La mortalità infantile, pur essendo stata nel passato una piaga dell' umanità, è oggi in calo.
Nei paesi più sviluppati essa è praticamente inesistente, e nei paesi del terzo mondo la situazione sta migliorando a macchie di leopardo con l'aiuto di associazioni umanitarie.

Tuttavia, persiste ancora.


La mortalità infantile è un problema presente.

 

Si parla di mortalità infantile nel caso di coloro che muoiono entro il primo anno di vita.
Talora anche riferita a coloro che muoiono nei primi cinque anni di vita, ma in questo caso si parla anche di mortalità giovanile.


Cause e conseguenze

Degli oltre dieci milioni di decessi infantili che avvengono annualmente nel mondo, il maggior numero è dovuto a infezioni respiratorie acute, dissenteria, morbillo e malaria. Tutte patologie che possono essere prevenute tramite vaccini, zanzariere, misure igieniche e altre semplici precauzioni, che però spesso rimangono sconosciute o troppo dispendiosa per larghi strati della popolazione, nei paesi economicamente arretrati. Lo stesso può dirsi per le medicine che possono curare queste malattie, facilmente accessibili per qualsiasi cittadino occidentale ma fuori portata per quei tre miliardi di abitanti del pianeta che vivono con meno di due dollari al giorno. 
Miseria e malattie sono strettamente collegate. E se sono universalmente note le differenze tra Nord e Sud del mondo, vanno ricordate anche le enormi disparità all'interno dello stesso paese, fra città e campagna, e fra quartieri della medesima città.
Un bambino appartenente alla fascia sociale più povera della popolazione ha almeno il doppio delle probabilità di morire in età infantile rispetto a un coetaneo nato in una famiglia appena benestante.
Nelle regioni più povere del pianeta, solitamente localizzate in aree rurali, semi-desertiche o montane, gli ambulatori sono rarissimi, e di regola l'unico modo per essere curati è recarvisi con mezzi propri, anche a rischio della vita.
Il 90% dei bambini muore a casa, senza alcuna assistenza medica se non quella di un guaritore tradizionale, sempre che i genitori abbiano avuto i mezzi per richiederne l'intervento.


 

Dove regna la povertà, lo Stato non è in grado di assicurare neppure le vaccinazioni di base. Due milioni di bambini ogni anno muoiono a causa di malattie come il morbillo o la tubercolosi, per le quali esistono vaccini dal costo irrisorio.

I vaccini sono misure sanitarie a basso costo che salvano milioni di vite ogni anno, e la loro diffusione a livello planetario è uno dei principali mezzi per salvare milioni di vite a minimi sforzi.

Ancora negli anni '70, soltanto un bambino su dieci nel mondo era regolarmente vaccinato contro le principali malattie mortali (poliomielite, morbillo, tubercolosi, difterite, tetano e pertosse) per le quali esisteva una simile protezione. Oggi la copertura vaccinale globale è prossima all'80%, un successo che si misura anche con il numero di vite salvate grazie alle campagne di immunizzazione: circa 20 milioni negli ultimi due decenni.
 


Bambina che riceve una vaccinazione


 


Vaccini di nuova generazione, più efficaci di quelli tradizionali e in grado di colpire infezioni che fino a pochi anni fa non potevano essere prevenute, offrono motivi di ancora maggiori speranze per il futuro.

Eppure, nonostante questi immensi progressi, ogni anno due milioni di bambini continuano a morire a causa di banali malattie, per le quali esiste un vaccino che costerebbe pochi centesimi di euro.


 

 


 

La carenza di servizi sanitari di base è rafforzata dalla mancanza di informazioni. Spesso le comunità e le famiglie ignorano l'importanza vitale delle vaccinazioni, non sanno riconoscere i sintomi delle malattie e neppure quando sia giunto il momento di cercare un medico per un bambino che sta male. Per combattere queste forme di ignoranza sanitaria, si rivela fondamentale l'istruzione delle donne e delle future madri.
 
