I Promessi Sposi
Capitolo XXIX
Qui, tra i poveri spaventati troviamo persone di nostra conoscenza.
Chi non ha visto don Abbondio, il giorno che si sparsero tutte in una volta le
notizie della calata dell'esercito, del suo avvicinarsi, e de' suoi portamenti,
non sa bene cosa sia impiccio e spavento. Vengono; son trenta, son quaranta, son
cinquanta mila; son diavoli, sono ariani, sono anticristi; hanno saccheggiato
Cortenuova; han dato fuoco a Primaluna: devastano Introbbio, Pasturo, Barsio;
sono arrivati a Balabbio; domani son qui: tali eran le voci che passavan di
bocca in bocca; e insieme un correre, un fermarsi a vicenda, un consultare
tumultuoso, un'esitazione tra il fuggire e il restare, un radunarsi di donne, un
metter le mani ne' capelli. Don Abbondio, risoluto di fuggire, risoluto prima di
tutti e più di tutti, vedeva però, in ogni strada da prendere, in ogni luogo da
ricoverarsi, ostacoli insuperabili, e pericoli spaventosi. - Come fare? -
esclamava: - dove andare? - I monti, lasciando da parte la difficoltà del
cammino, non eran sicuri: già s'era saputo che i lanzichenecchi vi
s'arrampicavano come gatti, dove appena avessero indizio o speranza di far
preda. Il lago era grosso; tirava un gran vento: oltre di questo, la più parte
de' barcaioli, temendo d'esser forzati a tragittar soldati o bagagli, s'eran
rifugiati, con le loro barche, all'altra riva: alcune poche rimaste, eran poi
partite stracariche di gente; e, travagliate dal peso e dalla burrasca, si
diceva che pericolassero ogni momento. Per portarsi lontano e fuori della strada
che l'esercito aveva a percorrere, non era possibile trovar né un calesse, né un
cavallo, né alcun altro mezzo: a piedi, don Abbondio non avrebbe potuto far
troppo cammino, e temeva d'esser raggiunto per istrada. Il territorio bergamasco
non era tanto distante, che le sue gambe non ce lo potessero portare in una
tirata; ma si sapeva ch'era stato spedito in fretta da Bergamo uno squadrone di
cappelletti, il qual doveva costeggiare il confine, per tenere in suggezione i
lanzichenecchi; e quelli eran diavoli in carne, né più né meno di questi, e
facevan dalla parte loro il peggio che potevano. Il pover'uomo correva,
stralunato e mezzo fuor di sé, per la casa; andava dietro a Perpetua, per
concertare una risoluzione con lei; ma Perpetua, affaccendata a raccogliere il
meglio di casa, e a nasconderlo in soffitta, o per i bugigattoli, passava di
corsa, affannata, preoccupata, con le mani e con le braccia piene, e rispondeva:
- or ora finisco di metter questa roba al sicuro, e poi faremo anche noi come
fanno gli altri -. Don Abbondio voleva trattenerla, e discuter con lei i vari
partiti; ma lei, tra il da fare, e la fretta, e lo spavento che aveva anch'essa
in corpo, e la rabbia che le faceva quello del padrone, era, in tal congiuntura,
meno trattabile di quel che fosse stata mai. - S'ingegnano gli altri;
c'ingegneremo anche noi. Mi scusi, ma non è capace che d'impedire. Crede lei che
anche gli altri non abbiano una pelle da salvare? Che vengono per far la guerra
a lei i soldati? Potrebbe anche dare una mano, in questi momenti, in vece di
venir tra' piedi a piangere e a impicciare -. Con queste e simili risposte si
sbrigava da lui, avendo già stabilito, finita che fosse alla meglio quella
tumultuaria operazione, di prenderlo per un braccio, come un ragazzo, e di
strascinarlo su per una montagna. Lasciato così solo, s'affacciava alla
finestra, guardava, tendeva gli orecchi; e vedendo passar qualcheduno, gridava
con una voce mezza di pianto e mezza di rimprovero: - fate questa carità al
vostro povero curato di cercargli qualche cavallo, qualche mulo, qualche asino.
