Vorrei iniziare chiedendo come mai la professoressa Braicovich ha pensato a Vittorio Agnoletto per questa testimonianza dal punto di vista di un allievo, che possa anche essere confrontato con quello degli studenti di oggi. Penso infatti che possa essere interessante per loro, che vivono la loro esperienza al liceo a distanza di trent'anni, oltre che prendere atto per motivi storici della figura del preside in un momento particolare della storia del liceo, anche rievocare attraverso questa testimonianza situazioni che probabilmente non conoscono.

prof. Braicovich: Ho pensato a Vittorio Agnoletto per due ragioni: da una parte per un motivo pratico, perché conosco la sua famiglia, dall'altra per uno personale, poiché una volta il preside Barbarito mi chiese di recarmi al liceo Berchet per assistere ad una riunione di carattere politico, e me lo chiese come favore, in quanto non era obbligatorio essere presenti, ma desiderava che ci fosse qualche rappresentante del corpo docente a garantire ordine o comunque che ci fosse qualcuno in sua rappresentanza, nel caso avesse dovuto assentarsi per altri motivi. Mi disse che il gruppo che aveva organizzato la riunione era quello di Vittorio Agnoletto, "del quale" disse "nonostante la sua testa calda, io condivido molte delle idee". Per ciò penso che sia stato giusto invitare Vittorio Agnoletto, che si è mostrato entusiasta dell'invito.