Una ragazza che ha frequentato qualche anno di scuola è in grado di assistere e nutrire meglio il suo bambino, sa leggere le istruzioni di un operatore sanitario e dosare un farmaco come una donna analfabeta non può fare (basti pensare alle decine di migliaia di bambini che ogni anno muoiono perché le madri diluiscono troppo le medicine o il latte in polvere).
L'umanità non ha mai visto andare a scuola un numero di bambini così alto quanto oggi, in termini sia assoluti che percentuali, nel corso della sua storia.
 
Eppure, un'istruzione di qualità accettabile rimane un sogno ancora per troppi bambini nel mondo. Sono oltre 120 milioni i bambini ai quali è negato il fondamentale diritto all'istruzione di base, e in oltre metà dei casi si tratta di bambine.

Avere accesso alla scuola primaria è molto più che imparare a leggere, scrivere e far di conto. In un paese a basso reddito e con alti tassi di incremento demografico, le nuove generazioni rappresentano la ricchezza più importante e la migliore speranza di spezzare la catena che collega ignoranza, povertà, sfruttamento e sottosviluppo.


Bambini che studiano


 
In una scuola a misura di bambino i più giovani apprendono, oltre alle nozioni basilari che li salvano dall'analfabetismo, competenze e comportamenti che serviranno loro nel corso di tutta la loro esistenza.

La storia insegna che nessuna società è mai uscita dal sottosviluppo senza un cospicuo investimento nel proprio capitale umano. Per questo l'istruzione è considerato un diritto umano fondamentale e uno dei più importanti fra gli otto Obiettivi di Sviluppo del Millennio sanciti nel 2000 dall'Assemblea Generale dell'ONU.

Garantire a tutti i bambini e a tutte le bambine la possibilità di frequentare per intero almeno il ciclo dell'istruzione primaria e di ricevere insegnamenti di qualità è il modo più efficace per conseguire anche gli altri traguardi del terzo millennio, quali l'eliminazione della fame, della povertà e degli ostacoli che frenano uno sviluppo umano sostenibile per tutti gli abitanti del pianeta, inclusa la pandemia da HIV/AIDS.

La principale causa dell'esclusione scolastica delle bambine è la discriminazione di genere.

Sia i maschi che le femmine devono spesso superare ostacoli nell'accesso all'istruzione: tuttavia, di norma, e a parità di altri fattori, gli ostacoli che incontra una bambina sono più frequenti e penalizzanti.

E questo per il solo fatto di essere nata femmina! Queste sono le più frequenti tipologie di cause alla base del divario fra maschi e femmine nelle scuole di molti Paesi in via di sviluppo.

  1. Povertà familiare

 Per una famiglia a basso reddito, ogni figlio che va a scuola è al tempo stesso una fonte di reddito sottratta al bilancio familiare e un aiuto in meno per le incombenze domestiche.
 
Quando poi la scuola diventa un costo netto, per via delle tasse di iscrizione o delle spese per i libri, l'uniforme o i pasti, è facile che una famiglia debba scegliere quali figli debbano continuare a studiare e quali no. Di fronte alla scelta di mandare a scuola il fratello o la sorella, è probabile che i genitori dedichino le scarse risorse disponibili all'istruzione del figlio maschio, convinti che questo sia l'unico investimento che renda a lungo termine.
 

  1. Bambine "fantasma"...

 Le bambine sono sfavorite anche da circostanze esterne al mondo della scuola, ma che possono avere come effetto la loro esclusione dal diritto all'istruzione.
 
Ad esempio, la mancata registrazione anagrafica alla nascita si traduce spesso in una successiva impossibilità di essere ammessi nel sistema educativo nazionale. E le bambine costituiscono la maggior parte dei circa 50 milioni di esseri umani afflitti da questa condizione di "inesistenza legale".


Bambina fantasma

  1. c)...e spose bambine

Matrimoni e gravidanze precoci costringono ogni anno centinaia di migliaia di adolescenti, spesso poco più che bambine, a rinchiudersi in casa o ad abbandonare gli studi. Per loro, la condanna all'analfabetismo si somma al peso di una sottomissione quotidiana al marito e alla sua famiglia.
 
