LA CRISI DEL SEICENTO

Il XVI secolo, cronologicamente chiuso dalla morte di due grandi sovrani, Filippo II (1598) e Elisabetta d’Inghilterra (1603), era stato un periodo di espansione economica e di incremento demografico. Nei primi decenni del XVII secolo ebbe invece inizio un complicato processo di crisi che, per certi aspetti, colpì indistintamente tutti i paesi europei e, per altri, penalizzò particolarmente l’area mediterranea, in primo luogo Spagna e Italia. Essa fu non solo una battuta d’arresto nel processo di crescite avviatosi nel secolo precedente, ma una fase di profonde ed ineguali trasformazioni che ridisegnarono in modo quasi definitivo il volto dell’Europa moderna, determinando quello squilibrio tra Nord e Sud del continente che ancora oggi fa sentire il suo peso.
Dopo le crisi agricole della fine del ‘500, la crisi commerciale e manifatturiera degli anni 1619-22, che coincide con l’inizio della guerra dei Trent’anni, colpisce l’intera penisola italiana, anche se questa ha conosciuto solo più tardi e su una parte soltanto del suo territorio le conseguenze militari di un conflitto che costò invece alla Germania circa un terzo della sua popolazione e che sottopose buona parte della rimanente ad un ampio rimescolamento in molte zone. Al confronto, si può dire che l’Italia del ‘600 abbia assai poco patito per le vicende belliche e la mobilità della popolazione da una regione all’altra può apparire insignificante. Comunque, dopo la crescita avvenuta nella seconda metà del ‘500, la sua situazione demografica rimane, eccetto il Piemonte, praticamente stazionaria. Al ristagno demografico contribuirono certamente le epidemie di peste, in particolare quella del 1630-31, che desolò il nord e il centro della penisola, oltre alla Spagna e Germania, e quella del 1656-57, che colpì Francia, Inghilterra, Olanda e in particolare la Liguria, la Sardegna e l’Italia meridionale, senza contare le carestie e i grandi sismi che scuotono due volte la Sicilia nel 1684 e nel 1693 devastandola. Il clima inoltre aggravò la situazione perché ebbe inizio dal 1590 una fase di raffreddamento atmosferico, destinato a durare fino alla metà dell’800. La dipendenza della agricoltura dai fattori climatici era stata accentuata dalla diffusione della cerealicoltura. Infatti il fenomeno indebolì la possibilità di difesa dalle avversità delle stagioni, poiché era più facile che una monocoltura fosse danneggiata completamente da una particolare condizione climatica che invece una coltivazione varia.

 

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