I Promessi Sposi
Capitolo XXX
Quantunque il concorso maggiore non fosse dalla parte per cui i nostri tre
fuggitivi s'avvicinavano alla valle, ma all'imboccatura opposta, con tutto ciò,
cominciarono a trovar compagni di viaggio e di sventura, che da traverse e
viottole erano sboccati o sboccavano nella strada. In circostanze simili, tutti
quelli che s'incontrano, è come se si conoscessero. Ogni volta che il baroccio
aveva raggiunto qualche pedone, si barattavan domande e risposte. Chi era
scappato, come i nostri, senza aspettar l'arrivo de' soldati; chi aveva sentiti
i tamburi o le trombe; chi gli aveva visti coloro, e li dipingeva come gli
spaventati soglion dipingere.
"Siamo ancora fortunati," dicevan le due donne: "ringraziamo il cielo. Vada la
roba; ma almeno siamo in salvo."
Ma don Abbondio non trovava che ci fosse tanto da rallegrarsi; anzi quel
concorso, e piú ancora il maggiore che sentiva esserci dall'altra parte,
cominciava a dargli ombra. "Oh che storia!" borbottava alle donne, in un momento
che non c'era nessuno d'intorno: "oh che storia ! Non capite, che radunarsi
tanta gente in un luogo è lo stesso che volerci tirare i soldati per forza?
Tutti nascondono, tutti portan via; nelle case non resta nulla; crederanno che
lassú ci siano tesori. Ci vengono sicuro: sicuro ci vengono. Oh povero me! dove
mi sono imbarcato!"
"Oh! voglion far altro che venir lassú," diceva Perpetua: "anche loro devono
andar per la loro strada. E poi, io ho sempre sentito dire che, ne' pericoli, è
meglio essere in molti."
"In molti? in molti?" replicava don Abbondio: "povera donna! Non sapete che ogni
lanzichenecco ne mangia cento di costoro? E poi, se volessero far delle pazzie,
sarebbe un bel gusto, eh? di trovarsi in una battaglia. Oh povero me! Era meno
male andar su per i monti. Che abbian tutti a voler cacciarsi in un luogo!...
Seccatori!" borbottava poi, a voce piú bassa: " utti qui: e via, e via, e via;
l'uno dietro l'altro, come pecore senza ragione."
"A questo modo," disse Agnese, "anche loro potrebbero dir lo stesso di noi."
"Chetatevi un po'," disse don Abbondio: "ché già le chiacchiere non servono a
nulla. Quel ch'è fatto è fatto: ci siamo, bisogna starci. Sarà quel che vorrà la
Provvidenza: il cielo ce la mandi buona."
Ma fu ben peggio quando, all'entrata della valle, vide un buon posto d'armati,
parte sull'uscio d'una casa, e parte nelle stanze terrene: pareva una caserma.
Li guardò con la coda dell'occhio: non eran quelle facce che gli era toccato a
vedere nell'altra dolorosa sua gita, o se ce n'era di quelle, erano ben
cambiate; ma con tutto ciò, non si può dire che noia gli desse quella vista. "Oh
povero me!" pensava: "ecco se le fanno le pazzie. Già non poteva essere
altrimenti: me lo sarei dovuto aspettare da un uomo di quella qualità. Ma cosa
vuol fare? vuol far la guerra? vuol fare il re, lui? Oh povero me! In
circostanze che si vorrebbe potersi nasconder sotto terra, e costui cerca ogni
maniera di farsi scorgere, di dar nell'occhio; par che li voglia invitare! "
"Vede ora, signor padrone," gli disse Perpetua, "se c'è della brava gente qui,
che ci saprà difendere. Vengano ora i soldati: qui non sono come que' nostri
spauriti, che non son buoni che a menar le gambe."