Ad aggravare la situazione di queste ragazze vi sono a volte leggi arretrate che vietano a una ragazza che ha dato alla luce un figlio di tornare a frequentare la scuola.

  1. d)Timori di violenza e disonore

 Fra le ragioni per cui la famiglia può preferire che una bambina non vada a scuola vi sono anche preoccupazioni per la sua sicurezza o per l'onorabilità familiare.
 
Se il tragitto dal villaggio all'aula è ritenuto troppo lungo o esposto a pericoli, se a scuola si verificano fenomeni di bullismo o punizioni corporali degli allievi, ma anche se mancano insegnanti donne o servizi igienici separati, i genitori - soprattutto se di cultura tradizionalista - tendono a ritirare le figlie da scuola.

  1. I pericoli nelle emergenze

 Ancora maggiori sono le barriere che possono ostacolare l'istruzione femminile in situazioni di emergenza, come quelle che si verificano nelle zone teatro di un conflitto o nei campi profughi.
 
In questi casi, la forzata promiscuità e, non di rado, l'assenza di un efficace controllo dell'ordine pubblico, possono rendere le più giovani facili prede di abusi e violenze. In un simile clima, è probabile che le bambine siano tenute segregate e private dell'ambiente educativo e ricreativo, da tutti gli esperti riconosciuto come il più prezioso dei rimedi contro il trauma psicologico e lo stress emotivo.

  1. L'istruzione sessista allontana le allieve

 Una scuola di scarsa qualità può indurre all'abbandono i suoi allievi in maniera indifferenziata, ma se l'insegnamento è ispirato a teorie discriminatorie e sessiste, saranno le bambine ad essere spinte verso la dispersione scolastica.
 Ciò accade quando i maestri applicano norme punitive o derisorie nei confronti delle bambine, quando i testi di studio abbondano di stereotipi sui ruoli dei maschi e delle femmine o semplicemente ignorano gli interessi culturali e sociali delle alunne.
 L'ambiente scolastico può acuire questi problemi, ad esempio quando si addossano alle allieve le pulizie dei locali o altri compiti di manutenzione a scapito del tempo dedicato alle lezioni.
Non è azzardato sottolineare infine che le ragazze, ancor più dei loro coetanei, nutrono grandi aspettative formative negli anni dell'istruzione di base, se non altro perché sanno che poche di loro avranno la possibilità di frequentare anche la scuola secondaria. Quando vanno deluse le loro speranze di acquisire competenze utili per la vita adulta, le allieve non vedono più il motivo di resistere alle pressioni familiari e sociali che le vogliono esclusivamente dedite alla casa e alla famiglia.


 

Fra le minacce alla salute dei bambini, occupa una posizione sempre più rilevante l'HIV/AIDS.
 Oltre ai tre milioni di bambini e ragazzi sotto i 15 anni che convivono con il virus, in massima parte a causa del contagio da parte materna alla prima o durante la nascita, vanno considerati i moltissimi altri la cui vita è stata indirettamente segnata dall'AIDS.
 Per coloro che accudiscono familiari malati, e soprattutto per i 15 milioni di orfani, la capacità di tutelare il proprio stato di salute dipende esclusivamente dalla benevolenza di parenti, per lo più anziani e in difficoltà economiche, o dai rarissimi programmi assistenziali dello Stato.
Quando il virus (HIV) dell'AIDS fece la sua comparsa, poco più di due decenni fa, si pensava che i giovani fossero relativamente al sicuro dalla malattia.
 Oggi la diffusione dell'HIV/AIDS ha preso le dimensioni di una epidemia globale (pandemia) e oltre metà dei nuovi casi di infezione che avvengono nel mondo colpiscono persone con meno di 25 anni.
Nei Paesi in cui il virus è più diffuso, gli effetti dell'HIV/AIDS sulle nuove generazioni è devastante.
 L'età media delle persone infette o malate è sempre più bassa: le ragazze, più indifese rispetto al virus per ragioni fisiologiche e per condizionamenti sociali, pagano un tributo alla malattia ancora più alto rispetto ai coetanei maschi.
I tassi di mortalità infantile crescono a causa della trasmissione del virus da madre a figlio, mentre il numero dei bambini rimasti orfani a causa della malattia è salito a oltre 15 milioni.
L'HIV/AIDS è una malattia spietata, per la quale non esiste un vaccino o una cura in grado di debellare il virus dall'organismo malato, ma può essere combattuta con le terapie che ne bloccano il decorso e soprattutto con la prevenzione.
Purtroppo, da quando l'Occidente ha imparato a proteggersi efficacemente dal virus, sembra avere dimenticato il resto del mondo, che non avendo i mezzi per imitarne il successo, vede l'epidemia espandersi di anno in anno.
 Oggi l'AIDS è la prima causa di morte in Africa, il continente in cui vivono tre quarti dei sieropositivi e dei malati di AIDS, e il 90% degli orfani per AIDS di tutto il pianeta.