Possibile che nessuno mi voglia aiutare! Oh che gente! Aspettatemi almeno, che
possa venire anch'io con voi; aspettate d'esser quindici o venti, da condurmi
via insieme, ch'io non sia abbandonato. Volete lasciarmi in man de' cani? Non
sapete che sono luterani la più parte, che ammazzare un sacerdote l'hanno per
opera meritoria? Volete lasciarmi qui a ricevere il martirio? Oh che gente! Oh
che gente!
Ma a chi diceva queste cose? Ad uomini che passavano curvi sotto il peso della
loro povera roba, pensando a quella che lasciavano in casa, spingendo le loro
vaccherelle, conducendosi dietro i figli, carichi anch'essi quanto potevano, e
le donne con in collo quelli che non potevan camminare. Alcuni tiravan di lungo,
senza rispondere né guardare in su; qualcheduno diceva: - eh messere! faccia
anche lei come può; fortunato lei che non ha da pensare alla famiglia; s'aiuti,
s'ingegni.
- Oh povero me! - esclamava don Abbondio: - oh che gente! che cuori! Non c'è
carità: ognun pensa a sé; e a me nessuno vuol pensare -. E tornava in cerca di
Perpetua.
- Oh appunto! - gli disse questa: - e i danari?
- Come faremo?
- Li dia a me, che anderò a sotterrarli qui nell'orto di casa, insieme con le
posate.
- Ma...
- Ma, ma; dia qui; tenga qualche soldo, per quel che può occorrere; e poi lasci
fare a me.
Don Abbondio ubbidì, andò allo scrigno, cavò il suo tesoretto, e lo consegnò a
Perpetua; la quale disse: - vo a sotterrarli nell'orto, appiè del fico -; e
andò. Ricomparve poco dopo, con un paniere dove c'era della munizione da bocca,
e con una piccola gerla vota; e si mise in fretta a collocarvi nel fondo un po'
di biancheria sua e del padrone, dicendo intanto: - il breviario almeno lo
porterà lei.
- Ma dove andiamo?
- Dove vanno tutti gli altri? Prima di tutto, anderemo in istrada; e là
sentiremo, e vedremo cosa convenga di fare.
In quel momento entrò Agnese con una gerletta sulle spalle, e in aria di chi
viene a fare una proposta importante.
Agnese, risoluta anche lei di non aspettare ospiti di quella sorte, sola in
casa, com'era, e con ancora un po' di quell'oro dell'innominato, era stata
qualche tempo in forse del luogo dove ritirarsi. Il residuo appunto di quegli
scudi, che ne' mesi della fame le avevan fatto tanto pro, era la cagion
principale della sua angustia e della irresoluzione, per aver essa sentito che,
ne' paesi già invasi, quelli che avevan danari, s'eran trovati a più terribil
condizione, esposti insieme alla violenza degli stranieri, e all'insidie de'
paesani. Era vero che, del bene piovutole, come si dice, dal cielo, non aveva
fatta la confidenza a nessuno, fuorché a don Abbondio; dal quale andava, volta
per volta, a farsi spicciolare uno scudo, lasciandogli sempre qualcosa da dare a
qualcheduno più povero di lei. Ma i danari nascosti, specialmente chi non è
avvezzo a maneggiarne molti, tengono il possessore in un sospetto continuo del
sospetto altrui. Ora, mentre andava anch'essa rimpiattando qua e là alla meglio
ciò che non poteva portar con sé, e pensava agli scudi, che teneva cuciti nel
busto, si rammentò che, insieme con essi, l'innominato, le aveva mandate le più
larghe offerte di servizi; si rammentò le cose che aveva sentito raccontare di
quel suo castello posto in luogo così sicuro, e dove, a dispetto del padrone,
non potevano arrivar se non gli uccelli; e si risolvette d'andare a chiedere un
asilo lassù. Pensò come potrebbe farsi conoscere da quel signore, e le venne
subito in mente don Abbondio; il quale, dopo quel colloquio così fatto con
l'arcivescovo, le aveva sempre fatto festa, e tanto più di cuore, che lo poteva
senza compromettersi con nessuno, e che, essendo lontani i due giovani, era
anche lontano il caso che a lui venisse fatta una richiesta, la quale avrebbe
messa quella benevolenza a un gran cimento. Suppose che, in un tal parapiglia,
il pover'uomo doveva esser ancor più impicciato e più sbigottito di lei, e che
il partito potrebbe parer molto buono anche a lui; e glielo veniva a proporre.