"Zitta!" rispose, con voce bassa ma iraconda, don Abbondio: "zitta! che non
sapete quel che vi dite. Pregate il cielo che abbian fretta i soldati, o che non
vengano a sapere le cose che si fanno qui, e che si mette all'ordine questo
luogo come una fortezza. Non sapete che i soldati è il loro mestiere di prender
le fortezze? Non cercan altro; per loro, dare un assalto è come andare a nozze;
perché tutto quel che trovano è per loro, e passano la gente a fil di spada. Oh
povero me! Basta, vedrò se ci sarà maniera di mettersi in salvo su per queste
balze. In una battaglia non mi ci colgono oh! in una battaglia non mi ci
colgono."
"Se ha poi paura anche d'esser difeso e aiutato..." ricominciava Perpetua; ma
don Abbondio l'interruppe aspramente, sempre però a voce bassa: "zitta! E badate
bene di non riportare questi discorsi. Ricordatevi che qui bisogna far sempre
viso ridente, e approvare tutto quello che si vede."
Alla Malanotte, trovarono un altro picchetto d'armati, ai quali don Abbondio
fece una scappellata, dicendo intanto tra sé: "ohimè, ohimè: son proprio venuto
in un accampamento!" Qui il baroccio si fermò; ne scesero; don Abbondio pagò in
fretta, e licenziò il condottiere; e s'incamminò con le due compagne per la
salita, senza far parola. La vista di que' luoghi gli andava risvegliando nella
fantasia, e mescolando all'angosce presenti, la rimembranza di quelle che vi
aveva sofferte l'altra volta. E Agnese, la quale non gli aveva mai visti que'
luoghi, e se n'era fatta in mente una pittura fantastica che le si rappresentava
ogni volta che pensava al viaggio spaventoso di Lucia, vedendoli ora quali eran
davvero, provava come un nuovo e piú vivo sentimento di quelle crudeli memorie.
"Oh signor curato!" esclamò: "a pensare che la mia povera Lucia è passata per
questa strada!"
"Volete stare zitta? donna senza giudizio!" le gridò in un orecchio don
Abbondio: "son discorsi codesti da farsi qui? Non sapete che siamo in casa sua?
Fortuna che ora nessun vi sente; ma se parlate in questa maniera.."
"Oh! " disse Agnese: "ora che è santo...!"
"State zitta," le replicò don Abbondio: "credete voi che ai santi si possa dire,
senza riguardo, tutto ciò che passa per la mente? Pensate piuttosto a
ringraziarlo del bene che v'ha fatto."
"Oh! per questo, ci avevo già pensato: che crede che non le sappia un pochino le
creanze?"
"La creanza è di non dir le cose che posson dispiacere, specialmente a chi non è
avvezzo a sentirne. E intendetela bene tutt'e due, che qui non è luogo da far
pettegolezzi, e da dir tutto quello che vi può venire in testa. E casa d'un gran
signore, già lo sapete: vedete che compagnia c'è d'intorno: ci vien gente di
tutte le sorte; sicché, giudizio, se potete: pesar le parole, e soprattutto
dirne poche, e solo quando c'è necessità: ché a stare zitti non si sbaglia mai."
"Fa peggio lei con tutte codeste sue..." riprendeva Perpetua.
Ma: "zitta!" gridò sottovoce don Abbondio, e insieme si levò il cappello in
fretta, e fece un profondo inchino: ché, guardando in su, aveva visto
l'innominato scender verso di loro. Anche questo aveva visto e riconosciuto don
Abbondio; e affrettava il passo per andargli incontro.
"Signor curato," disse, quando gli fu vicino, "avrei voluto offrirle la mia casa
in miglior occasione; ma, a ogni modo, son ben contento di poterle esser utile
in qualche cosa."
"Confidato nella gran bontà di vossignoria illustrissima," rispose don Abbondio,
"mi son preso l'ardire di venire, in queste triste circostanze, a incomodarla:
e, come vede vossignoria illustrissima, mi son preso anche la libertà di menar
compagnia. Questa è la mia governante..."
"Benvenuta," disse l'innominato.
"E questa," continuò don Abbondio, "è una donna a cui vossignoria ha già fatto
del bene: la madre di quella... di quella..."