dott. Vittorio Agnoletto:  Grazie. Mi presenterò brevemente: ho quarantatré anni, faccio il medico, sono specializzato in medicina del lavoro, però mi dedico ormai da tempo all' A.I.D.S. e sono presidente della L.I.L.A., la Lega Italiana per la Lotta all'A.I.D.S. Ho un ricordo fortissimo di quegli anni; io sono entrato al Berchet nell'ottobre del '71 e sono uscito nel giugno del '76 e devo dire che per moltissimo tempo il periodo trascorso al Berchet è stato il ricordo di una terra fantastica, un paradiso che mi mancava. Nel senso che quegli anni, per quanto mi riguarda, sono stati fondamentali nella formazione della mia personalità e credo di dovere ad essi, oltre a molte delle mie esperienze esterne, le mie attività sociali e politiche che ho continuato a fare nella mia vita di adulto. Dal mio punto di vista ho vissuto al Berchet due momenti distinti, nei quattro anni vissuti con Barbarito come preside. I primi due anni ero al ginnasio, nella sezione H, dove dominava una professoressa che per motivi di convinzioni ideali - era profuga di un paese dell'Est - era una persona, dal nostro punto di vista di allora, e io lo penso ancora adesso, estremamente reazionaria, e con un po' di difficoltà nella gestione dei rapporti con noi; e poi negli altri tre anni in una sezione di liceo dove avevamo un corpo docenti tutto decisamente di sinistra; se si esclude la professoressa di matematica, che non faceva parte di quel gruppo di docenti della nostra sezione, il più moderato era del partito comunista, che dal nostro punto di vista era decisamente moderato. Quindi io ho vissuto un'evoluzione nei rapporti col preside, che nei primi anni conoscevo solo di vista, mentre nell'ultimo anno in cui lui era al Berchet, il penultimo per me, arrivai ad avere rapporti quasi quotidiani con lui. Erano gli anni '74-'75, i più forti della contestazione a Milano, di cui il Berchet era uno dei principali promotori. Appena arrivato al Berchet - avevo quattordici anni - facevo riferimento a nulla; dopo alcuni mesi nacque anche al Berchet il C.S.S.,  il Centro Studentesco Socialista, una sinistra giovanile socialista esterna alla F.G.S.I., perché il partito socialista aveva altre strade; il C.S.S. aveva come riferimenti a Milano Ausenda, Marossi e Mentana (l'attuale direttore del TG5). Noi eravamo un gruppo molto piccolo sulla scena nazionale, essendo più a sinistra della F.G.S.I., e facevamo riferimento al pensiero di Lombardi. Il preside tentò subito di entrare in sintonia con noi descrivendoci la sua storia passata di socialista e in quei primi due anni fu spesso nostro alleato, in quanto noi pur essendo al ginnasio, avevamo duri scontri con la professoressa con la quale il rapporto era chiuso e senza spazi di dialogo. Ricordo ad esempio che ella definiva i liceali che venivano a chiamarci per le assemblee "lupi che vengono a rapire i nostri agnelli" e noi eravamo gli agnelli. E in queste occasioni Barbarito cercava di diminuire le forti tensioni che si creavano. Quando in seguito il C.S.S. fu sciolto, io entrai a far parte del P.D.U.P., Partito di Unità Proletaria, che conteneva al suo interno una parte del P.S.I.U.P., conosciuto molto bene dal preside, e a quel tempo avevo iniziato a far politica più direttamente, assumendo via via ruoli di direzione all'interno della scuola.
I rapporti col preside sono stati sempre molto complessi. La mia sensazione era questa, perlomeno come noi la vivevamo allora: lui si sentiva idealmente e culturalmente, senza ombra di dubbio, dalla nostra parte, ma era schiacciato dal suo ruolo istituzionale che lui interpretava in modo un po' rigido e quasi neutrale, nel quale non si potevano esprimere le proprie opinioni. Inoltre, secondo i ricordi che ho di allora, mi appariva come una persona in profondo conflitto con se stesso. Lui non aveva niente da spartire con varie persone presenti nel liceo di idee decisamente di
destra, ma non era in grado però di comprendere le nostre richieste e le nostre metodologie, pur non essendoci mai stati episodi di violenza interni al Berchet in quegli anni. Egli non comprendeva il nostro bisogno di discutere del mondo, non capiva il nostro bisogno di parlare di cose che non riguardassero esclusivamente la scuola: noi portavamo a scuola operai di tutte le fabbriche dei dintorni che chiudevano, e erano in cassa integrazione e discutevamo con loro; avevamo inoltre insegnanti che allora facevano le 150 ore con gli operai, per rifare con loro gli stessi programmi della scuola del mattino, e guardavamo i film sull'emigrazione dal Sud al Nord ai cancelli della Fiat. Il preside non capiva cosa c'entrassero tutte queste cose con la scuola. Secondo me non aveva capito che in quel momento la scuola e la società erano una cosa sola e che per poter stare a scuola noi avevamo bisogno di discutere e comprendere la società: ed indubbiamente per molti di noi quel tipo di scuola è stata una palestra sociale e culturale estremamente importante, in cui abbiamo sviluppato una profonda capacità critica. Devo dire che tra chi in quel momento faceva parte del movimento degli studenti ce n'erano alcuni che erano anche i primi della classe, con ottimi voti.
Vorrei ricordare in particolare due episodi. La mattina del 28 maggio del
1974 arrivò la notizia che era esplosa la bomba a Brescia facendo una strage durante il comizio sindacale: in due minuti furono interrotte le lezioni, si indisse immediatamente un'assemblea di discussione. Appena capito cos'era successo, Barbarito è venuto in assemblea, si è preso la responsabilità di aprire le porte della scuola e di condurre un corteo di protesta antifascista con tutta la scuola e lui in testa arrivando fino a cento metri dalla sede dei fascisti, in via Mancini, mandanti della strage. C'era lui con tutta la sezione della C.G.L. e numerosi insegnanti di sinistra. Non potrò facilmente dimenticare quel giorno, perché credo che in quel momento sia venuta fuori la contraddizione tra ruolo istituzionale "neutrale" e la sua parte politica, ed egli decise di spostare il baricentro dall'altra parte, e prevalse in lui la storia di persona con una coscienza politica. Questo è stato un atto che noi gli abbiamo sempre riconosciuto, anche se in seguito abbiamo avuto contrasti con lui riguardo all'atteggiamento da tenere davanti a simili eventi.

prof. Braicovich: Se non ricordo male  vi era stato concesso l'uso della radio, che voi però utilizzavate anche oltre il tempo stabilito...