Trovatolo con Perpetua, fece la proposta a tutt'e due.
- Che ne dite, Perpetua? - domandò don Abbondio.
- Dico che è un'ispirazione del cielo, e che non bisogna perder tempo, e
mettersi la strada tra le gambe.
- E poi...
- E poi, e poi, quando saremo là, ci troveremo ben contenti. Quel signore, ora
si sa che non vorrebbe altro che far servizi al prossimo; e sarà ben contento
anche lui di ricoverarci. Là, sul confine, e così per aria, soldati non ne verrà
certamente. E poi e poi, ci troveremo anche da mangiare; ché, su per i monti,
finita questa poca grazia di Dio, - e così dicendo, l'accomodava nella gerla,
sopra la biancheria, - ci saremmo trovati a mal partito.
- Convertito, è convertito davvero, eh?
- Che c'è da dubitarne ancora, dopo tutto quello che si sa, dopo quello che
anche lei ha veduto?
- E se andassimo a metterci in gabbia?
- Che gabbia? Con tutti codesti suoi casi, mi scusi, non si verrebbe mai a una
conclusione. Brava Agnese! v'è proprio venuto un buon pensiero -. E messa la
gerla sur un tavolino, passò le braccia nelle cigne, e la prese sulle spalle.
- Non si potrebbe, - disse don Abbondio, - trovar qualche uomo che venisse con
noi, per far la scorta al suo curato? Se incontrassimo qualche birbone, che pur
troppo ce n'è in giro parecchi, che aiuto m'avete a dar voi altre?
- Un'altra, per perder tempo! - esclamò Perpetua. - Andarlo a cercar ora l'uomo,
che ognuno ha da pensare a' fatti suoi. Animo! vada a prendere il breviario e il
cappello; e andiamo.
Don Abbondio andò, tornò, di lì a un momento, col breviario sotto il braccio,
col cappello in capo, e col suo bordone in mano; e uscirono tutt'e tre per un
usciolino che metteva sulla piazzetta. Perpetua richiuse, più per non trascurare
una formalità, che per fede che avesse in quella toppa e in que' battenti, e
mise la chiave in tasca. Don Abbondio diede, nel passare, un'occhiata alla
chiesa, e disse tra i denti: - al popolo tocca a custodirla, che serve a lui. Se
hanno un po' di cuore per la loro chiesa, ci penseranno; se poi non hanno cuore,
tal sia di loro.
Presero per i campi, zitti zitti, pensando ognuno a' casi suoi, e guardandosi
intorno, specialmente don Abbondio, se apparisse qualche figura sospetta,
qualcosa di straordinario. Non s'incontrava nessuno: la gente era, o nelle case
a guardarle, a far fagotto, a nascondere, o per le strade che conducevan
direttamente all'alture.
Dopo aver sospirato e risospirato, e poi lasciato scappar qualche interiezione,
don Abbondio cominciò a brontolare più di seguito. Se la prendeva col duca di
Nevers, che avrebbe potuto stare in Francia a godersela, a fare il principe, e
voleva esser duca di Mantova a dispetto del mondo; con l'imperatore, che avrebbe
dovuto aver giudizio per gli altri, lasciar correr l'acqua all'ingiù, non istar
su tutti i puntigli: ché finalmente, lui sarebbe sempre stato l'imperatore,
fosse duca di Mantova Tizio o Sempronio. L'aveva principalmente col governatore,
a cui sarebbe toccato a far di tutto, per tener lontani i flagelli dal paese, ed
era lui che ce gli attirava: tutto per il gusto di far la guerra. -
Bisognerebbe, - diceva, - che fossero qui que' signori a vedere, a provare, che
gusto è. Hanno da rendere un bel conto! Ma intanto, ne va di mezzo chi non ci ha
colpa.
