|
Riportiamo qui di seguito uno scritto che l'avv. Irene Marazzi ha
personalmente tenuto ad inviarci, come suo personale contributo per la
memoria del preside Barbarito.
PERCHÈ NO?
Era una mattina come tante di giugno al Berchet del 1974. Mia madre saliva i
cinque gradini che portavano dal portone di via della Commenda all'atrio della scuola.
Domandò al portiere di poter parlare con il professor Barbarito, il preside. Era
titubante e perplessa. Doveva chiedere ancora una volta il permesso di potermi
iscrivere
alla quarta ginnasio ed era pronta all'ennesimo educato rifiuto. Era accaduto per le
scuole elementari e medie tante di quelle volte che non aveva perso tempo a contarle.
Avevo frequentato fino alla prima media compresa una scuola speciale. Oltre che spastica
sono affetta da un gran brutto carattere e mi ero impuntata non a frequentare una scuola
superiore qualsiasi, ma un liceo classico. Mi era stato detto quando avevo otto o nove
anni che quell'edificio un po' vecchiotto con la bandiera al primo piano, vicino a casa,
era la sede del liceo classico "G. Berchet". Per anni ogni volta che ci passavo
davanti, immancabilmente, puntavo il dito e dicevo che quella sarebbe stata anche la mia
scuola. I miei genitori mi guardavano preoccupati.
Mentre percorreva il corridoio al primo piano si chiese che cosa stesse facendo lì, visto
che tanto il preside di un liceo non era tenuto ad accettare l'iscrizione di una
portatrice di handicap. Rappresentavo solo un problema in più per la scuola. Tutti i capi
istituto sentiti prima le avevano fatto notare che non avevano nessun obbligo giuridico
per accogliere la mia iscrizione, che la scuola non aveva le strutture adatte, temevano la
reazione dei professori, dei miei ipotetici compagni di scuola e dei loro genitori...
Tutti "tenevano famiglia"...
In questa peregrinazione aveva tenuto per ultimo il mio agognato Berchet. Le sembrava di
osare troppo a chiedere la mia iscrizione in un liceo così prestigioso che aveva formato
per generazioni parte della nuova classe dirigente milanese.
Quando si ritrovò davanti alla porta dell'ufficio del preside, voleva scappare a gambe
levate. Si fece coraggio e bussò.
L'accolse un signore cortese e paziente che la fece accomodare, l'ascoltò in silenzio con
attenzione. Quando mia madre ebbe finito di esporre il "caso" gli chiese:
"E' possibile iscrivere mia figlia qui?"
"Perchè no? Perchè non farla provare?" rispose.
Mia madre non voleva credere alle sue orecchie e lo guardò stupefatta.
"Mi ha detto che sua figlia alle medie ha studiato francese. Direi che il corso B è
quello che potrebbe andare bene: la professoressa di lettere è un'ottima insegnante con
una solida esperienza professionale e umana. Al liceo avrà per letteratura italiana la
professoressa Portinaro, una collega che ha tutta la mia fiducia e stima....".
"Professore, mi scusi, ma non stiamo correndo troppo? Personalmente non so nemmeno se
Irene riuscirà a terminare la quarta ginnasio. Comunque le prometto che se dopo i primi
mesi mi rendo conto che non è in grado di proseguire gli studi, sarò la prima a
ritirarla dalla scuola".
"Apprezzo la sua prudenza, ma voglio essere ottimista".
Ricordo che quando arrivò a casa mia madre era commossa, raccontò a me e a mio padre di
aver avuto l'onore di conoscere un gentil uomo, nel vero senso della parola.
Ai primi di ottobre iniziai la mia avventura al Berchet. Come tutti gli incoscienti ero
assolutamente felice. Passai anni meravigliosi di fatica ma anche di grandi conquiste.
Ebbi la fortuna di avere insegnanti eccezionali e disponibili. Capitai in una classe molto
unita, strinsi delle solide amicizie con i miei compagni, dopo un quarto di secolo alcuni
di loro mi sono ancora vicini.
Ricordo che il professor Barbarito andò in pensione quando io mi iscrissi alla prima
liceo. Ogni volta che veniva a far visita ai vecchi colleghi non mancava mai di
raggiungermi durante l'intervallo per domandarmi come andava la scuola in modo affettuoso
ma discreto.
Il 6 luglio 1984 mi laureai in giurisprudenza. Sapevo che il mio preside era stato un
grande matematico. Pensai che in quel giorno aveva preso ad honorem anche la laurea in
legge.
L'aveva resa possibile.
Irene Marazzi
|