"Di Lucia," disse Agnese.
"Di Lucia!" esclamò l'innominato, voltandosi, con la testa bassa, ad Agnese.
"Del bene, io! Dio immortale! Voi, mi fate del bene, a venir qui... da me... in
questa casa. Siate la benvenuta. Voi ci portate la benedizione."
"Oh giusto!" disse Agnese: "vengo a incomodarla. Anzi," continuò,
avvicinandosegli all'orecchio, "ho anche a ringraziarla..."
L'innominato troncò quelle parole, domandando premurosamente le nuove di Lucia;
e sapute che l'ebbe, si voltò per accompagnare al castello i nuovi ospiti, come
fece, malgrado la loro resistenza cerimoniosa. Agnese diede al curato
un'occhiata che voleva dire: veda un poco se c'è bisogno che lei entri di mezzo
tra noi due a dar pareri.
"Sono arrivati alla sua parrocchia?" gli domandò l'innominato.
"No, signore, che non gli ho voluti aspettare que' diavoli," rispose don
Abbondio. "Sa il cielo se avrei potuto uscir vivo dalle loro mani, e venire a
incomodare vossignoria illustrissima."
"Bene, si faccia coraggio," riprese l'innominato: "ché ora è in sicuro. Quassú
non verranno; e se si volessero provare, siam pronti a riceverli."
"Speriamo che non vengano," disse don Abbondio. "E sento," soggiunse, accennando
col dito i monti che chiudevano la valle di rimpetto, "sento che, anche da
quella parte, giri un'altra masnada di gente, ma... ma..."
"E vero," rispose l'innominato: "ma non dubiti, che siam pronti anche per loro."
"Tra due fuochi," diceva tra sé don Abbondio: "proprio tra due fuochi. Dove mi
son lasciato tirare! e da due pettegole! E costui par proprio che ci sguazzi
dentro! Oh che gente c'è a questo mondo! "
Entrati nel castello, il signore fece condurre Agnese e Perpetua in una stanza
del quartiere assegnato alle donne, che occupava tre lati del secondo cortile,
nella parte posteriore dell'edifizio situata sur un masso sporgente e isolato, a
cavaliere a un precipizio. Gli uomini alloggiavano ne' lati dell'altro cortile a
destra e a sinistra, e in quello che rispondeva sulla spianata. Il corpo di
mezzo, che separava i due cortili, e dava passaggio dall'uno all'altro, per un
vasto andito di rimpetto alla porta principale, era in parte occupato dalle
provvisioni, e in parte doveva servir di deposito per la roba che i rifugiati
volessero mettere in salvo lassú. Nel quartiere degli uomini, c'erano alcune
camere destinate agli ecclesiastici che potessero capitare. L'innominato
v'accompagnò in persona don Abbondio, che fu il primo a prenderne il possesso.
Ventitre o ventiquattro giorni stettero i nostri fuggitivi nel castello, in
mezzo a un movimento continuo, in una gran compagnia, e che ne' primi tempi,
andò sempre crescendo; ma senza che accadesse nulla di straordinario. Non passò
forse giorno, che non si desse all'armi. Vengon lanzichenecchi di qua; si son
veduti cappelletti di là. A ogni avviso, l'innominato mandava uomini a
esplorare; e, se faceva bisogno, prendeva con sé della gente che teneva sempre
pronta a ciò, e andava con essa fuor della valle, dalla parte dov'era indicato
il pericolo. Ed era cosa singolare, vedere una schiera d'uomini armati da capo a
piedi, e schierati come una truppa, condotti da un uomo senz'armi. Le piú volte
non erano che foraggieri e saccheggiatori sbandati, che se n'andavano prima
d'esser sorpresi. Ma una volta, cacciando alcuni di costoro, per insegnar loro a
non venir piú da quelle parti, l'innominato ricevette avviso che un paesetto
vicino era invaso e messo a sacco. Erano lanzichenecchi di vari corpi che,
rimasti indietro per rubare, s'eran riuniti, e andavano a gettarsi
all'improvviso sulle terre vicine a quelle dove alloggiava l'esercito;
spogliavano gli abitanti, e gliene facevan di tutte le sorte. L'innominato fece
un breve discorso a' suoi uomini, e li condusse al paesetto.