- Lasci un po' star codesta gente; che già non son quelli che ci verranno a
aiutare, - diceva Perpetua. - Codeste, mi scusi, sono di quelle sue solite
chiacchiere che non concludon nulla. Piuttosto, quel che mi dà noia...
- Cosa c'è?
Perpetua, la quale, in quel pezzo di strada, aveva pensato con comodo al
nascondimento fatto in furia, cominciò a lamentarsi d'aver dimenticata la tal
cosa, d'aver mal riposta la tal altra; qui, d'aver lasciata una traccia che
poteva guidare i ladroni, là...
- Brava! - disse don Abbondio, ormai sicuro della vita, quanto bastava per poter
angustiarsi della roba: - brava! così avete fatto? Dove avevate la testa?
- Come! - esclamò Perpetua, fermandosi un momento su due piedi, e mettendo i
pugni su' fianchi, in quella maniera che la gerla glielo permetteva: - come!
verrà ora a farmi codesti rimproveri, quand'era lei che me la faceva andar via,
la testa, in vece d'aiutarmi e farmi coraggio! Ho pensato forse più alla roba di
casa che alla mia; non ho avuto chi mi desse una mano; ho dovuto far da Marta e
Maddalena; se qualcosa anderà a male, non so cosa mi dire: ho fatto anche più
del mio dovere.
Agnese interrompeva questi contrasti, entrando anche lei a parlare de' suoi
guai: e non si rammaricava tanto dell'incomodo e del danno, quanto di vedere
svanita la speranza di riabbracciar presto la sua Lucia; ché, se vi rammentate,
era appunto quell'autunno sul quale avevan fatto assegnamento: né era da
supporre che donna Prassede volesse venire a villeggiare da quelle parti, in
tali circostanze: piuttosto ne sarebbe partita, se ci si fosse trovata, come
facevan tutti gli altri villeggianti.
La vista de' luoghi rendeva ancor più vivi que' pensieri d'Agnese, e più
pungente il suo dispiacere. Usciti da' sentieri, avevan presa la strada
pubblica, quella medesima per cui la povera donna era venuta riconducendo, per
così poco tempo, a casa la figlia, dopo aver soggiornato con lei, in casa del
sarto. E già si vedeva il paese.
- Anderemo bene a salutar quella brava gente, - disse Agnese.
- E anche a riposare un pochino: ché di questa gerla io comincio ad averne
abbastanza; e poi per mangiare un boccone, - disse Perpetua.
- Con patto di non perder tempo; ché non siamo in viaggio per divertimento, -
concluse don Abbondio.
Furono ricevuti a braccia aperte, e veduti con gran piacere: rammentavano una
buona azione. Fate del bene a quanti più potete, dice qui il nostro autore; e vi
seguirà tanto più spesso d'incontrar de' visi che vi mettano allegria.
Agnese, nell'abbracciar la buona donna, diede in un dirotto pianto, che le fu
d'un gran sollievo; e rispondeva con singhiozzi alle domande che quella e il
marito le facevan di Lucia.
- Sta meglio di noi, - disse don Abbondio: - è a Milano, fuor de' pericoli,
lontana da queste diavolerie.
- Scappano, eh? il signor curato e la compagnia, - disse il sarto.
- Sicuro, - risposero a una voce il padrone e la serva.
- Li compatisco.
- Siamo incamminati, - disse don Abbondio; - al castello di ***.
- L'hanno pensata bene: sicuri come in chiesa.
- E qui, non hanno paura? - disse don Abbondio.
- Dirò, signor curato: propriamente in ospitazione, come lei sa che si dice, a
parlar bene, qui non dovrebbero venire coloro: siam troppo fuori della loro
strada, grazie al cielo. Al più al più, qualche scappata, che Dio non voglia: ma
in ogni caso c'è tempo; s'hanno a sentir prima altre notizie da' poveri paesi
dove anderanno a fermarsi.
Si concluse di star lì un poco a prender fiato; e, siccome era l'ora del
desinare, - signori, - disse il sarto: - devono onorare la mia povera tavola:
alla buona: ci sarà un piatto di buon viso.
