Werner Jaeger ha dato una propria interpretazione di Platone svincolandosi dalle tradizionali correnti di pensiero. Nel Medioevo Agostino interpretò cristianamente la Repubblica di Platone inquadrando in essa la concezione medievale del mondo. Questa interpretazione legata alla tradizione cristiana neoplatonica rimase anche nel Rinascimeto fino al XVIII secolo. Alla fine del '700 questa concezione venne ribaltata ad opera dello Schleiermacher, esponente della filosofia tedesca. Questo intraprese uno studio assiduo degli scritti platonici, delineando la figura del filosofo come una personalità storica ben definita.  Cercò di estrapolare dai singoli dialoghi i contenuti fondamentali in essi racchiusi, ricomponendo poi sulla base di questi una fisica, una metafisica, un'etica di Platone ordinate in modo sistematico. Sempre lo Schleiermacher  interpretò il pensiero platonico come ricerca filosofica in atto, mettendo così in evidenza le differenze caratterizzanti i vari dialoghi e dividendoli in base al contenuto filosofico. Inoltre evidenziò il movimento dialettico con cui Platone aveva voluto caratterizzare la sua filosofia. Nello stesso tempo individuò anche le polemiche contro i contemporanei e gli avversari presenti nella singole opere.  
La scienza storica del XIX sec. andò affinandosi proprio grazie al tentativo di comprendere il problema di Platone. Dopo lo stesso Schleiermacher sono state condotte delle ricerche speciali su questo argomento.
Secondo la teoria di C. F. Hermann si cominciarono a considerare le opere di Platone come l’espressione del graduale sviluppo della sua filosofia. Di qui in poi divenne fondamentale il problema, fino ad allora sottovalutato, della cronologia dei dialoghi. Un primo criterio fu quello di fissarne la data di composizione in base al contenuto, ma questo metodo si rivelò ben presto inefficace, in quanto portava a conclusioni contraddittorie. Si stabilì allora di determinarne la cronologia servendosi delle indicazioni stilistiche.
La svolta decisiva è da attribuire ad una scoperta filologica dello studioso scozzese Lewis Campbell, che scoprì la concordanza di stile fra alcuni dialoghi maggiori e l’opera della vecchiaia di Platone, rimasta incompiuta per la sua morte, le Leggi.
Tutto questo portò ad un ribaltamento dell’interpretazione della filosofia platonica. Nei dialoghi "dialettici" il vecchio Platone mette in discussione e sottopone a nuova interpretazione la stessa teoria delle Idee. Così anche la filosofia del XIX sec. si pose con atteggiamento autocritico di fronte al problema della conoscenza e ai suoi metodi. Il neokantismo in questa tarda fase dell’attività platonica ritrovò il proprio modo di porre i problemi.
La filosofia moderna ripone tutto il significato di Platone nell’atteggiamento metodico. Questa nuova interpretazione si accosta alla vecchia interpretazione metafisica per il fatto che entrambe vedono nella teoria delle Idee il concetto fondamentale della filosofia platonica. Già Aristotele aveva fondato tutta la sua critica su questo punto e la nuova scuola si rifaceva alle sue teorie, fatta eccezione per le divese conclusioni cui giunsero.
Per quanto riguarda la questione dell’autenticità si era sempre saputo che la raccolta di scritti platonici raccoglieva opere non autentiche, tra cui figuravano anche le Lettere di Platone.
In esse si potevano notare alcune evidenti falsificazioni che ebbero come conseguenza la condanna di tutta la raccolta. Le Lettere contenevano un ricco materiale storico sulla vita di Platone e si pensò che il falsario si fosse ben documentato, ma Edoardo Meyer e altri storici già si battevano per la loro autenticità in quanto fonte di preziosi elementi della biografia del filosofo. Il Wilamowitz ritenne autentiche la sesta, la settima e l’ottava lettera, i pezzi più importanti dell’intera raccolta. Il suo intento era quello di una semplice esposizione della vita di Platone senza alcun elemento filosofico: sulla base delle notizie ricavate dalla settima lettera, il Wilamowitz ripropose i viaggi in Sicilia alla corte del tiranno, ricostruì i tentativi del filosofo di immergersi nella vita politica e ripercorse la sua evoluzione politica. Emerge qui un tratto caratteristico della personalità di Platone: il suo atteggiamento contemplativo era il risultato di falliti tentativi di diventare uomo politico e di applicare alcune idee etiche della sua filosofia. E' impossibile separare vita e opere di questo pensatore: la sua vita è la sua filosofia e viceversa. L’attività politica non fu solo un’occupazione, ma il fondamento di tutta la sua esistenza spirituale.
