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In questa pagina intendiamo offrire un breve contributo sulla figura di Giovanni Berchet, il letterato cui fu intitolato il nostro Liceo. Questa esigenza nasce dal fatto che spesso la sua figura viene trascurata nei normali programmi di letteratura italiana in terza liceo, perché indubbiamente il ruolo ricoperto dal Berchet non è assimilabile ai massimi autori dell''800 su cui si concentra l'attenzione.
Eppure il Berchet potrebbe essere considerato come il massimo teorico del nostro Romanticismo lombardo, e dunque merita di essere conosciuto almeno per l'importanza di alcuni suoi scritti.
L'ingresso della casa natale di Giovanni Berchet in via Cino del Duca 2 a Milano
(Il particolare della targa sulla sinistra è proposto nella foto a destra)
¢ 26 dicembre [1783]
Giambatt[ista]a Vittorio f[igli].o del S[igno].r Federico Berchet e della Sig[nor].a Catt[erin]a Silvestri Jugali nato li 23.cor[rente].ore 13. fu battez[zat].o in p.[arroc]ch[i].a da me ins[crit]to. Comp[are]. fu il S[igno].r Giambatt[ist]a Capelli f[igli]o del Sig[no].r Ermes di S[ant].a M[ari].a Beltrade.
¢ Girolamo Rota Curato.
Per la trascrizione dell'atto di battesimo del 1783 cliccare qui
Giovanni Berchet nacque a Milano nel 1783 da una famiglia di origine savoiarda, e la lapide qui sopra riprodotta ricorda ancor oggi la sua casa natale. Si affacciò sulla scena letteraria cittadina nel 1816, quando la sua attività di traduttore lo portò, traducendo due ballate del letterato tedesco Godfried August Bürger (1747-1794: uno degli iniziatori del movimento romantico tedesco, influenzato da Herder e sostenitore d'una poesia espressiva dell'anima nazionale popolare tedesca), la Lenore e il Cacciatore feroce, a comporre uno scritto teorico e programmatico, in cui egli venne esprimendo le sue convinzioni sulla letteratura, e che intitolò Sul Cacciatore feroce e sulla Eleonora di G. A. Bürger lettera semiseria di Grisostomo al suo figliolo. Tale scritto ebbe una vasta risonanza negli ambienti letterari milanesi del tempo, ed infatti il Berchet non solo entrò a farvi parte, ma divenne uno degli animatori della rivista il Conciliatore, fondata attorno all'abate Lodovico di Breme da un importante gruppo di letterati, fra cui, oltre al Berchet, vanno ricordati anche Ermes Visconti, Tommaso Grossi, Silvio Pellico, e che erano tutti in contatto molto stretto col Manzoni, nel cui salotto si ritrovavano spesso per discutere le loro idee ("il super-romantico crocchio di via del Morone", come proprio il Visconti ebbe modo di chiamarlo).
La repressione austriaca dei moti liberali del '21 costrinse tuttavia il Berchet all'esilio per sottrarsi all'arresto. In un primo tempo egli riparò a Parigi, dove strinse amicizia con gli Arconati, e in seguito a Londra. A Parigi nel 1823 egli pubblicò il poemetto I profughi di Parga, ed in seguito, quando riparò in Belgio, sempre protetto dalla nobile famiglia degli Arconati, nel 1829 uscì un altro poemetto, dal titolo Fantasie: entrambi possono essere considerati forse come le opere di poesia più intense del Berchet. Oltre ad essi, la produzione letteraria del Berchet comprende solo altri sette componimenti poetici di minor mole, fra cui ricordiamo Il romito del Cenisio, Il trovatore, Il rimorso, Matilde, Clarina, che troviamo tutti in questa rara edizione londinese, nell'immagine qui a fianco.
Rientrato in Italia nel 1845, partecipò all'insurrezione milanese della Cinque Giornate del marzo 1848. Fu per due volte deputato al Parlamento subalpino, ma non poté vedere la formazione del regno d'Italia, poiché si spense a Torino nel 1851.