Perpetua disse d'aver con sé qualcosa da rompere il digiuno. Dopo un po' di
cerimonie da una parte e dall'altra, si venne a patti d'accozzar, come si dice,
il pentolino, e di desinare in compagnia.
I ragazzi s'eran messi con gran festa intorno ad Agnese loro amica vecchia.
Presto, presto; il sarto ordinò a una bambina (quella che aveva portato quel
boccone a Maria vedova: chi sa se ve ne rammentate più!), che andasse a
diricciar quattro castagne primaticce, ch'eran riposte in un cantuccio: e le
mettesse a arrostire.
- E tu, - disse a un ragazzo, - va' nell'orto, a dare una scossa al pesco, da
farne cader quattro, e portale qui: tutte, ve'. E tu, - disse a un altro, - va'
sul fico, a coglierne quattro de' più maturi. Già lo conoscete anche troppo quel
mestiere -. Lui andò a spillare una sua botticina; la donna a prendere un po' di
biancheria da tavola. Perpetua cavò fuori le provvisioni; s'apparecchiò: un
tovagliolo e un piatto di maiolica al posto d'onore, per don Abbondio, con una
posata che Perpetua aveva nella gerla. Si misero a tavola, e desinarono, se non
con grand'allegria, almeno con molta più che nessuno de' commensali si fosse
aspettato d'averne in quella giornata.
- Cosa ne dice, signor curato, d'uno scombussolamento di questa sorte? - disse
il sarto: - mi par di leggere la storia de' mori in Francia.
- Cosa devo dire? Mi doveva cascare addosso anche questa!
- Però, hanno scelto un buon ricovero, - riprese quello: - chi diavolo ha a
andar lassù per forza? E troveranno compagnia: ché già s'è sentito che ci sia
rifugiata molta gente, e che ce n'arrivi tuttora.
- Voglio sperare, - disse don Abbondio, - che saremo ben accolti. Lo conosco
quel bravo signore; e quando ho avuto un'altra volta l'onore di trovarmi con
lui, fu così compito!
- E a me, - disse Agnese, - m'ha fatto dire dal signor monsignor illustrissimo,
che, quando avessi bisogno di qualcosa, bastava che andassi da lui.
- Gran bella conversione! - riprese don Abbondio: - e si mantiene, n'è vero? si
mantiene.
Il sarto si mise a parlare alla distesa della santa vita dell'innominato, e
come, dall'essere il flagello de' contorni, n'era divenuto l'esempio e il
benefattore.
- E quella gente che teneva con sé?... tutta quella servitù?... - riprese don
Abbondio, il quale n'aveva più d'una volta sentito dir qualcosa, ma non era mai
quieto abbastanza.
- Sfrattati la più parte, - rispose il sarto: - e quelli che son rimasti, han
mutato sistema, ma come! In somma è diventato quel castello una Tebaide: lei le
sa queste cose.
Entrò poi a parlar con Agnese della visita del cardinale. - Grand'uomo! -
diceva; - grand'uomo! Peccato che sia passato di qui così in furia, che non ho
né anche potuto fargli un po' d'onore. Quanto sarei contento di potergli parlare
un'altra volta, un po' più con comodo.
Alzati poi da tavola, le fece osservare una stampa rappresentante il cardinale,
che teneva attaccata a un battente d'uscio, in venerazione del personaggio, e
anche per poter dire a chiunque capitasse, che non era somigliante; giacché lui
aveva potuto esaminar da vicino e con comodo il cardinale in persona, in quella
medesima stanza.
- L'hanno voluto far lui, con questa cosa qui? - disse Agnese. - Nel vestito gli
somiglia; ma...
- N'è vero che non somiglia? - disse il sarto: - lo dico sempre anch'io: noi,
non c'ingannano, eh? ma, se non altro, c'è sotto il suo nome: è una memoria.