Lo Jaeger si era già formato un’opinione sul pensiero platonico e, sulla base di ciò che aveva constatato senza considerare le Lettere, arrivò a confermare l’autenticità di quest’ultime, dal momento che esponevano la medesima interpretazione filosofica a cui lui stesso era giunto ignorandole.
Ora è necessario capire l’importanza che Platone attribuisce alla dottrina della paideia e dell’¦ret» umana. Intendere il ruolo che il filosofo assegna a questo problema è possibile solo a chi segue dall’origine il percorso del pensiero platonico. Secondo lo Jaeger la filosofia di Platone deve essere considerata come uno dei vertici raggiunti da una civiltà spirituale, che coincide con la paideia, nel suo divenire storico: essa perciò dovrà essere valutata considerandone il ruolo nel formarsi del pensiero greco. La storia della paideia, come raffigurazione del rapporto uomo-polis, permette di comprendere Platone, per il quale ogni sforzo per conoscere il vero mira all’acquisizione della conoscenza per conservare la vita e darle una forma. Platone vuole fare in modo che possa realizzarsi la vera virtù umana ed opera una riforma animata dallo spirito socratico. Purificatosi attraverso l’"ignoranza" socratica, il filosofo si sente ora in grado di poter accedere al valore assoluto ricercato da Socrate: dal filosofe‹n socratico deriva la "filosofia"di Platone.
La paideia mostra come debba formarsi l’uomo migliore inserito in una nuova realtà e tra nuovi valori. Con Socrate e Platone si delinea una filosofia che può prendere parte al dibattito sulla vera educazione aperto dai Sofisti, convinta di risolverlo.
La filosofia di Platone, per ciò che essa comunica, può essere considerata senza esitazioni la più grande forma di educazione del mondo antico ormai al tramonto.

 

Platone affronta ampiamente il problema dell’amicizia nel Simposio e nel Fedro, pur avendolo trattato precedentemente in un dilogo minore "Liside".
Tra la sua teoria dell’amicizia e la sua filosofia politica esiste una stretta connessione.
Secondo Platone infatti una società malata può guarire unicamente per mezzo di una comunità sana, costituita da pochi individui in perfetto accordo tra loro, che possa essere un valido punto di partenza per la formazione di una società del tutto nuova.
Dunque l’amicizia viene intesa da Platone come il fondamento dell’aggregazione sociale e comunitaria tra uomini; egli ritiene pertanto che essa non sia da considerare solo e strettamente una necessità naturale che lega gli individui tra loro, ma anche un legame di tipo etico.
Il tema dell’amicizia è altresì oggetto di analisi anche dell’Etica Nicomachea aristotelica, oltre ad essere considerata, da tutti i seguaci e successori di Socrate, soluzione assoluta del problema politico.
Quello che comunque interessa la speculazione di Platone è ciò che giustifica ogni aggregazione sociale.
Tale principio nel Liside coincide con “ciò che prima è caro” (alla base di ogni rapporto tra gli uomini); d’altro canto, nel Gorgia, ancora Platone afferma che non si può fondare una società, se non tra uomini buoni.
Queste due posizioni hanno un evidente punto di contatto: il bene supremo è ciò che unisce le differenti nature umane e che permette la nascita e lo sviluppo di una comunità.

Il Simposio di Platone non è costruito su un personaggio centrale. Non è un dramma dialettico, né un’opera di carattere scientifico, a dire la verità non è nemmeno un vero e proprio dialogo, si configura più come un agone oratorio.
