Lo stato moderno

Con la politica interna dei due ministri Olivares e Richelieu prese avvio, nel ‘600, in Spagna e in Francia, benché con esiti diversi, una fase decisiva in quel processo di lento e graduale rafforzamento dello Stato che era in atto ormai da due secoli. Un processo che non riguardò solo queste due grandi monarchie continentali, ma che aveva già investito anche l’Inghilterra, ed era stato anticipato nei principati della penisola italiana. Lo Stato moderno, che si costituì in questo periodo, era un’organizzazione politica accentrata e assoluta, e la sua formazione è segnata dalla progressiva accentuazione di questi due caratteri basilari.
I conflitti fra le monarchie e le conseguenti necessità militari rappresentano l’impulso iniziale che mise in moto la trasformazione delle istituzioni politiche. L’esigenza di disporre di un esercito permanente rese necessario un flusso costante di entrate, che solo un’estesa fiscalità poteva assicurare e che solo un’amministrazione ben organizzata poteva controllare. Contemporaneamente gli stati si dotarono di apparati coercitivi, e dunque di istituzioni giudiziarie, indispensabili, tra l’altro, per garantire una uniformità di applicazione del prelievo fiscale su tutto il territorio nazionale.
Esercito permanente, fisco, burocrazia e apparati coercitivi definiscono i contorni di una nuova struttura statale, che si contrappone alla frammentazione dei poteri di origine feudale. Una struttura accentrata intorno alla figura del sovrano, che detiene un potere del tutto indipendente e quindi assoluto, sciolto da ogni vincolo.
La formazione dello stato moderno coincide dunque con lo sviluppo delle monarchie assolute ed è costantemente accompagnata dalla lotta per il ridimensionamento politico della nobiltà tradizionale: una lotta che, nelle sue fasi iniziali, vide le monarchie allearsi ai ceti cittadini e mercantili. Ma in un periodo successivo anche le città dovranno rinunciare alle loro antiche libertà, cedendo alla spinta uniformatrice dello Stato.
Se le monarchie riuscirono nell’intento di ridurre le autonomie politiche, non misero tuttavia in discussione il sistema di privilegi fiscali (esenzione dalle tasse) di cui godevano i ceti nobiliari e che costituiva il fondamento della gerarchia sociale. Favorirono invece, in funzione del consolidamento del proprio potere e come alternativa alla nobiltà, la creazione attraverso la vendita delle cariche di un nuovo ceto burocratico. La burocrazia dei funzionari, di estrazione borghese e di formazione giuridica, fu indispensabile alla amministrazione fiscale e giudiziaria. Il sistema della venalità delle cariche, vendute in sempre maggior numero per incrementare le entrate, divenne tuttavia un limite all’assolutismo del potere regio: la sostanziale privatizzazione, che l’ereditarietà istituiva, toglieva infatti allo stato la prerogativa di poter rimuovere o sostituire i funzionari. In Francia, e più tardi anche in Spagna, questi limiti vennero superati con l’istituzione delle nuove figure degli intendenti. Ma in generale la venalità delle cariche rappresentò un’importante via di ascesa sociale per i ceti borghesi, un’ascesa sociale che si realizzò all’interno della cornice istituzionale della monarchia assoluta e che costituì, nonostante alcune fasi conflittuali, una degli elementi portanti dello Stato moderno.
Il passaggio da una economia fondata sui prodotti a una puramente monetaria aumentò enormemente le risorse dello stato. La necessità di fondi illimitati era comune ad ogni settore della società e costituiva la chiave della politica economica dello stato assoluto. Quando il principe e i suoi favoriti non traevano risorse sufficienti dalle imposte, ricorrevano al saccheggio di regni lontani, come Filippo di Spagna, o di monasteri vicini, come Enrico VIII d’Inghilterra; e quando neanche questo bastava, depredavano le poche monete del povero per elargire altro oro a chi già era ricco. Di qui tutta la politica di concessioni e di autorizzazioni: occorreva un permesso speciale, naturalmente a pagamento, persino per costruire una casa. Il monopolio degli affitti, la concessione di brevetti che assicuravano speciali privilegi di produzione e di vendita, il bottino della pirateria, del brigantaggio e delle conquiste e l’applicazione del sistema monopolistico alle invenzioni tecniche; tutti questi metodi contribuivano a riempire i forzieri del sovrano. Ampliare i confini dello stato significava aumentare la popolazione tassabile; accrescere la popolazione della capitale equivaleva ad aumentare il reddito dei terreni. Queste due forme d’incremento finivano per tradursi in termini di denaro che affluiva al pubblico erario. I governi monarchici non soltanto divennero capitalistici nelle loro attività pratiche, fondando fabbriche d’armi, di porcellane, di arazzi, ma cercarono di creare un sistema di sfruttamento in base al quale ogni stato sovrano avrebbe ricevuto, in oro, più di ciò che dava: esempio classico di economia coloniale. Lo strumento per sovrintendere a queste esazioni e a effettuare la distribuzione dei privilegi era una burocrazia in costante sviluppo.
Il capitalismo divenne a sua volta militaristico: ricorreva alle armi dello stato quando senza di esse non poteva più contrattare profittevolmente, e questa, fu la base dello sfruttamento coloniale e dell’imperialismo. .Nei momenti di crisi economica i cannoni della soldatesca mercenaria potevano essere rivolti, al minimo indizio di rivolta, sugli sventurati sudditi. Soltanto Inglesi e Olandesi riuscirono a sfuggire allo schema barocco prima degli altri, sbarazzandosi dei loro dispotici sovrani.
Ma lo sviluppo del capitalismo introdusse soprattutto in ogni settore una mentalità laica e un metodo di giudizio basato su fatti concreti. La nuova classe di mercanti e di banchieri poneva l’accento sul metodo, sull’ordine, sulla routine, sulla potenza e sulla mobilità, tutte qualità che contribuivano ad accrescere l’efficacia e la praticità del potere
L’evoluzione del sistema assolutista caratterizzò tutta la storia europea di questo periodo, e le situazioni conflittuali cui diede luogo nei singoli paesi rappresentarono gli esiti politici più significativi della crisi del ‘600. Gravi tensioni interne si ebbero in Francia, Spagna e Inghilterra, approdando ad un rafforzamento dell’assolutismo in Francia, ad una crisi permanente in Spagna, al fallimento dell’ipotesi assolutista in Inghilterra. L’Olanda rappresentò invece il più riuscito modello alternativo, mentre la guerra dei Trent’anni può essere considerata, per molti aspetti, un episodio del fallito tentativo di trasformare l’Impero germanico, nel suo insieme, in uno stato moderno assoluto sotto l’egemonia degli Asburgo d’Austria.

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