Don Abbondio faceva fretta; il sarto s'impegnò di trovare un baroccio che li
conducesse appiè della salita; n'andò subito in cerca, e poco dopo, tornò a dire
che arrivava. Si voltò poi a don Abbondio, e gli disse: - signor curato, se mai
desiderasse di portar lassù qualche libro, per passare il tempo, da pover'uomo
posso servirla: ché anch'io mi diverto un po' a leggere. Cose non da par suo,
libri in volgare; ma però...
- Grazie, grazie, - rispose don Abbondio: - son circostanze, che si ha appena
testa d'occuparsi di quel che è di precetto.
Mentre si fanno e si ricusano ringraziamenti, e si barattano saluti e buoni
augùri, inviti e promesse d'un'altra fermata al ritorno, il baroccio è arrivato
davanti all'uscio di strada. Ci metton le gerle, salgon su, e principiano, con
un po' più d'agio e di tranquillità d'animo, la seconda metà del viaggio.
Il sarto aveva detto la verità a don Abbondio, intorno all'innominato. Questo,
dal giorno che l'abbiam lasciato, aveva sempre continuato a far ciò che allora
s'era proposto, compensar danni, chieder pace, soccorrer poveri, sempre del bene
in somma, secondo l'occasione. Quel coraggio che altre volte aveva mostrato
nell'offendere e nel difendersi, ora lo mostrava nel non fare né l'una cosa né
l'altra. Andava sempre solo e senz'armi, disposto a tutto quello che gli potesse
accadere dopo tante violenze commesse, e persuaso che sarebbe commetterne una
nuova l'usar la forza in difesa di chi era debitore di tanto e a tanti; persuaso
che ogni male che gli venisse fatto, sarebbe un'ingiuria riguardo a Dio, ma
riguardo a lui una giusta retribuzione; e che dell'ingiuria, lui meno d'ogni
altro, aveva diritto di farsi punitore. Con tutto ciò, era rimasto non meno
inviolato di quando teneva armate, per la sua sicurezza, tante braccia e il suo.
La rimembranza dell'antica ferocia, e la vista della mansuetudine presente, una,
che doveva aver lasciati tanti desidèri di vendetta, l'altra, che la rendeva
tanto agevole, cospiravano in vece a procacciargli e a mantenergli
un'ammirazione, che gli serviva principalmente di salvaguardia. Era quell'uomo
che nessuno aveva potuto umiliare, e che s'era umiliato da sé. I rancori,
irritati altre volte dal suo disprezzo e dalla paura degli altri, si dileguavano
ora davanti a quella nuova umiltà: gli offesi avevano ottenuta, contro ogni
aspettativa, e senza pericolo, una soddisfazione che non avrebbero potuta
promettersi dalla più fortunata vendetta, la soddisfazione di vedere un tal uomo
pentito de' suoi torti, e partecipe, per dir così, della loro indegnazione.
Molti, il cui dispiacere più amaro e più intenso era stato per molt'anni, di non
veder probabilità di trovarsi in nessun caso più forti di colui, per ricattarsi
di qualche gran torto; incontrandolo poi solo, disarmato, e in atto di chi non
farebbe resistenza, non s'eran sentiti altro impulso che di fargli dimostrazioni
d'onore. In quell'abbassamento volontario, la sua presenza e il suo contegno
avevano acquistato, senza che lui lo sapesse, un non so che di più alto e di più
nobile; perché ci si vedeva, ancor meglio di prima, la noncuranza d'ogni
pericolo. Gli odi, anche i più rozzi e rabbiosi, si sentivano come legati e
tenuti in rispetto dalla venerazione pubblica per l'uomo penitente e benefico.
Questa era tale, che spesso quell'uomo si trovava impicciato a schermirsi dalle
dimostrazioni che gliene venivan fatte, e doveva star attento a non lasciar
troppo trasparire nel volto e negli atti il sentimento interno di compunzione, a
non abbassarsi troppo, per non esser troppo esaltato. S'era scelto nella chiesa
l'ultimo luogo; e non c'era pericolo che nessuno glielo prendesse: sarebbe stato
come usurpare un posto d'onore. Offender poi quell'uomo, o anche trattarlo con
poco riguardo, poteva parere non tanto un'insolenza e una viltà, quanto un
sacrilegio: e quelli stessi a cui questo sentimento degli altri poteva servir di
ritegno, ne partecipavano anche loro, più o meno.