La scena si svolge durante un banchetto, organizzato da Agatone, in onore della vittoria riportata ad un concorso tragico. Attorno a lui si riuniscono alcuni degli uomini più eruditi dell’epoca; ma a riportare la schiacciante vittoria su tutti gli altri partecipanti al banchetto, sarà alla fine Socrate. Nel Simposio emerge il primato detenuto dalla filosofia nei confronti della poesia, ma allo stesso tempo è innegabile che la filosofia non avrebbe potuto raggiungere una dignità così alta se non fosse divenuta essa stessa poesia.
La cornice simposiaca non costituisce una novità: infatti nei simposi i poeti celebravano con il loro canto la tradizione dell’aretè virile. Lo troviamo già all’epoca di Omero, ma anche il filosofo Senofane si rivolgeva ai gruppi simposiaci nelle sue critiche alla religiosità omerica; così Teognide Megarese affidava ai simposi la sua fama nell’avvenire. Proprio a quest’ultimo si rifà Platone nella connessione fra simposio ed Eros, come mezzo di educazione. Nelle stesse scuole filosofiche i conviti costituivano una forma di relazione fra discepoli e maestri.
Platone dà al simposio un nuovo significato filosofico; già nelle Leggi dedica un intero libro al valore educativo dei simposi e del vino. Nella stessa opera critica l’educazione spartana, che non prevedeva una tale usanza. L’educazione prevista dall’Accademia doveva colmare questa mancanza. La scuola di Isocrate sosteneva l’atteggiamento opposto secondo cui il vino coincideva con la rovina di Atene; lo stesso pensava riguardo ad Eros. Platone tende a considerare parallelamente le due divinità, Dioniso ed Eros, intimo legame che Platone instaura fra Eros e Paideia è il tratto essenziale del Simposio. Ciò, in se stesso, non costituisce una novità, ma l’elemento nuovo è dato dal fatto che Platone, qui, fa rivivere il mondo greco antico dell’amore maschile, caduto ormai nell’oblio.
Per quanto riguarda la forma, Platone dà alla sua opera una struttura dialogica per meglio evidenziare la sintesi, da lui attuata, tra un ideale di universale validità e la precisa concretezza dell’esistenza. Nel dialogo gli interlocutori si confrontano su una serie di problemi comuni a tutti.
I partecipanti al banchetto espongono le loro varie teorie su Eros, e man mano che si procede i discorsi si elevano fino ad arrivare all’argomentazione conclusiva di Socrate, che è la più sublime ed elegante.
Il Simposio può anche essere considerato come una serie di discorsi indipendenti, dove Platone rinuncia all’usuale forma del dialogo socratico; il procedimento dialettico è dunque estraneo all’opera, e compare solo nel passo finale, in contrapposizione alla retorica e alla poesia portata avanti dagli altri personaggi.
Il primo a prendere la parola è Fedro, il quale sembra svolgere un puro esercizio di retorica con i mezzi propri della sofistica. Egli aveva spesso criticato i porti, che lodando le varie divinità, avevano sempre trascurato Eros: ora si propone dunque di colmare questa lacuna. Fedro comincia con il dare una genealogia mitica di Eros, rifacendosi al poeta Esiodo. Egli tratta in particolare l’aspetto “politico” di Eros, dicendo che è proprio lui a risvegliare negli uomini il desiderio di onore e a generare l’aretè.
Poi è la volta di Pausania, che si propone di affrontare l’argomento in modo più preciso. Egli parte dalla doppia natura di Afrodite per dimostrare la distinzione fra un Eros Pandemio e un Eros Uranio, rifacendosi probabilmente agli Erga di Esiodo. Il primo è proprio dell’uomo volgare ed è volto alla sola soddisfazione dei sensi; il secondo è di origine divina ed è volto al perfezionamento dell’amato; questo assume quasi la funzione di energia educatrice, che aiuta l’amato a sviluppare la propria personalità. Questa distinzione fra i due Eros deriva da elementi che sono esterni a lui. A sostegno della propria teoria Pausania mette in evidenza l’incertezza dei criteri morali dominanti in quell’epoca: porta avanti un paragone fra i vari paesi e il modo in cui in ognuno di essi è giudicato l’amore maschile; queste diverse concezioni dipendono, secondo lui, dalla maggiore o minore influenza dei barbari. Il costume della pederastia era sorto nella vita soldatesca di Sparta, e da qui si era diffuso in molte altre città greche; con la caduta di Sparta si assiste anche alla caduta di questo costume. Il Simposio si pone come tramite fra il vecchio e il nuovo sentire.