Arrivarono inaspettati. I ribaldi che avevan creduto di non andar che alla
preda, vedendosi venire addosso gente schierata e pronta a combattere,
lasciarono il saccheggio a mezzo, e se n'andarono in fretta, senz'aspettarsi
l'uno con l'altro, dalla parte dond'eran venuti. L'innominato gl'inseguì per un
pezzo di strada; poi, fatto far alto, stette qualche tempo aspettando, se
vedesse qualche novità; e finalmente se ne ritornò. E ripassando nel paesetto
salvato, non si potrebbe dire con quali applausi e benedizioni fosse
accompagnato il drappello liberatore e il condottiero.
Nel castello, tra quella moltitudine, formata a caso, di persone, varie di
condizione, di costumi, di sesso e d'età, non nacque mai alcun disordine
d'importanza. L'innominato aveva messe guardie in diversi luoghi, le quali tutte
invigilavano che non seguisse nessun inconveniente, con quella premura che
ognuno metteva nelle cose di cui s'avesse a rendergli conto.
Aveva poi pregati gli ecclesiastici, e gli uomini piú autorevoli che si trovavan
tra i ricoverati, d'andare in giro e d'invigilare anche loro. E piú spesso che
poteva, girava anche lui, e si faceva veder per tutto; ma, anche in sua assenza,
il ricordarsi di chi s'era in casa, serviva di freno a chi ne potesse aver
bisogno. E, del resto, era tutta gente scappata, e quindi inclinata in generale
alla quiete: i pensieri della casa e della roba, per alcuni anche di congiunti o
d'amici rimasti nel pericolo, le nuove che venivan di fuori, abbattendo gli
animi, mantenevano e accrescevano sempre piú quella disposizione.
C'era però anche de' capi scarichi, degli uomini d'una tempra piú salda e d'un
coraggio piú verde, che cercavano di passar que' giorni in allegria. Avevano
abbandonate le loro case, per non esser forti abbastanza da difenderle; ma non
trovavan gusto a piangere e a sospirare sur una cosa che non c'era rimedio, né a
figurarsi e a contemplar con la fantasia il guasto che vedrebbero pur troppo co'
loro occhi. Famiglie amiche erano andate di conserva, o s'eran ritrovate lassú,
s'eran fatte amicizie nuove; e la folla s'era divisa in crocchi, secondo gli
umori e l'abitudini. Chi aveva danari e discrezione, andava a desinare giú nella
valle, dove in quella circostanza, s'eran rizzate in fretta osterie: in alcune,
i bocconi erano alternati co' sospiri, e non era lecito parlar d'altro che di
sciagure: in altre, non si rammentavan le sciagure, se non per dire che non
bisognava pensarci. A chi non poteva o non voleva farsi le spese, si distribuiva
nel castello pane, minestra e vino: oltre alcune tavole ch'eran servite ogni
giorno, per quelli che il padrone vi aveva espressamente invitati; e i nostri
eran di questo numero.
