Capitalismo e commerci in Europa
Ogni grandezza viene esercitata attraverso un sistema di azione e di
vigilanza, ossia attraverso un sistema economico cui viene ad aggiungersi un sistema
politico. Per essere efficace è necessario che questi sistemi si stringano insieme, si
coordino, e che mezzi di produzione, organismi di decisione, intermediari, istituzioni,
scopi privilegiati da perseguire formino un tutto coerente. Che esista, insomma, già in
quel periodo, un sistema capitalistico efficace. Certamente le parole capitalista e
capitalismo sono anacronistiche rispetto a quellepoca, ma servono ad inquadrare bene
largomento. Da questo punto di vista, come si sono organizza te in Italia le cose
nel momento del declino, o anche prima di questo declino?
A Venezia la piazza è dominata, verso il 1605, dai fiorentini, proprietari di case, e dai
genovesi, padroni dei cambi, del commercio dellargento, e delle assicurazioni
marittime. I fiorentini però sembrano insediati anche meglio dei genovesi. Tuttavia, con
la rottura delle fiere di Piacenza nel 1621 e le perdite subite allora da Venezia, si
verifica una reazione antigenovese. Scorgiamo in questo caso limmagine precisa di
giochi capitalistici che si svolgono fra le diverse Italie attive: alcuni vincono, altri
perdono. Il gioco però non è del tutto chiaro. Si potrebbe abbozzare uno schema di
partenza: i prestatori ebrei sono al livello più basso della vita quotidiana, i
fiorentini si collocano sul piano degli affari medi, delleconomia prudente, e i
genovesi sono al sommo delledificio economico, sulla piattaforma capitalistica, più
angusta e più pericolosa. Naturalmente, nel periodo della decadenza italiana, non ci si
può limitare a considerare il capitalismo italiano, ma anche linsediarsi di quello
straniero, quella lenta detronizzazione dei sistemi dominanti della penisola da parte del
denaro olandese e inglese. Gli olandesi sembrano aver raggiunto presto Venezia, Napoli e
soprattutto Livorno. Il denaro inglese sembra aver preferito la piazza di Genova, dove le
prime ditte inglesi si insediano già verso il 1640. Gli stranieri non sono penetrati
attraverso le grandi strade della banca e del credito: gli inglesi ed olandesi hanno
attaccato il sistema italiano alla base, mediante i loro trasportatori, i loro mercanti, o
i loro prodotti industriali, le loro merci indispensabili (stagno di Cornovaglia, piombo,
cuoi di Russia, fino ai barili di aringhe).
Il sistema economico delle città italiane è venuto a poco a poco disorganizzandosi,
disarticolandosi. Uneconomia forma un tutto, dalle sue attività primarie, al
livello più basso del mercato: tutto è legato. Perciò se in un settore si verifica una
debolezza o unaccelerazione, limpulso positivo o negativo si ripercuote
sullinsieme. In Spagna il declino dellagricoltura, dove borghesi e nobili non
investono più, apre il mercato nazionale al grano straniero, quello del baltico. In
Italia avviene il contrario: il denaro dei patriziati mercantili, a Venezia come a Firenze
e ancora più naturalmente a Napoli rifluisce verso gli investimenti fondiari: ne derivano
tensioni sociali, da cui il mondo contadino si trova riportato ad un ordine soffocante;
tuttavia cè anche un aumento di produttività e di produzione. Invece la marina
finisce col disorganizzarsi: lItalia comincia a perdere i guadagni assicurati dai
noli marittimi e in un modo o nellaltro deve pagare i trasportatori stranieri.
Daltra parte la tattica di costoro è piuttosto semplice: essi cercano di includere
nei loro circuiti o Genova, o Livorno, o Napoli e di ripartirne col denaro contante, dopo
aver venduto barili di aringhe salate, rame, piombo, stagno. Imbarcatisi col denaro, la
buona operazione commerciale consiste nellandare a caricare in Levante uve passe,
barili di vino di Malvasia, o meglio ancora, raggiungere la Siria o lEgitto e far
ritorno con seta, spezie, droghe, cotone.
Questo commercio è destinato senza dubbio a restringersi, ma resterà, ancora dopo il
1620, un commercio di forti guadagni. Bisogna infatti contare sul costante aumento dei
prezzi via via che i carichi si avvicinano alloccidente. Naturalmente i prodotti
manifatturieri svolgono, in senso inverso, la loro funzione: i panni inglesi sono nel
Mediterraneo ancora prima del secolo XVI, e non solo si vendono largamente in Italia, ma
vengono riesportati verso i Balcani e lAsia, dopo avere raggiunto in quantità il
Mediterraneo, sia per via di terra, a partire dai Paesi Bassi o da Amburgo, lungo le
strade ben organizzate della Germania o anche della Francia, sia per le più facili rotte
marine.
Nel Mediterraneo i traffici nordici hanno dunque preso il posto di quelli italiani.
LItalia mercantile, infatti, ha preso con una mano per rivendere con laltra.
Questo è il motivo del precoce associarsi delle sue città più attive (Genova, Milano,
Venezia, Firenze) con la Germania, i cui prodotti manifatturieri hanno bisogno di uno
sbocco sul Mediterraneo. Venezia pratica con Ravensburg, Ulma, Ratisbona, Augusta la
tipica associazione fra mercante e artigiano. Solo in tempi successivi lindustria
anima anche le città italiane, conoscendo però fasi alterne di interruzioni e di
riflussi nel suo sviluppo. Così si verificano a Venezia eclissi dellArte della Seta
e dellArte della Lana, mentre questa conobbe, fra il 1580 e il 1610, una ripresa
tardiva, seguita da una caduta verticale. Una caratteristica propria dellindustria
è di essere vagabonda, sviluppandosi qua, poi là, poi più lontano. Verso il 1650
lindustria della seta abbandona quasi di colpo il Mezzogiorno italiano per il nord
della penisola: ma in generale nel secolo XVII, prima o poi, tutte le altre industrie
italiane cadranno in un profondo letargo: lascesa dei prezzi, il rialzo dei salari
operano in questo senso. Gli artigiani non possono più vivere nelle città; le Arti, che
mantengono alti i salari, rendono lartigiano incapace di competere con
lestero; il ripiego artigianale verso le campagne non vi provoca una fioritura
industriale paragonabile a ciò che avviene in Francia e in Inghilterra, e i telai si
fermano. Ci fu, una dietro laltra, una lunga catastrofica crisi dei trasporti, una
lunga, catastrofica crisi delle industrie.