Ora tocca ad Erissimaco, che, in quanto medico, parte dall’osservazione della natura. Anche lui non manca di lodare Eros come divinità potente; poi dà del dio un’interpretazione cosmica, riprendendo la Teogonia di Esiodo, a cui si erano rifatti anche alcuni dei filosofi più antichi, come Parmenide ed Empedocle. Anche Erissimaco mantiene la distinzione tra Eros buono ed Eros cattivo, a partire dalla differenza tra sano e malato. Infatti pone, alla base dell’armonia e del benessere, l’osservanza di un amore sano. Esiste una strettissima connessione tra la filosofia  eraclitea e l’idea di concordia, espressa da Erissimaco. Quest’armonia trova infatti una sua solida base nella teoria dei contrari, elaborata da Eraclito.
Per Erissimaco l’Eros Pandemio deve essere accolto pacatamente, mentre l’Eros Uranio è quello che infonde negli uomini grazia e perfezione e corrisponde, nel suo discorso, ad una potenza universale.
A questo punto del dialogo, interviene Aristofane, che tenta di ricondurre il discorso alla concretezza umana dell’amore. Egli vuole infatti spiegare il potere che Eros esercita sugli uomini. Narra dunque il mito degli androgeni, uomini di forma sferica, dotati di quattro braccia, quattro gambe e due sessi, finchè Zeus adirato per la loro potenza decise di tagliarli in due metà. Da quel momento essi sono pervasi da una grandissima nostalgia e tendono a riallacciarsi alla metà perduta. Da questo desiderio di completezza e perfezione nasce Eros. Aristofane tratta il problema dell’amore da tutti i punti di vista. Gli amanti non si separano mai e a loro non basta l’unione sessuale, per provare gioia nello stare insieme. Il vero fine di Eros, secondo il poeta, è appunto la creazione di un’armonia e totalità dell’anima, che si realizza appunto con il raggiungimento dell’originaria unità fisica.
L’ultimo a prendere la parola prima di Socrate è Agatone, il cui discorso è un encomio elegante. Nel suo discorso la tematica della pederastia passa in secondo piano: Agatone infatti raffigura l’essenza del dio e successivamente ne loda le doti, attribuendo ad Eros un’immagine di scarsa verità psicologica. La perfezione che egli attribuisce ad Eros è una conseguenza inevitabile della sua origine divina. Egli vede riflessa in Eros la propria immagine. Lo descrive come il migliore degli dei, il più bello e beato. Chiude il suo discorso, lodando in prosa i doni di Eros.

Il discorso di Agatone fa da sfondo a quello di Socrate, il quale cerca di compensare lo svantaggio di dover parlare dopo oratori di tale bravura concependo diversamente il suo tema. Pur approvando in linea generale il procedimento di Agatone, che prima ha voluto definire l’essenza di Eros e poi parlare dei suoi effetti, si discosta dalla trattazione del tema volendo egli perseguire la verità. Ricorrendo a mezzi dialettici Socrate afferma che Eros è sempre un desiderio di qualcosa, di qualcosa di cui è manchevole; perciò se Eros è attratto dal bello , non può essere bello, ma è bisognoso di bellezza. Da questo nucleo dialettico negativo prende vita la teoria erotica di Socrate e Diotima: la forma dello svolgimento è quella di un mito, il mito della nascita di Eros da Poros e Penia. Platone trova il modo di utilizzare comunque la dialettica, riportando la discussione con Diotima ad un lontano passato, in cui Socrate è l’esaminato. Il colloquio con la sacerdotessa che Socrate sta per riferire conduce ad una rivelazione da parte della veggente, quindi il risultato della discussione non è frutto della superiore saggezza di Socrate. Attraverso i gradi del procedimento attraverso cui Diotima porta alla conoscenza di Eros, il lettore riconosce a sua volta i gradi inferiori e superiori dei riti iniziatici che lo guidano alla suprema contemplazione.