Agnese e Perpetua, per non mangiare il pane a ufo, avevan voluto essere
impiegate ne' servizi che richiedeva una così grande ospitalità; e in questo
spendevano una buona parte della giornata; il resto nel chiacchierare con certe
amiche che s'eran fatte, o col povero don Abbondio. Questo non aveva nulla da
fare, ma non s'annoiava però; la paura gli teneva compagnia. La paura proprio
d'un assalto, credo che la gli fosse passata, o se pur gliene rimaneva, era
quella che gli dava meno fastidio; perché, pensandoci appena appena, doveva
capire quanto poco fosse fondata. Ma l'immagine del paese circonvicino inondato,
da una parte e dall'altra, da soldatacci, le armi e gli armati che vedeva sempre
in giro, un castello, quel castello, il pensiero di tante cose che potevan
nascere ogni momento in tali circostanze, tutto gli teneva addosso uno spavento
indistinto, generale, continuo; lasciando stare il rodìo che gli dava il pensare
alla sua povera casa. In tutto il tempo che stette in quell'asilo, non se ne
discostò mai quanto un tiro di schioppo, né mai mise piede sulla discesa:
l'unica sua passeggiata era d'uscire sulla spianata, e d'andare, quando da una
parte e quando dall'altra del castello, a guardar giú per le balze e per i
burroni, per istudiare se ci fosse qualche passo un po' praticabile, qualche po'
di sentiero, per dove andar cercando un nascondiglio in caso d'un serra serra. A
tutti i suoi compagni di rifugio faceva gran riverenze o gran saluti, ma
bazzicava con pochissimi: la sua conversazione piú frequente era con le due
donne, come abbiam detto; con loro andava a fare i suoi sfoghi, a rischio che
talvolta gli fosse dato sulla voce da Perpetua, e che lo svergognasse anche
Agnese. A tavola poi, dove stava poco e parlava pochissimo, sentiva le nuove del
terribile passaggio, le quali arrivavano ogni giorno, o di paese in paese e di
bocca in bocca, o portate lassú da qualcheduno, che da principio aveva voluto
restarsene a casa, e scappava in ultimo, senza aver potuto salvar nulla, e a un
bisogno anche malconcio: e ogni giorno c'era qualche nuova storia di sciagura.
Alcuni, novellisti di professione, raccoglievan diligentemente tutte le voci,
abburattavan tutte le relazioni, e ne davan poi il fiore agli altri. Si
disputava quali fossero i reggimenti piú indiavolati, se fosse peggio la
fanteria o la cavalleria; si ripetevano, il meglio che si poteva, certi nomi di
condottieri; d'alcuni si raccontavan l'imprese passate, si specificavano le
stazioni e le marce: quel giorno, il tale reggimento si spandeva ne' tali paesi,
domani anderebbe addosso ai tali altri, dove intanto il tal altro faceva il
diavolo e peggio. Sopra tutto si cercava d'aver informazione, e si teneva il
conto de' reggimenti che passavan di mano in mano il ponte di Lecco, perché
quelli si potevano considerar come andati, e fuori veramente del paese. Passano
i cavalli di Wallenstein, passano i fanti di Merode, passano i cavalli di Anhalt,
passano i fanti di Brandeburgo, e poi i cavalli di Montecuccoli, e poi quelli di
Ferrari; passa Altringer, passa Furstenberg, passa Colloredo; passano i Croati,
passa Torquato Conti, passano altri e altri; quando piacque al cielo, passò
anche Galasso, che fu l'ultimo. Lo squadron volante de' veneziani finì
d'allontanarsi anche lui; e tutto il paese, a destra e a sinistra, si trovò
libero. Già quelli delle terre invase e sgombrate le prime, eran partiti dal
castello; e ogni giorno ne partiva: come, dopo un temporale d'autunno, si vede
dai palchi fronzuti d'un grand'albero uscire da ogni parte gli uccelli che ci
s'erano riparati. Credo che i nostri tre fossero gli ultimi ad andarsene; e ciò
per volere di don Abbondio, il quale temeva, se si tornasse subito a casa, di
trovare ancora in giro lanzichenecchi rimasti indietro sbrancati, in coda
all'esercito. Perpetua ebbe un bel dire che, quanto piú s'indugiava, tanto piú
si dava agio ai birboni del paese d'entrare in casa a portar via il resto;
quando si trattava d'assicurar la pelle, era sempre don Abbondio che la vinceva;
meno che l'imminenza del pericolo non gli avesse fatto perdere affatto la testa.
