Una grossa virata
nell'arte manzoniana
Digressioni e similitudini
I personaggi finora incontrati in una nuova luce
A) Una grossa virata nell'arte
manzoniana
La nostra tesi critica, in generale, proposta per la lettura del romanzo finora
affrontata, è che nei primi dieci capitoli sia possibile isolare la genesi etica
ed ideologica da cui esso prende le mosse.
Tale tesi trae una vistosa conferma proprio dal capitolo XI°. Infatti la tensione e
l'impegno, che ci hanno indotto tante volte a sottolineare la statura somma del Manzoni moralista,
formato alla grande scuola dei moralisti francesi, e che ritornano sempre in nuove
condanne dei mali del mondo, non sono gli unici modi dell'arte manzoniana. L'arte
manzoniana infatti non è solo romanticamente vòlta a propugnare un rinnovamento, etico,
politico, sociale e religioso. Ci metteremmo sicuramente su di una falsa, debole linea
critica, se volessimo vedere in un artista come il Manzoni solo impegno macerato, tensione
spasmodica nel sostenere i propri ideali. Al contrario, il Manzoni non è affatto estraneo
a quell'altro filone dell'anima romantica, quello del distacco dalla passione
riformatrice, quello che spinge ad assimilare al polo positivo anche gli aspetti negativi
dell'esistenza (il nulla, la morte), nella lotta per la conquista di una totalità,
dell'infinito. Nel Manzoni, per esempio, l'ironia è sicuramente un modo
per ottenere questo. Anche il Berchet ce ne dà un esempio, quando dopo aver scritto una
lettera che è un vero manifesto programmatico di rinnovamento aritstico (la famosa Lettera semiseria di
Grisostomo al suo figliolo), egli conclude con l'affermazione di aver
scherzato, e che l'arte deve continuare ad essere quella che è sempre stata. Questa
necessità di prendere ironicamente le distanze da quanto si è entusiasticamente
affermato, quasi autodistruggendo la propria fede nei valori su cui pure si è disposti a
sacrificare la propria vita, ha d'altronde ragione d'essere anche se si guarda alla natura
della formazione cristiana del Manzoni. Il suo cristianesimo, infatti, è ben lungi
dall'ottimismo nelle capacità creative dell'uomo, tipico del cristianesimo umanistico
italiano fiorentino e veneto d'età rinascimentale, ma è invece impregnato del pessimismo
e della disillusione dei grandi moralisti francesi e del giansenismo. Il Manzoni non ha
quasi mai fede nell'uomo, lo guarda spesso con scetticismo, e non tarda mai molto nel
metterne in evidenza la stoltezza, tutto teso com'è a mostrare il segreto impenetrabile
dell'attuarsi di un disegno provvidenziale nel mondo, a dispetto di tutti i machiavellismi
dei sedicenti furbi.
Ecco perché fra il Manzoni e l'impegno dobbiamo vedere un rapporto antinomico,
contraddittorio: il Manzoni crede, per esempio, nella lotta per la patria, ma non esce mai
allo scoperto facendosi promotore di una parte politica. Da un lato crede negli ideali di
giustizia e di libertà, dall'altro è portato dalla sua natura e dalle sue esperienze a
ritenere cieca l'assolutezza d'un ideale, fonte di sicuri errori e disillusioni.
Potremmo allora chiederci, se tutto questo è vero, perché il Manzoni a questo punto non
abbia scritto una serie di capitoli di natura profondamente differente, rivolti a mostrare
quanto la sua condanna del '600 lombardo fosse stata esagerata, o parziale. La risposta è
che il Manzoni ama, data la sua ispirazione, prendere distacco, mediare, sfumare nel
sorriso, grazie alla sua innata bontà ed arguzia: un'ispirazione che lo porta a credere,
per esempio, che se la vita è missione, non perciò bisogna evitare il sorriso e lo
scherzo, ed essere sempre arcigni ed armati di ferro. Se da un lato ci colpisce
l'intensità altissima dell'analisi morale e del mondo e dei personaggi, dobbiamo
senz'altro imparare a cogliere l'arte del Manzoni anche in quei momenti fatti di
intelligenza suprema, che sfocia nel sorriso, nell'attenuazione, nell'umanità di chi
tutto comprende, e fors'anche giustifica, senza mai arbitrariamente assolvere.
B) Digressioni e similitudini
Ecco perché in questo capitolo XI°, per la prima volta il Manzoni non si
nasconde col consueto rigore dietro l'imparzialità impenetrabile dell'anonimo, ma al
contrario entra in scena personalmente ed autobiograficamente, parlando addirittura di un
suo amico (il Grossi), e ricorrendo a similitudini di tradizione illustre oppure create
direttamente da lui. Questa nuova diretta amabilità va dunque vista alla luce di quanto
affermato nel punto precedente, cioè come la riprova della virata di
modo nell'arte. Abbiamo in particolare cinque momenti che devono essere
ben presenti in questo senso:
C) I personaggi finora incontrati in
una nuova luce
La nuova e diversa disposizione dello spirito del narratore, che abbiamo prima
analizzato nei cinque luoghi indicati, si ritrova anche nella diversa luce e prospettiva
con cui appaiono i personaggi da noi incontrati nei capitoli precedenti. Preferiamo dare
qui un elenco, con alcuni links ipertestuali, per stimolare direttamente sul testo la
verifica ed il confronto di quanto sostenuto:
Concludendo, abbiamo qui un atteggiamento di libertà creativa maggiore, meno vincolato ai rigori del realismo, e alla forte tensione etica su cui si era formato il romanzo fino ad ora. Una svolta importante nella narrativa del romanzo, che rende sicuramente questo capitolo un asse portante nella struttura dell'opera, e non certo un semplice capitolo di trapasso, come vorrebbe certa critica sbrigativa.