Eros non è bello ma non è neanche l’opposto del bello: esiste una posizione mediana tra bello e brutto. La stessa relazione intercorre anche tra saggezza de ignoranza: anche in questo caso Eros sta in mezzo tra le due. Questa sua posizione mediana gli impedisce di essere un dio, poiché non possiede i segni essenziali della divinità, bontà, bellezza e quindi beatitudine. Non è mortale, bensì un demone che fa da intermediario tra uomini e dei. Eros colma il divario tra i due mondi e in questo senso è il legame che tiene unito il Tutto. La sua natura è composta da elementi discordanti fra loro, eredità dei suoi genitori, il ricco Poros (cacciatore, pioniere, insidiatore, incantatore e mago, etc.) e la povera Penia. Di questa posizione mediana Socrate si serve per costruire un ponte tra Eros e la filosofia: gli dei non filosofeggiano perché già sono sapienti; di contro gli ignoranti non tendono alla conoscenza poiché, pur non sapendo, ritengono di sapere. Solo il filosofo ricerca la conoscenza perché, consapevole di non sapere, si sente manchevole di essa e all’istruzione si dedica con impegno. Eros è il vero filosofo che a mezza via tra sapienza e ignoranza non si dà pace e combattere per giungere alla perfezione.
Diotima passa ad illustrare il valore che Eros ha per gli uomini: Eros è desiderio e il desiderio non è altro che la rivendicazione di un possesso di un bene supremo. La volontà umana è per Socrate sempre volontà di bene. Eros è l’espressione di quel principio dell’etica platonica secondo cui l’uomo desidera solo ciò che ritiene bene per sé. Il concetto di Eros significa dunque tutte le tendenze umane al bene. Riprendendo il discorso di Aristofane, la totalità a cui Eros deve aspirare deve coincidere con l’Io vero dell’uomo, cioè se ciò che è pertinente alla nostra natura è bene, ciò che vi è estranea è male, allora l’amore che un tempo fu proprio della nostra antica natura può essere considerato il significato profondo di ogni forma d’amore. L’amore è dunque “desiderio di avere sempre per sé il bene”. Eros, amore del bene, è l’impulso della natura umana alla piena attuazione di sé, è quindi impulso educativo. L’eros socratico è l’impulso che porta a conoscere la propria imperfezione e spinge alla formazione spirituale sul modello dell’Idea. Platone intende così la “filosofia”: aspirare che nell’uomo si formi il vero uomo.
Non bisogna però perdere di vista il significato primo e proprio di Eros, il desiderio di un bello particolare ed individuale. Quale attività o tendenza merita il nome di Eros? Secondo Platone il nome di Eros spetta al desiderio di “generare nel bello”. Bisogna partire dall’atto generativo fisico, per spiegare l’atto spirituale: la volontà generatrice consiste nel voler lasciare dietro di sé qualcosa di identico a sé. E’ però impossibile per ogni essere vivente durare eternamente in un’essenza sempre uguale, ma c’è un continuo rinnovamento fisico e spirituale. La Divinità è la sola che può restare veramente identica a se stessa. Per il mortale l’unico modo per restare immortale è di generare un essere della stessa specie, cioè la tendenza a conservare la specie fisica. L’eros spirituale è desiderio continuo di eternare se stesso, per cui chi è gravido nell’anima cerca di essere bello per generare nel bello. Quando incontra uno spirito bello e nobile, conversando con esso, dà alla luce ciò di cui era gravido da molto; presente o assente, l’amato è sempre nella sua mente e con lui alleva il nato. Per questo figlio si crea un legame più forte di quello che si ha per i figli di carne. Poeti e legislatori, come Omero, Esiodo, Licurgo e Solone sono un esempio di questo tipo di amore.