Il giorno fissato per la partenza, l'innominato fece trovar pronta alla
Malanotte una carrozza, nella quale aveva già fatto mettere un corredo di
biancheria per Agnese. E tiratala in disparte, le fece anche accettare un
gruppetto di scudi, per riparare al guasto che troverebbe in casa; quantunque,
battendo la mano sul petto, essa andasse ripetendo che ne aveva lì ancora de'
vecchi.
"Quando vedrete quella vostra buona, povera Lucia..." le disse in ultimo: "già
son certo che prega per me, poiché le ho fatto tanto male: ditele adunque ch'io
la ringrazio, e confido in Dio, che la sua preghiera tornerà anche in tanta
benedizione per lei."
Volle poi accompagnar tutti e tre gli ospiti, fino alla carrozza. I
ringraziamenti umili e sviscerati di don Abbondio e i complimenti di Perpetua,
se gl'immagini il lettore. Partirono; fecero, secondo il fissato, una fermatina,
ma senza neppur mettersi a sedere, nella casa del sarto, dove sentirono
raccontar cento cose del passaggio: la solita storia di ruberie, di percosse, di
sperpero, di sporchizie: ma lì, per buona sorte, non s'eran visti
lanzichenecchi.
"Ah signor curato!" disse il sarto, dandogli di braccio a rimontare in carrozza:
"s'ha da far de' libri in istampa, sopra un fracasso di questa sorte."
Dopo un'altra po' di strada, cominciarono i nostri viaggiatori a veder co' loro
occhi qualche cosa di quello che avevan tanto sentito descrivere: vigne
spogliate, non come dalla vendemmia, ma come dalla grandine e dalla bufera che
fossero venute in compagnia: tralci a terra, sfrondati e scompigliati; strappati
i pali, calpestato il terreno, e sparso di schegge, di foglie, di sterpi;
schiantati, scapezzati gli alberi; sforacchiate le siepi; i cancelli portati
via. Ne' paesi poi, usci sfondati, impannate lacere, paglia, cenci, rottami
d'ogni sorte, a mucchi o seminati per le strade; un'aria pesante, zaffate di
puzzo piú forte che uscivan dalle case; la gente, chi a buttar fuori porcherie,
chi a raccomodar le imposte alla meglio, chi in crocchio a lamentarsi insieme;
e, al passar della carrozza, mani di qua e di là tese agli sportelli, per
chieder l'elemosina.
Con queste immagini, ora davanti agli occhi, ora nella mente, e con
l'aspettativa di trovare altrettanto a casa loro, ci arrivarono; e trovarono
infatti quello che s'aspettavano.
Agnese fece posare i fagotti in un canto del cortiletto, ch'era rimasto il luogo
piú pulito della casa; si mise poi a spazzarla, a raccogliere e a rigovernare
quella poca roba che le avevan lasciata; fece venire un legnaiolo e un fabbro,
per riparare i guasti piú grossi, e guardando poi, capo per capo, la biancheria
regalata, e contando que' nuovi ruspi, diceva tra sé: "son caduta in piedi; sia
ringraziato Iddio e la Madonna e quel buon signore: posso proprio dire d'esser
caduta in piedi."
Don Abbondio e Perpetua entrano in casa, senza aiuto di chiavi; ogni passo che
fanno nell'andito, senton crescere un tanfo, un veleno, una peste, che li
respinge indietro; con la mano al naso, vanno all'uscio di cucina; entrano in
punta di piedi, studiando dove metterli, per iscansar piú che possono la
porcheria che copre il pavimento; e dànno un'occhiata in giro. Non c'era nulla
d'intero; ma avanzi e frammenti di quel che c'era stato, lì e altrove, se ne
vedeva in ogni canto: piume e penne delle galline di Perpetua, pezzi di
biancheria, fogli de' calendari di don Abbondio, cocci di pentole e di piatti;
tutto insieme o sparpagliato. Solo nel focolare si potevan vedere i segni d'un
vasto saccheggio accozzati insieme, come molte idee sottintese, in un periodo
steso da un uomo di garbo. C'era, dico, un rimasuglio di tizzi e tizzoni spenti,
i quali mostravano d'essere stati, un bracciolo di seggiola, un piede di tavola,
uno sportello d'armadio, una panca di letto, una doga della botticina, dove ci
stava il vino che rimetteva lo stomaco a don Abbondio. Il resto era cenere e
carboni; e con que' carboni stessi, i guastatori, per ristoro, avevano
scarabocchiati i muri di figuracce, ingegnandosi, con certe berrettine o con
certe cheriche, e con certe larghe facciole, di farne de' preti, e mettendo
studio a farli orribili e ridicoli: intento che, per verità, non poteva andar
fallito a tali artisti.