Bambina africana affetta dal virus HIV


 L'HIV/AIDS sta provocando un terribile carico di sofferenze per l'intera umanità, facendo più vittime di tutte le guerre in corso e riportando molti Stati indietro di decenni lungo il sentiero dello sviluppo.
Attualmente l'HIV/AIDS è la quarta causa di mortalità a livello planetario, e la prima in assoluto nel continente africano. Dai primi casi individuati alla fine degli anni Settanta a oggi, oltre 23 milioni di persone sono morte per colpa della malattia, e le stime prevedono che questa cifra raddoppierà di qui al 2010.
A quell'epoca, se non vi sarà stata un'efficace azione della comunità internazionale, negli Stati più colpiti dall'epidemia si avranno tassi di mortalità infantile due volte più alti rispetto a quelli odierni e i sistemi educativi e sanitari saranno ridotti allo stremo.
L'HIV/AIDS è una malattia dal volto sempre più giovane. Sin dal 2002, almeno metà dei 5 milioni di nuovi casi di infezione che si verificano ogni anno nel mondo riguardano persone con età inferiore a 25 anni. Una persona sieropositiva su tre ha meno di 25 anni, e fra i giovani sieropositivi due terzi sono ragazze, segno di una loro sproporzionata vulnerabilità.
Si contano attualmente nel mondo 15 milioni di bambini e ragazzi resi orfani di uno o entrambi i genitori dall'AIDS, per nove decimi concentrati nell'Africa subsahariana. Il loro numero potrebbe salire a 25 milioni di qui al 2010.
Ogni giorno quasi 2.000 bambini nascono sieropositivi per contagio da parte materna durante la gravidanza, il parto o l'allattamento al seno.
Le statistiche attuali e gli scenari futuri appaiono spaventosi, ma questa tendenza al peggioramento può ancora essere vinta, con un impegno deciso e concertato da parte della comunità internazionale.
Mentre prosegue la difficile ricerca di un vaccino, si possono salvare milioni di vite con la prevenzione della trasmissione madre-figlio del virus, estendendo l'accesso ai farmaci e ai test per l'HIV, potenziando i servizi sanitari di base e diffondendo messaggi di prevenzione fra i giovani.
Al tempo stesso, si possono alleviare ingiuste sofferenze garantendo assistenza ai bambini rimasti orfani, combattendo la discriminazione nei confronti delle persone malate e sostenendo economicamente le comunità più duramente colpite.

La diffusione dell'HIV/AIDS non è più limitata all'Africa subsahariana, come siamo stati abituati a pensare nel corso degli anni Novanta.
 In quest'ultimo periodo della nostra storia, l'epidemia si è espansa in tutte le aree del mondo in via di sviluppo, con tassi di diffusione particolarmente allarmanti in America Centrale, nei Caraibi, in Europa orientale e in alcune regioni asiatiche.
Al contrario, in Europa, America settentrionale e negli altri paesi ad alto reddito l'epidemia è stata contenuta grazie ai progressi della ricerca farmaceutica e all'efficienza dei servizi di monitoraggio e prevenzione.
 Qui il pericolo principale è rappresentato da un abbassamento della guardia che potrebbe facilitare il ritorno in auge di comportamenti a rischio, soprattutto fra i giovani che non beneficiassero di un'efficace azione di informazione e sensibilizzazione.
 