A questo punto Diotima si interroga sulla capacità di Socrate di elevarsi al sapere assoluto, alla contemplazione dell’idea del bello. Platone fa passare il processo graduale svoltosi fino a qui da corporeo a spirituale; vengono dunque tracciati i gradini che l’uomo vinto da Eros sale. A questo percorso spirituale Platone conferisce il nome di “pedagogia”: Eros diventa forza educatrice, oltre che per l’amato, anche per l’amante e questo percorso comincia nella prima giovinezza. Si comincia ad ammirare la bellezza di un corpo, così l’ammiratore è ispirato a “nobili discorsi”; poi egli si accorge che la bellezza di un corpo è sorella della bellezza di tutti i corpi ed è identica in ciascuno di essi. Il vincolo di dipendenza di un individuo dall’altro comincia a vacillare e l’ammiratore passa a notare la bellezza dell’anima. Questo tipo di bellezza acquista sempre più importanza di quella corporea e viene preferita a quest’ultima quand’anche non si trovi in un corpo fiorente. A questo grado l’amore diventa forza educatrice anche per l’atro e l’amante può riconoscere il bello come essenza caratteristica di tutte le operazioni umane. L’ultimo gradino è quello della conoscenza della bellezza delle scienze: l’amante si volge all’ “infinito mare del bello”, per mirare infine il bello nella sua forma pura. Platone che tutte le scienze abbiano una propria bellezza, un proprio valore e significato, ma ad esse contrappone l’unica scienza il cui oggetto è il bello in sé. Ma ogni conoscenza del particolare trova il suo compimento nella conoscenza del bello in sé. “Bello” non deve essere inteso in senso puramente estetico, per Platone infatti l’unica vita degna di essere vissuta è quella trascorsa nella contemplazione di questa bellezza eterna. E’ chiaro che Platone non pensa ad una vita che sia un ininterrotto sogno di bellezza sottratto alla realtà.
La scienza del bello è il traguardo del percorso descritto nel Simposio così come nella Repubblica viene definito un viaggio che si prefigge come meta l’idea di bene. Il Bello e il Buono, due aspetti di un’identica realtà, che anche il greco fonde in un   concetto linguistico unico: “l’esser bello e buono”, rappresenta la causa motrice di ogni desiderio e azione umana e contemporaneamente di ogni accadimento in natura. Esiste dunque armonia tra cosmos fisico e morale. Dal discorso di Diotima e dalle scienze belle si capisce che il bello è la tendenza, propria di ciascuno, al bello e al perfetto. Una volta che si è giunti all’idea del bello non bisogna, però, che l’uomo si estranei dal mondo, anzi, proprio grazie a questa idea è possibile comprendere a fondo la realtà che ci circonda, in quanto in essa è onnipresente il principio del bello. Ciò che l’uomo ha scoperto causa universale dell’essere, lo riscopre in sé, come la sua più vera natura, quando lo spirito si raccoglie in se stesso. Il significato della “pedagogia” forma la vera natura umana e si fonda sulla personalità.
Secondo questa teoria, Eros viene concepito come l’impulso umano allo sviluppo del proprio io superiore, così come nella Repubblica lo scopo del processo educativo è quello di condurre l’uomo a dominare nell’uomo. Nel Simposio è sviluppata per la prima volta la concezione alla base di ogni umanesimo: la distinzione tra uomo, come individualità considerata naturalisticamente, e umanità superiore che costituisce il vero io. Platone sviluppa il suo umanesimo partendo dalla meditazione sulla personalità di Socrate, quindi è troppo restrittiva un’interpretazione del Simposio come dimostrazione dialettica. A dimostrare ciò interviene la conclusione, che non coincide con lo svelarsi dell’idea del bello o con l’interpretazione dialettica di Eros, bensì con l’elogio di Alcibiade rivolto a Socrate. Eros si incarna in Socrate, attratto dai giovani belli e ricchi di doti, ma l’attrazione emanata da Socrate ribalta la situazione: è Alcibiade che invano ama Socrate.

Con l’elogio di Alcibiade emerge il senso della nuova bellezza, quella interiore. Socrate viene paragonato ai Sileni, statuette di brutto aspetto ma che al proprio interno custodiscono immagini di dei. Nell’amore di Alcibiade è insita una certa tragicità: egli ama Socrate, ma allo stesso tempo lo avverte come propria coscienza accusatrice. La sua psicologia mette a nudo un’ammirazione per la forza e per la grandezza morale che vede in Socrate. Alcibiade avrebbe voluto diventare un suo discepolo, ma la propria natura non era in grado di autodominarsi. L’eros socratico lo ha illuminato per un attimo, non come fiamma duratura.