"Ah porci!" esclamò Perpetua. "Ah baroni!" esclamò don Abbondio; e, come
scappando, andaron fuori, per un altr'uscio che metteva nell'orto. Respirarono;
andaron diviato al fico; ma già prima d'arrivarci, videro la terra smossa, e
misero un grido tutt'e due insieme; arrivati, trovarono effettivamente, in vece
del morto, la buca aperta. Qui nacquero de' guai: don Abbondio cominciò a
prendersela con Perpetua, che non avesse nascosto bene: pensate se questa rimase
zitta: dopo ch'ebbero ben gridato, tutt'e due col braccio teso, e con l'indice
appuntato verso la buca, se ne tornarono insieme, brontolando. E fate conto che
per tutto trovarono a un di presso la medesima cosa. Penarono non so quanto, a
far ripulire e smorbare la casa, tanto piú che, in que' giorni, era difficile
trovar aiuto; e non so quanto dovettero stare come accampati, accomodandosi alla
meglio, o alla peggio, e rifacendo a poco a poco usci, mobili, utensili, con
danari prestati da Agnese.
Per giunta poi, quel disastro fu una semenza d'altre questioni molto noiose;
perché Perpetua, a forza di chiedere e domandare, di spiare e fiutare, venne a
saper di certo che alcune masserizie del suo padrone, credute preda o strazio
de' soldati, erano in vece sane e salve in casa di gente del paese; e tempestava
il padrone che si facesse sentire, e richiedesse il suo. Tasto piú odioso non si
poteva toccare per don Abbondio; giacché la sua roba era in mano di birboni,
cioè di quella specie di persone con cui gli premeva piú di stare in pace.
"Ma se non ne voglio saper nulla di queste cose," diceva. "Quante volte ve lo
devo ripetere, che quel che è andato è andato? Ho da esser messo anche in croce,
perché m'è stata spogliata la casa?"
"Se lo dico," rispondeva Perpetua, "che lei si lascerebbe cavar gli occhi di
testa. Rubare agli altri è peccato, ma a lei, è peccato non rubare."
"Ma vedete se codesti sono spropositi da dirsi!" replicava don Abbondio: "ma
volete stare zitta?"
Perpetua si chetava, ma non subito subito; e prendeva pretesto da tutto per
riprincipiare. Tanto che il pover'uomo s'era ridotto a non lamentarsi piú,
quando trovava mancante qualche cosa, nel momento che ne avrebbe avuto bisogno;
perché, piú d'una volta, gli era toccato a sentirsi dire: "vada a chiederlo al
tale che l'ha, e non l'avrebbe tenuto fino a quest'ora, se non avesse che fare
con un buon uomo."
Un'altra e piú viva inquietudine gli dava il sentire che giornalmente
continuavano a passar soldati alla spicciolata, come aveva troppo bene
congetturato; onde stava sempre in sospetto di vedersene capitar qualcheduno o
anche una compagnia sull'uscio, che aveva fatto raccomodare in fretta per la
prima cosa, e che teneva chiuso con gran cura; ma, per grazia del cielo, ciò non
avvenne mai. Né però questi terrori erano ancora cessati, che un nuovo ne
sopraggiunse.
Ma qui lasceremo da parte il pover'uomo: si tratta ben d'altro che di sue
apprensioni private, che de' guai d'alcuni paesi, che d'un disastro passeggiero.
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