dott. Vittorio Agnoletto: Sì, la radio ci era stata concessa - mi pare - gli ultimi dieci minuti della quarta ora, quando venivano letti i comunicati. Però - anche voi ragazzi che siete qui presenti - voi dovete pensare che cosa era la scuola in quei tempi, che ben poco c'entrano con quelli di adesso: la scuola era in mezzo alla società. Per esempio nell'aprile del '75 giunge la notizia che i fascisti avevano ammazzato Varalli, poi c'è un corteo per ricordarne la morte, e viene ammazzato Zibecchi in c.so XXII Marzo, poi c'è l'omicidio di un operaio in Calabria,  poi l'omicidio Verbano a Roma... tutti nomi che per la mia generazione sono studenti di allora morti in gran parte per mano dei fascisti; e queste notizie arrivavano la mattina a scuola e noi giravamo per le classi e organizzavamo i collettivi di discussioni le assemblee e quant'altro. I giornali entravano in classe, si discuteva, per cui per noi era inaccettabile dover aspettare fino alla quarta ora per annunciare notizie così tragiche ed esplosive... Per il preside invece si trattava prima di finire le lezioni e poi leggere le varie notizie del giorno.
Il mio parere è questo: il preside si seccava causa della metodologia che noi seguivamo; per lui dovevano esistere delle regole anche per questo tipo di situazioni... Però sui contenuti in quanto tali, io rimango del parere che egli non fosse poi così lontano da noi. E verso alcuni di noi egli provava anche stima: sapeva infatti che quando noi venivamo qui al pomeriggio, poi lavoravamo, facevamo gruppi di studi, leggevamo libri insieme.
Un altro ricordo che serbo è invece di natura - direi - più personale. Lo dico con un senso di affetto: soprattutto nel '74-'75 erano stati molti i giorni in cui non si era fatta lezione, per  via di occupazioni prolungate all'interno della scuola, di fatti incresciosi, scontri con studenti di CL dell'Università Cattolica, che erano venuti di fronte al Berchet, a nostro modo di vedere per provocarci, perché non c'entravano nulla con la scuola. C'era anche stato un giornalista - oggi molto noto - che, non si sa come, aveva ripreso dal balcone della presidenza gli scontri, ma con un'ottica sola, quella di inquadrare solo gli studenti del Berchet, senza riprendere anche la violenza degli altri. Noi, la mattina presto, all'apertura della scuola, tenevamo spesso un'assemblea nell'atrio, parlavamo dalle scale con il megafono, per informare gli studenti di qualche grave episodio accaduto il giorno precedente. Ad esempio l'aggressione di qualche studente da parte dei fascisti o l'ultimo evento della strategia della tensione allora gestita dai servizi segreti. In tali occasioni Barbarito aveva preso un'abitudine: alle otto meno un quarto di mattina telefonava alle famiglie degli studenti più attivi, e convocava i genitori: quindi anche i miei. I genitori chiamati arrivavano a scuola. Durante i colloqui Barbarito si scaldava anche molto, e spesso alzava la voce, si agitava, tanto che si vedevano le vene sul collo. Ecco che un giorno, a un certo momento, parlando di noi e lamentandosi, si era adirato al punto, che mio padre, che è medico, non solo gli consigliò di cercare di calmarsi, ma lo convinse a farsi misurare la pressione.
Questo episodio la dice molto lunga su di lui. Io vorrei concludere magari il mio intervento con due osservazioni finali: la prima è che il preside è sempre stata una persona che ha sempre creduto in quello che ha fatto, e non si è mai disinteressato della scuola, si è preso tutte le sue responsabilità, sia in un senso (quello del ruolo del preside), sia nell'altro (quello delle sue motivazioni culturali e politiche). La seconda cosa è che credo che sia molto difficile - per chi anche dovesse visitare il sito e leggere questa testimonianza - capirla in relazione al tempo di allora. Si fa presto a dire "c'erano assemblee e collettivi": ma noi lì lavoravamo, studiavamo. Ci eravamo per esempio 'inventati' la compresenza in classe di due insegnanti, che così facevano il doppio delle ore a scuola. Ci siamo inventati l'interdisciplinarietà, mettendo insieme più materie diverse: abbiamo fatto uno studio sulla storia ebraica ed araba, portando a scuola persone dell'una e dell'altra parte. Era anche una scuola impegnativa, in cui però i programmi 'classici' erano solo una parte. Noi studiavamo greco e studiavamo anche la lingua, però andavamo a studiare quale fosse la dinamica sociale delle classi dell'antica Grecia. Quegli anni sono anche stati tutto questo: non solo la scusa per non fare lezione e perdere tempo. E Barbarito sicuramente aveva stima per le cose che facevamo.