Queste medesime ed altre cagioni, allontanavano pure da lui le vendette della
forza pubblica, e gli procuravano, anche da questa parte, la sicurezza della
quale non si dava pensiero. Il grado e le parentele, che in ogni tempo gli erano
state di qualche difesa, tanto più valevano per lui, ora che a quel nome già
illustre e infame, andava aggiunta la lode d'una condotta esemplare, la gloria
della conversione. I magistrati e i grandi s'eran rallegrati di questa,
pubblicamente come il popolo; e sarebbe parso strano l'infierire contro chi era
stato soggetto di tante congratulazioni. Oltre di ciò, un potere occupato in una
guerra perpetua, e spesso infelice, contro ribellioni vive e rinascenti, poteva
trovarsi abbastanza contento d'esser liberato dalla più indomabile e molesta,
per non andare a cercar altro: tanto più, che quella conversione produceva
riparazioni che non era avvezzo ad ottenere, e nemmeno a richiedere. Tormentare
un santo, non pareva un buon mezzo di cancellar la vergogna di non aver saputo
fare stare a dovere un facinoroso: e l'esempio che si fosse dato col punirlo,
non avrebbe potuto aver altro effetto, che di stornare i suoi simili dal
divenire inoffensivi. Probabilmente anche la parte che il cardinal Federigo
aveva avuta nella conversione, e il suo nome associato a quello del convertito,
servivano a questo come d'uno scudo sacro. E in quello stato di cose e d'idee,
in quelle singolari relazioni dell'autorità spirituale e del poter civile, ch'eran
così spesso alle prese tra loro, senza mirar mai a distruggersi, anzi mischiando
sempre alle ostilità atti di riconoscimento e proteste di deferenza, e che,
spesso pure, andavan di conserva a un fine comune, senza far mai pace, poté
parere, in certa maniera, che la riconciliazione della prima portasse con sé l'oblivione,
se non l'assoluzione del secondo, quando quella s'era sola adoprata a produrre
un effetto voluto da tutt'e due.
Così quell'uomo sul quale, se fosse caduto, sarebbero corsi a gara grandi e
piccoli a calpestarlo; messosi volontariamente a terra, veniva risparmiato da
tutti, e inchinato da molti.
È vero ch'eran anche molti a cui quella strepitosa mutazione dovette far tutt'altro
che piacere: tanti esecutori stipendiati di delitti, tanti compagni nel delitto,
che perdevano una così gran forza sulla quale erano avvezzi a fare assegnamento,
che anche si trovavano a un tratto rotti i fili di trame ordite da un pezzo, nel
momento forse che aspettavano la nuova dell'esecuzione. Ma già abbiam veduto
quali diversi sentimenti quella conversione facesse nascere negli sgherri che si
trovavano allora con lui, e che la sentirono annunziare dalla sua bocca:
stupore, dolore, abbattimento, stizza; un po' di tutto, fuorché disprezzo né
odio. Lo stesso accadde agli altri che teneva sparsi in diversi posti, lo stesso
a' complici di più alto affare, quando riseppero la terribile nuova, e a tutti
per le cagioni medesime. Molt'odio, come trovo nel luogo, altrove citato, del
Ripamonti, ne venne piuttosto al cardinal Federigo. Riguardavan questo come uno
che s'era mischiato ne' loro affari, per guastarli; l'innominato aveva voluto
salvar l'anima sua: nessuno aveva ragion di lagnarsene.
