I nobili e fieri dominatori del Sahara corrono oggi il rischio di scomparire, schiacciati dalla civiltà moderna che sta cancellando la loro cultura secolare. Le lunghe carovane di un tempo sono sparite. Le piste del deserto sono percorse da fuoristrada carichi di turisti. Nell'Africa di oggi sembra non esserci spazio per un popolo di nomadi tenacemente attaccato alla propria indipendenza e diversità .
Attraversavano le sconfinate distese
di sabbia trasportando oro, sale, spezie, stoffe e avorio. Si spostavano con
cammelli e grosse mandrie di buoi alla perenne ricerca di sorgenti e corsi
d'acqua. Riscuotevano tributi dai convogli dei mercanti in transito sulle "loro
terre". Godevano della fama di abili predatori e valorosi guerrieri (i francesi
impiegarono trent'anni per piegarne l'indole belligerante).
Il celebre geografo arabo Ibn
Battuta, già nel XV secolo, descrisse la loro straordinaria Civiltà della
sabbia, fondata su un solido sistema di caste.
Il Sahara dei Tuareg, terra epica di
esplorazioni e fughe celebrata in tanti film e libri di successo, non esiste
più: le frontiere demarcate dalle potenze coloniali, ereditate negli anni '60
dagli Stati africani indipendenti, hanno spezzato il deserto come un enorme
mosaico.
I
nomadi sono stati imbrigliati in una ragnatela di confini tracciati in modo
arbitrario.
Le terribili siccità e carestie degli
ultimi trent'anni hanno bruciato i loro pascoli, sterminato le greggi, messo in
crisi la fragile economia pastorale.
I convogli dei camion hanno
sostituito le lunghe carovane, il vento e la sabbia cancellato le antiche piste
della transumanza.
Uno dopo l'altro sono crollati i
tasselli sociali e i valori tradizionali su cui poggiava il secolare modello di
vita dei nomadi. Per
lungo tempo i Tuareg sono stati i signori incontrastati del deserto, l'unico
popolo capace di adattarsi alle proibitive condizioni ambientali del "bahr belÃ
mà ", l'immenso "mare senz'acqua". Percorrevano senza sosta le vie carovaniere,
tra il Maghreb e l'Africa nera, dominando il florido commercio transahariano.
Oggi i leggendari "uomini blu", così
chiamati per via del tipico turbante blu indaco che tinge anche la loro pelle,
emblemi di libertà e fierezza, rischiano l'annientamento culturale.
Ne restano poco più di un milione,
dispersi fra cinque stati: Niger, Mali, Libia, Algeria e Burkina Faso.
Pochi, neppure 100 mila, hanno
mantenuto gli usi e i costumi della tradizionale vita nomade: viaggiano nel
cuore del Sahara, vivendo di contrabbando o di piccoli commerci. Percorrono per
settimane piste millenarie, rinnovando gesti e rituali senza tempo: si orientano
con le stelle, dormono su stuoie all'aria aperta, bevono da otri di pelle appese
sui dorsi dei cammelli, si cibano di datteri e formaggio di capra. Cinque volte
al giorno arrestano le carovane per pregare: osservano il sole per individuare
la direzione della Mecca, srotolano piccoli tappeti ed eseguono le abluzioni
prescritte dal Corano.
"Allah akbar", "Dio è il più grande",
ripetono in continuazione.Purtroppo anche questi ultimi cavalieri del deserto,
custodi di un antico e prezioso patrimonio culturale, sono minacciati
dall'aggressione della società moderna.
Nell'Africa di oggi sembra non
esserci spazio per un popolo di nomadi tenacemente attaccato alla
propria indipendenza e
diversità .
I Tuareg vengono considerati dai
Governi una minoranza pericolosa, una minaccia, e per questo sono oggetto di
persecuzioni e discriminazioni. Le organizzazioni umanitarie hanno più volte
denunciato arresti arbitrari, detenzioni illegali, violenze di ogni tipo
perpetrate da militari e poliziotti contro i nomadi. Le autorità hanno avviato
politiche di sedentarizzazione forzata che hanno prodotto risultati disastrosi:
sradicati dal loro habitat e imprigionati nei caotici ritmi delle città , i
Tuareg sono stati relegati ai margini della vita sociale.
L'irrequietezza di questo popolo, che
rivendica la propria identità e che culla il sogno di uno stato indipendente,
rimane inascoltata dalla comunità internazionale.
Le rivolte dei Tuareg scoppiate negli
anni '90 in Niger e Mali sono state soffocate nel sangue. Centinaia di migliaia
di famiglie, distrutte e ridotte alla fame, sono state costrette a fuggire dagli
accampamenti. Molti nomadi hanno trovato rifugio nelle periferie delle città del
deserto Agadez, Tamanrasset, Gao, Timbuctù, Ghat in
baracche arroventate, senza luce né acqua.
Vivono di espedienti, piccoli lavori
saltuari: vendono oggetti di artigianato, trasportano merci e persone su camion
sgangherati, oppure coltivano fazzoletti di terra strappati con fatica al
deserto. I pochi che hanno trovato un'occupazione stabile vengono sfruttati in
miniere di uranio, oro e altri minerali. Altri riescono a racimolare qualche
soldo coi pochi turisti di passaggio.
I Tuareg vivono in bilico tra passato
e presente, tra modernità e tradizioni, con
l'impossibilità di
tornare indietro nel tempo e la difficoltà oggettiva ad assimilare nuovi modelli
culturali. Non hanno smesso di sognare gli spazi senza fine del Sahara. Sono
nomadi anche da fermi, perché"L'essere nomade è un modo di vivere, ma anche un
modo di pensare".
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