Spiegazione dell'acronimo AIDS
by Michael Jensen


Come si misura l'epidemia di HIV/AIDS

 Per definire il grado di diffusione dell'infezione si ricorre ai termini di "epidemia bassa" o "concentrata", e di "epidemia generalizzata", o "pandemia".
Nella maggior parte dei paesi, la diffusione dell'HIV/AIDS è confinata all'interno dei cosiddetti "gruppi a rischio", ossia categorie di soggetti che praticano comportamenti che favoriscono il contagio: omosessuali maschi, tossicodipendenti che fanno uso di droghe iniettabili, persone coinvolte nel mercato del sesso.
Un'epidemia di HIV/AIDS è concentrata quando coinvolge meno dell'1% della popolazione complessiva ma almeno il 5% dei membri di uno dei gruppi a rischio.
L'epidemia è invece di tipo generalizzato quando ad essere colpito è oltre l'1% degli abitanti di uno Stato e il virus si diffonde trasversalmente fra i gruppi a rischio e il resto della popolazione. È questo il caso di gran parte dei paesi dell'Africa e di altri continenti del Sud del mondo.

 

Africa subsahariana

È tuttora la regione maggiormente colpita dalla pandemia di HIV/AIDS: qui vivono 30 milioni di soggetti portatori di HIV (pari a tre quarti dei sieropositivi del mondo) e addirittura il 90% dei bambini infetti dal virus. In questa parte del mondo l'AIDS è rapidamente divenuta a prima causa di morte, superando in negativo mali atavici come la malaria o la tubercolosi.
In 12 Stati africani il tasso di diffusione del virus nella popolazione adulta (15-49 anni) supera il 10%, ossia dieci volte la soglia oltre la quale l'epidemia si considera generalizzata.
La tragedia assume proporzioni spaventose in alcuni paesi dell'Africa australe, come il Botswana o lo Swaziland, dove un adulto su tre ha già contratto il virus e gli epidemiologi stimano che per un quindicenne di oggi vi siano più probabilità (60%) di ammalarsi che non di arrivare sano all'età adulta.


L'Aids in Africa

 

Asia meridionale e orientale

L'epidemia è considerata di tipo generalizzato in Cambogia, Thailandia e Myanmar, mentre in Indonesia, Nepal e Vietnam i tassi di diffusione fra i giovani inducono a prevedere scenari analoghi nel giro di pochissimi anni.

Massimo allarme destano però i due giganti del continente, Cina e India, dove si concentra un quarto della popolazione mondiale e dunque anche un lieve aumento del tasso di diffusione si tradurrebbe in milioni di contagi. In numerose province cinesi si è già raggiunto un livello di epidemia concentrata, nonostante il tentativo del governo di Pechino di minimizzare le dimensioni del fenomeno.

Europa orientale e Asia centrale

 In questi ultimi anni, i territori dell'ex Unione Sovietica e dell'Europa orientale fanno registrare tassi di diffusione dell'HIV/AIDS più rapidi di qualsiasi altra area del mondo, Africa inclusa.
Ciò avviene a causa del collasso economico e sociale di queste realtà, dove una liberalizzazione selvaggia ha gettato nella miseria larghi strati della popolazione e la qualità dei servizi sanitari di base è precipitata a livelli da Terzo Mondo o ha raggiunto costi inarrivabili per la maggior parte della popolazione.
Il numero dei sieropositivi in questa regione è prossimo ai due milioni, e sebbene l'infezione riguardi ancora in massima parte i gruppi a rischio (tossicodipendenti in primo luogo), il contagio per via sessuale sta dando all'epidemia un carattere quasi generalizzato.
L'età delle persone contagiate è sorprendentemente bassa: in Russia, ogni anno contraggono il virus migliaia di teen-ager del tutto ignari delle più elementari norme di prevenzione

America Latina e Caraibi

 Anche qui l'epidemia è prossima ad assumere carattere generalizzato, in verità già raggiunto nell'area caraibica con un tasso di prevalenza dell'HIV/AIDS del 2,3% fra gli adulti - il più alto al mondo dopo l'Africa.