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Il professor Barbarito appena
laureato in Ingegneria Industriale
Meccanica nell'Anno Accademico
1930-31, al Politecnico di Torino.

prof. Gherlone: di fronte a una testimonianza così ricca, che offre uno spaccato notevole della realtà di allora, l'intenzione mia era di riportare il discorso sul tema del conflitto generazionale (ammesso che si sia trattato di questo). E' probabile che uno dei motivi di scontro fra voi e il preside fosse proprio causato dalla sua preoccupazione - ovvia - di conciliare il ruolo tradizionale della scuola come trasmettitrice del sapere, con la spinta, allora così prorompente, sentita dagli studenti, di innovare e di fare 'entrare la società' - come lei stesso ha ricordato. Certe posizioni 'moderate' del preside, mi pare, erano riconducibili a questa intenzione. D'altronde erano gli anni da cui la scuola italiana uscì profondamente mutata, e il ruolo della cultura tradizionale profondamente scosso.
Mi pare allora di poter chiedere se gli atteggiamenti che incontravano maggiori resistenze presso gli studenti non fossero in realtà causati dalla preoccupazione di rendere la vita scolastica meno impetuosa e più ordinata. Mi piaceva anche sentire un'opinione su questa tematica del ruolo tradizionale della scuola, grande serbatoio della tradizione culturale, e sul modo come essa evolvette.

prof. Braicovich: il discorso di Vittorio Agnoletto io l'ho capito benissimo, ma è senza dubbio un discorso suo personale. Poi in realtà la popolazione studentesca era molto abbondante (più di 1000 allievi). La realtà della scuola noi la vivevamo oltre che all'interno delle classi anche all'interno degli scrutini. L'atteggiamento del preside, così impegnato a garantire l'insegnamento 'tradizionale', diventava addirittura sincera preoccupazione quando egli sospettava che i più deboli venissero in qualche modo danneggiati da questo fervore, che pure c'era ed era assai positivo, per certi versi. Le bocciature fatte per motivi tutto sommato non giusti erano la fonte di maggior preoccupazione per il preside Barbarito. Io ho vissuto questa sua preoccupazione, tutta incentrata sull'idea - più che giusta secondo me - che nella scuola pubblica ogni allievo deve avere pari opportunità.

prof. Gherlone: in una battuta, dott. Agnoletto, la mia domanda è a questo punto quale sarebbe stata l'importanza in quegli anni di formazione citati da lei all'inizio, senza, da un lato, il confronto con un'istituzione qual era allora il Berchet, e dall'altro senza la possibilità di costruire innovando e anche contestando.

prof. Luisa Barbarito: a proposito degli spazi politici - non so se ricordo bene, ma mio padre mi raccontava di aver concesso alla fine della quarta ora del sabato (quando le ore di lezione sono normalmente quattro), una diminuzione dell'orario, a 50 minuti, in modo da lasciare uno spazio politico alla fine.

dott. Vittorio Agnoletto: Questo non lo ricordo in particolare. Ma noi avevamo ottenuto la 'prima ora informativa', perché c'era sempre qualcosa su cui dare notizie. Il problema di Barbarito era che alcune cose si potevano fare, a patto che fossero codificate e legalizzate. Concordo con la prof. Braicovich: sicuramente le esperienze erano differenti - su una popolazione studentesca di 1200 persone, l'impegno non poteva certo essere uguale per tutti. Però io credo che quegli anni, così come si sono svolti in questa scuola, sono stati anche una grande occasione. Certamente, c'era il problema di come ciascuno riuscisse a coglierla anche per i suoi percorsi formativi.
Riguardo invece il discorso sulla scuola: io ho difficoltà a seguire le affermazioni da lei fatte sul conflitto generazionale, perché c'è un punto di partenza che io non condivido. Io non leggo gli anni '70 come frattura generazionale e basta, li leggo come un elemento di grande trasformazione della società dentro un conflitto sociale, ma non generazionale. Sicuramente questo esiste, ma non lo vedo come elemento determinante. Quello che era in discussione lì era il fatto di considerare la scuola un ambito di trasmissione del sapere, come nella visione tradizionale della scuola, oppure se, in quel preciso momento storico, poteva essere un ambito di elaborazione del sapere. Questa era una grande frattura con lui, su questo secondo me non ci era vicino e non era culturalmente 'di sinistra', lui preferiva vedere la scuola come un luogo di trasmissione del sapere, mentre noi a questa visione ribattevamo che non eravamo solo bottiglie vuote da riempire.
Per ciò che riguarda invece il discorso sui figli del proletariato che non potevano studiare a causa delle agitazioni studentesche, si trattava di una posizione secondo me molto paternalistica, che non coglieva la sostanza delle cose; cioè, essendo ormai in atto la scolarizzazione di massa---