Di mano in mano poi, la più parte degli sgherri di casa, non potendo accomodarsi
alla nuova disciplina, né vedendo probabilità che s'avesse a mutare, se n'erano
andati. Chi avrà cercato altro padrone, e fors'anche tra gli antichi amici di
quello che lasciava; chi si sarà arrolato in qualche terzo, come allora
dicevano, di Spagna o di Mantova, o di qualche altra parte belligerante; chi si
sarà messo alla strada, per far la guerra a minuto, e per conto suo; chi si sarà
anche contentato d'andar birboneggiando in libertà. E il simile avranno fatto
quegli altri che stavano prima a' suoi ordini, in diversi paesi. Di quelli poi
che s'eran potuti avvezzare al nuovo tenor di vita, o che lo avevano abbracciato
volentieri, i più, nativi della valle, eran tornati ai campi, o ai mestieri
imparati nella prima età, e poi abbandonati; i forestieri eran rimasti nel
castello, come servitori: gli uni e gli altri, quasi ribenedetti nello stesso
tempo che il loro padrone, se la passavano, al par di lui, senza fare né ricever
torti, inermi e rispettati.
Ma quando, al calar delle bande alemanne, alcuni fuggiaschi di paesi invasi o
minacciati capitarono su al castello a chieder ricovero, l'innominato, tutto
contento che quelle sue mura fossero cercate come asilo da' deboli, che per
tanto tempo le avevan guardate da lontano come un enorme spauracchio, accolse
quegli sbandati, con espressioni piuttosto di riconoscenza che di cortesia; fece
sparger la voce, che la sua casa sarebbe aperta a chiunque ci si volesse
rifugiare, e pensò subito a mettere, non solo questa, ma anche la valle, in
istato di difesa, se mai lanzichenecchi o cappelletti volessero provarsi di
venirci a far delle loro. Radunò i servitori che gli eran rimasti, pochi e
valenti, come i versi di Torti; fece loro una parlata sulla buona occasione che
Dio dava loro e a lui, d'impiegarsi una volta in aiuto del prossimo, che avevan
tanto oppresso e spaventato; e, con quel tono naturale di comando, ch'esprimeva
la certezza dell'ubbidienza, annunziò loro in generale ciò che intendeva che
facessero, e soprattutto prescrisse come dovessero contenersi, perché la gente
che veniva a ricoverarsi lassù, non vedesse in loro che amici e difensori. Fece
poi portar giù da una stanza a tetto l'armi da fuoco, da taglio, in asta, che da
un pezzo stavan lì ammucchiate, e gliele distribuì; fece dire a' suoi contadini
e affittuari della valle, che chiunque si sentiva, venisse con armi al castello;
a chi non n'aveva, ne diede; scelse alcuni, che fossero come ufiziali, e
avessero altri sotto il loro comando; assegnò i posti all'entrature e in altri
luoghi della valle, sulla salita, alle porte del castello; stabilì l'ore e i
modi di dar la muta, come in un campo, o come già s'era costumato in quel
castello medesimo, ne' tempi della sua vita disperata.
In un canto di quella stanza a tetto, c'erano in disparte l'armi che lui solo
aveva portate; quella sua famosa carabina, moschetti, spade, spadoni, pistole,
coltellacci, pugnali, per terra, o appoggiati al muro. Nessuno de' servitori le
toccò; ma concertarono di domandare al padrone quali voleva che gli fossero
portate. - Nessuna, - rispose; e, fosse voto, fosse proposito, restò sempre
disarmato, alla testa di quella specie di guarnigione.
Nello stesso tempo, aveva messo in moto altr'uomini e donne di servizio, o suoi
dipendenti, a preparar nel castello alloggio a quante più persone fosse
possibile, a rizzar letti, a disporre sacconi e strapunti nelle stanze, nelle
sale, che diventavan dormitòri. E aveva dato ordine di far venire provvisioni
abbondanti, per ispesare gli ospiti che Dio gli manderebbe, e i quali infatti
andavan crescendo di giorno in giorno. Lui intanto non istava mai fermo; dentro
e fuori del castello, su e giù per la salita, in giro per la valle, a stabilire,
a rinforzare, a visitar posti, a vedere, a farsi vedere, a mettere e a tenere in
regola, con le parole, con gli occhi, con la presenza. In casa, per la strada,
faceva accoglienza a quelli che arrivavano; e tutti, o lo avessero già visto, o
lo vedessero per la prima volta, lo guardavano estatici, dimenticando un momento
i guai e i timori che gli avevano spinti lassù; e si voltavano ancora a
guardarlo, quando, staccatosi da loro, seguitava la sua strada.
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