La modalità prevalente del contagio è stata finora quella dei rapporti omosessuali fra maschi, ma negli ultimi tempi il fatto che il maggior numero dei nuovi casi di infezione riguardi giovani donne fa ritenere che il virus abbia ormai valicato il confine dei gruppi a rischio.

Medio Oriente e Nord Africa

È la regione di cui si hanno i dati più incerti. Gli esperti indicano epidemie concentrate nel gruppo a rischio dei tossicodipendenti in metà dei paesi del Maghreb e del Medio Oriente, Iran incluso.
 La modalità di trasmissione sessuale del virus è probabilmente rallentata da influenze culturali e religiose.

Paesi industrializzati

I paesi ad alto reddito sono gli unici nei quali le persone sieropositive hanno accesso ai farmaci antiretrovirali, che ritardano l'avvento della sindrome e migliorano la qualità della vita. Tuttavia, la malattia è tutt'altro che scomparsa: ogni anno quasi 80.000 persone contraggono il virus, e altre 25.000 circa muoiono per AIDS.
In alcuni paesi i tassi di diffusione dell'HIV/AIDS hanno smesso di diminuire, fenomeno rivelatore di una minore attenzione nella prevenzione e in una sottovalutazione del rischio, probabilmente indotto dal successo dei farmaci antiretrovirali e dall'erronea opinione che l'HIV/AIDS sia ormai una malattia curabile.


 

Da sempre la guerra è nemica giurata dell'infanzia, poiché con il suo carico di lutti e distruzioni interrompe tragicamente l'età in cui un essere umano ha un bisogno assoluto dell'affetto e della protezione da parte del mondo adulto.
 Ma se per secoli le guerre avevano la forma di scontri fra soldati, con i civili nel ruolo di spettatori e vittime occasionali, quelle della nostra epoca sono quasi esclusivamente stragi di persone inermi.

 













  Mortalità infantile causata dalla guerra


Dal secondo conflitto mondiale in poi, oltre il 90% dei caduti nelle guerre sono civili, in metà dei casi bambini. Questi sono gli effetti dei conflitti moderni, i cui teatri non sono più trincee o campi di battaglia, bensì città, villaggi, scuole e ospedali.
 E ciò non a caso, poiché l'obiettivo non è quasi mai quello di conquistare un territorio, ma di distruggere un nemico: i ribelli che ricercano l'indipendenza, i seguaci di un'altra fede, la minoranza che impedisce la purezza etnica della nazione.
Accade così che le donne e i bambini non siano più soggetti neutrali, degni della massima tutela, ma obiettivi bellici in piena regola.
 Lo stupro etnico è una nuova arma di guerra, escogitata per punire e umiliare l'avversario impedendo la riproduzione del "nemico", mentre lo sterminio di bambini e ragazzi è un freddo calcolo militare - l'eliminazione dei nemici di domani.
 Anche arruolare ragazzini per combattere ed eventualmente fare strage di altri bambini non è che la coerente conseguenza di questo folle ragionamento.
 