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Il prof. Barbarito in una foto di classe
dei tempi in cui insegnava
al "Leonardo da Vinci".

prof. Gherlone: e i ragazzi qui presenti ne sono già ampiamente espressione...

dott. Vittorio Agnoletto: Sì, certo. Dicevo, erano anche in formazione nuove classi sociali e quindi il sapere da trasmettere non poteva ridursi a quello dei libri di testo e le possibilità di progresso sociale non erano solo appannaggio di chi aveva alle spalle una famiglia benestante, ma anche di chi apparteneva alle fasce più deboli.
E il preside Barbarito, direi, ha sofferto di questa accelerazione in avanti troppo improvvisa del mondo esterno. Inoltre nel mio caso si è trattato del confronto fra un adolescente da un lato e un preside con un forte senso delle istituzioni e del suo ruolo. Un preside che ha un mandato molto preciso, in quanto dipendente dello stato che gli dava il compito di garantire la trasmissione del sapere nella sua scuola, non può non trovarsi in conflitto di fronte all'esigenza di un radicale rinnovamento di quel sapere stesso.

prof. Gherlone: La mia interruzione di prima è stata un po' provocatoria. C'è qualcuno dei ragazzi presenti che la recepisce e vuole intervenire?

Ruggiero Rovida (IE): Io penso che il movimento a cui adesso diamo genericamente il nome di '68, abbia avuto delle utopie che ormai sono sfumate e non si sono realizzate. Direi che tutto questo ha influenzato moltissimo il nostro modo di essere e la nostra società e il modo in cui si è strutturata. E nemmeno quegli anni sono riusciti ad imprimere alla scuola quella spinta di riforma, cosicché si è trasformata in quella attuale, che è certamente diversa da quella che immaginavano gli studenti di allora.

dott. Vittorio Agnoletto: Non è questa al sede per un'indagine storica sul fallimento o meno del '68 e sui movimenti studenteschi che l'hanno seguito, ma in quegli anni qui al Berchet si vivevano dei rapporti totalmente diversi da quelli che erano pensabili solo cinque anni prima, per esempio anche tra uomini e donne, tra ragazzi e ragazze. Tutte cose che adesso possono sembrare scontate, ma che forse sono il risultato di quegli anni. E lo stesso Barbarito aveva a che fare con questi cambiamenti di costume che allora erano molto difficili da gestire. Secondo me in quegli anni fare il preside a Milano e in particolare al Berchet era uno dei compiti più difficili da affrontare per chi volesse gestirlo con coerenza.

prof. Gherlone: Io ora vorrei sapere dai ragazzi qui presenti come vedono dopo questo dibattito la loro presenza di studenti dentro il Berchet. Mi piacerebbe infatti che a conclusione di questo nostro incontro emergesse qualche considerazione finale sul proprio ruolo di studenti negli anni 2000 in relazione a quello di cui è stata data oggi testimonianza.

Flavio Paradiso (IIC): Fra oggi ed allora, secondo me, ci sono sia analogie sia differenze: per esempio l'atmosfera è molto diversa per quello che riguarda la partecipazione alle assemblee e ai collettivi, e anche un'azione come l'occupazione della scuola che può ricordare più da vicino il periodo sessantottino è quasi diventata un 'rito di ottobre', e la maggior parte degli studenti la vede come un gradita vacanza, anche se non si sa quanto possa essere utile.

prof. Gherlone: Hai fatto bene a dire questo, ma non ti pare già di per sé significativo che qualcosa che richiama il '68 sia diventato 'rito', giustificato in ogni modo, magari anche a torto?

F. Paradiso: Indubbiamente esiste ancora un gruppo che sente un tipo di impegno politico perché crede nelle proprie idee. Anche se ormai si va sempre più assottogliando la partecipazione degli studenti.