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L'acqua è un diritto irrinunciabile, per ogni essere umano. Senza acqua non sopravviverebbe la specie umana né alcuna forma di vita evoluta sul nostro pianeta.
Ma l'acqua sta diventando un bene sempre più scarso, per la cattiva gestione che se ne fa.
 Nei paesi a basso reddito, 500 milioni di bambini (uno su tre) non hanno accesso a servizi igienici degni di questo nome, e un bambino su cinque non usufruisce nemmeno di fonti di acqua potabile.
L'importanza dell'elemento idrico è tale da avere assunto carattere strategico, al pari - e in prospettiva, anche più - del petrolio. Nelle aree semiaride del pianeta già si consumano conflitti più o meno direttamente legati al controllo delle fonti idriche.
 L'acqua è dunque anche un bene su cui si fonderà, in un futuro sempre più prossimo, la tutela della pace e della sicurezza globale.
Il settimo degli otto Obiettivi di Sviluppo del Millennio, sottoscritti nel 2000 dalla più vasta assemblea di Capi di Stato e di governo della storia, pone come traguardo per il 2015 il dimezzamento nel numero di abitanti del pianeta senza accesso all'acqua potabile e a servizi igienici adeguati, nonché l'installazione entro la medesima data di infrastrutture igieniche in tutte le scuole del mondo.
Questi traguardi sono stati successivamente ribaditi in sedi internazionali della massima rilevanza, come il Vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile (Johannesburg, settembre 2002), la Sessione speciale delle Nazioni Unite sull'infanzia (maggio 2002) e il terzo Forum mondiale sull'acqua (marzo 2003). Un grande impulso verso il conseguimento dell'Obiettivo del Millennio 7 è atteso nel 2008, proclamato dall'ONU "Anno internazionale per i servizi igienici": un anno denso di appuntamenti ad alto livello, per aumentare la consapevolezza e la mobilitazione di risorse economiche al fine di assicurare l'accesso a servizi igienici adeguati al 40% della popolazione mondiale (2,6 miliardi di persone) che ne è ancora privo.
Milioni di bambini nei Paesi a basso reddito soffrono e muoiono ogni anno a causa della scarsità di igiene e di acqua potabile.


Bambino africano si specchia
nell'acqua


 Tutte le malattie veicolate dall'acqua infetta e dalla mancanza di latrine e fognature potrebbero essere prevenute, come da tempo accade in Occidente, se soltanto la comunità internazionale accettasse di estendere a tutti gli abitanti del pianeta l'elementare diritto all'acqua e all'igiene, e di investire a tal fine i fondi necessari.
I bambini, a causa della fragilità dell'organismo in fase di sviluppo e delle imperfette difese immunitarie, sono di gran lunga i soggetti più vulnerabili di fronte al nemico invisibile rappresentato da virus e batteri.
La sola diarrea - un banale disagio transitorio, per chi ha facile accesso ai farmaci e alle cure pediatriche - uccide ogni anno 1,8 milioni di bambini nel Sud del mondo. Nelle realtà meno sviluppate, un bambino ha in media 4-5 episodi di dissenteria l'anno, che in mancanza di cure tempestive possono condurre a una disidratazione letale, ma che lasciano comunque tracce a volte indelebili nel fisico.
 Ad esempio, ricorrenti crisi diarroiche indeboliscono il sistema immunitario del bambino, esponendolo a un elevato rischio di mortalità per malattie "opportunistiche", come le infezioni dell'apparato respiratorio.
L'acqua infetta e stagnante è anche un mezzo di trasmissione di altre malattie mortali, come il colera, la malaria (in quanto favorisce la proliferazione della zanzara anofele) e infezioni intestinali di origine parassitaria come la schistosomiasi, il tracoma o il verme di Guinea, che affliggono 400 milioni di bambini in età scolare ogni anno.
I parassiti intestinali sottraggono nutrimento all'organismo, aggravando lo stato latente di malnutrizione e rallentando lo sviluppo e le capacità di apprendimento del bambino
Ancora più grave è il pericolo di infezioni che si cela nei luoghi in cui tutta la popolazione di una comunità si reca per defecare o gettare rifiuti organici, quando mancano infrastrutture come gabinetti, fognature e discariche.
Ai danni provocati dagli agenti patogeni naturali si aggiungono, sempre più numerosi, quelli legati all'inquinamento delle sorgenti e dei bacini acquiferi per mano dell'uomo.
 Soprattutto in Cina e nel subcontinente indiano, il tumultuoso processo di industrializzazione sta producendo un rapido degrado nella qualità dell'acqua e dell'aria, senza che siano stati predisposti efficaci meccanismi di tutela ambientale.

Altrettanto gravi, per la salute dei bambini, sono le conseguenze della carenza o inadeguatezza dei servizi igienici, delle fognature e delle infrastrutture per lo smaltimento dei rifiuti, che toccano oltre 2 miliardi e mezzo di abitanti del pianeta.
 Ovunque manchino gabinetti e fognature adeguate, vi è un potenziale focolaio di colera e di dissenteria, entrambe malattie epidemiche ad alto tasso di letalità per i più piccoli.


 

La malnutrizione è una emergenza invisibile. Proprio come in un iceberg, la sua minaccia reale giace non vista, sotto la superficie.
 Ogni anno essa incide all'incirca per il 40% della mortalità infantile globale (pari a 10,6 milioni di decessi annui fra i bambini da 0 a 5 anni), cifra alla quale vanno aggiunti un milione e mezzo di morti per conseguenze legate al mancato allattamento al seno.
A differenza di quanto ritiene la maggioranza delle persone, solamente una piccola frazione delle morti per malnutrizione consiste in vere e proprie morti per fame, a seguito di eventi catastrofici come una carestia o una guerra.
 Nella assoluta preponderanza dei casi, la malnutrizione colpisce lentamente e silenziosamente, rallentando lo sviluppo fisico e intellettivo del bambino, provocando ritardi permanenti e infine erodendo la capacità dell'organismo di reagire con successo alle infezioni e alle malattie.
 Dietro la morte di un bambino per dissenteria o polmonite, c'è spesso una storia di malnutrizione trascurata.


Bambina africana malnutrita

La malnutrizione non va confusa con la mera scarsità di cibo (denutrizione), ma è la combinazione di vari fattori: insufficienza di proteine, zuccheri e micronutrienti, frequenza di malattie e infezioni, ignoranza alimentare, consumo di acqua non potabile, carenza di controlli medici e scarsità di igiene.
La malnutrizione produce effetti devastanti già durante la gestazione, allorché impedisce lo sviluppo regolare del feto, e nei primi anni di vita del bambino.
In generale, si stima che 300 milioni di bambini soffrano qualche forma di malnutrizione. Vi sono tuttavia diverse forme di malnutrizione infantile, e un bambino può soffrire anche di più di esse simultaneamente.
Nel Sud del mondo, un neonato su sei è sotto peso (meno di 2,5 kg. alla nascita). Con il passare dell'età, un numero sempre maggiore di soggetti ricade in questa anomala condizione: attualmente, nei paesi poveri, 150 milioni di bambini tra 0 e 5 anni fanno registrare un peso moderatamente o gravemente inferiore a quello previsto per la loro età.
 Ancora di più (171 milioni) sono quelli che soffrono di deperimento e ritardi cronici nella crescita a causa di una dieta povera.
E oltre il 60% dei bambini non è allattato esclusivamente al seno nei primi 6 mesi di vita.
 L'allattamento naturale è la prima fonte di approvvigionamento di micronutrienti e altri fattori della crescita: nessun alimento può competere con il latte materno quanto a proprietà nutritive, potere immunizzante e proprietà benefiche per l'equilibrio psicofisico del nuovo nato. Si calcola che ogni anno 1,5 milioni di bambini soccombano per effetto del mancato o insufficiente allattamento al seno, e per le conseguenze nefaste di uno scorretto allattamento con surrogati del latte materno.
 











Bambini africani denutriti


 

  • L'infanticidio femminile


    L'infanticidio femminile consiste nell'uccisione (solitamente via annegamento) delle neonate femmine. Usanza tradizionale cinese, la tendenza a questi omicidi è alimentata da innumerevoli motivi che convincono le coppie a avere un figlio, o al massimo due.
    Le ragioni che spingono a preferire un neonato maschio piuttosto di una femmina sono di diversa natura: l'individuo maschile potrebbe aiutare nel lavoro nei campi, sarebbero sostentamento per i genitori diventati anziani, e soprattutto garantirebbero il perpetuare del nome di famiglia, mentre le donne, una volta sposate, assumerebbero il cognome del marito.
    Soprattutto quest'ultimo motivo è di particolare rilevanza nei paesi dove vige il culto degli antenati; inoltre, l'avere una figlia femmina porta con sè anche il bisogno di trovare una dote per maritarla.



     


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