LA PARTECIPAZIONE DEL BERCHET ALLA VITA LETTERARIA MILANESE
L'esperienza illuministica e rivoluzionaria del Caffè e delle repubbliche napoleoniche era stata repressa ed intristita dagli Austriaci che, nel contesto del ritorno allo status quo ante seguito alle sconfitte napoleoniche, avevano instaurato a Milano un clima pesantemente repressivo e poliziesco. Un gruppo di giovani intellettuali continua tuttavia e ritenere valide le esperienze così feconde dei decenni precedenti, animati dal credo nei principi liberali della rivoluzione borghese e dell'età illuministica, ormai saldamente radicati nel tessuto culturale cittadino. Su questo terreno già fertile, ha particolare efficacia l'impatto con il pensiero di M.me de Staël, la quale in un celebre articolo, Sulla maniera e utilità delle traduzioni, aveva esortato gl'intellettuali italiani ad un rinnovamento e all'apertura alle correnti e tendenze letterarie ormai prevalenti oltralpe e nel resto dell'Europa. Nasce così quel breve, ma fecondissimo momento di scambio e di confronto fra letterati di varie parti d'Italia, generalmente noto come "polemica classico-romantica", e reso particolarmente importante dal fatto che vi presero parte anche i massimi esponenti della letteratura italiana dell' '800, appunto il Manzoni ed il Leopardi, i quali, pur appartenendo nella sostanza ai due fondamentali aspetti della civiltà romantica, quello storico-realistico il Manzoni, e quello soggettivo-lirico il Leopardi, presero posizioni antitetiche, definendosi il primo romantico ed il secondo classico. Per il Leopardi, infatti, i primi passi verso il nuovo potente universo lirico dei suoi Idilli muovono proprio sulla riflessione intorno ai caratteri essenziali della poesia degli antichi, sentita come unica depositaria, al contrario di quella dei moderni, dell'immagine e della fantasia, requisiti primi di ogni autentica poesia. I difensori della de Staël, al contrario, vedevano la necessità di non lasciare le patrie lettere indietro rispetto ai tempi come l'esigenza prima del loro progetto riformatore della nazione; erano soprattutto avversi al concetto di imitazione, intendendo la tradizione come patrimonio non già da far rivivere in sede estetica, ma dal quale attingere per poter costruire, conformemente al cosmopolitismo settecentesco, una nazione che fosse capace di accordarsi con tutte le altre nel perseguire una comune meta di progresso.
IL SIGNIFICATO DELLA LETTERA SEMISERIA E DEI POEMETTI
In questo contesto di sostanziale accoglienza dell'invito della de Staël, e sentitosi particolarmente stimolato in un'opera traduttoria di diffusione del nuovo tipo di letteratura tedesca, si pone anche il Berchet della Lettera semiseria. Essa costituisce il manifesto teorico del nostro romanticismo, e compendia in modo efficace le idee dei romantici lombardi. La poesia tedesca - sostiene il Berchet - è più viva di quella italiana, perché capace di parlare all'anima del popolo, e non irrigidita in una sterile imitazione dei classici: se l'Italia non è nazione, ciò è anche causato dal fatto che la letteratura ha abdicato dalla sua funzione educativa, estraniandosi troppo dalla realtà viva del popolo e della storia. Né è possibile rinchiudersi in uno sterile concetto di Bellezza assoluta, perché quel concetto muta e diviene con le diverse età, ed ogni popolo elabora un proprio modello di bellezza che ne riflette ed esprime la vita. Tuttavia il Berchet, nella sua adesione a certe sollecitazioni provenienti d'Oltralpe, non recepì molti degli aspetti del primo romanticismo tedesco: cioè l'esaltazione della passione, del lato oscuro dell'esistenza, il sentimento dell'impotenza della ragione, l'esasperata sensibilità di fronte ai misteri, e primo fra tutti quello del rapporto fra l'uomo e la natura, lasciarono sostanzialmente indifferenti i nostri romantici, i quali invece recepirono soprattutto quei precetti poetici che volevano svecchiare la poesia, per renderla nuovamente uno strumento capace di incitare il popolo a una nuova coscienza, di spronarlo verso la libertà e l'indipendenza.
Va anche aggiunto che la maggiore importanza della riflessione berchettiana risiede nel definire una nuova funzione del letterato all'interno della società: accogliendo l'idea della letteratura "popolare" e "nazionale", contraria alla dipendenza dai modelli classici, il Berchet pone con forza il ruolo del poeta come di colui il quale possa essere autentico interprete e mediatore degli interessi generali del pubblico nazionale. Risulta immediatamente chiaro che parlando di letteratura "popolare", il Berchet ha in mente un pubblico ben definito, senza di cui peraltro tutta la sua produzione letteraria non sarebbe pensabile: si tratta del ceto medio, liberale e cattolica, che il Berchet distacca nettamente da altri tipi di lettori, da lui scherzosamente definiti degli "ottentoti" e dei "parigini". Anche se l'autore è lungi dal voler indicare specificamente con tali definizioni due precise e definite classi sociali, ma intende piuttosto condannare chi si accosta alla letteratura con un atteggiamento troppo aristocraticamente raffinato o estetizzante (i parigini), oppure rozzamente utilitaristico (gli ottentoti), risulta ben chiaro che gli uni e gli altri rappresentano gli estremi da evitare: le classi aristocratiche, che si irrigidiscono in una valutazione del gusto orientato a modelli giudicati prestigiosi (classicismo), e la "plebe affamata", che non sarà mai in grado di aprirsi alla luce spirituale della cultura. Ma il poeta comunque non è più parte d'un'élite olimpica, anzi, e qui sta la vera novità, deve "gradire alla moltitudine", mettere la sua arte al servizio della gente, e farsi così motore essenziale del progresso sociale e civile. Il componimento poetico deve quindi riuscire a proporre motivi accettabili alla mentalità comune, e non contrastare coi sentimenti, le norme etiche e gli atteggiamenti culturali tipici del ceto medio. Né dovrà la poesia escludere la religiosità, rifacendosi però a quella del Medio Evo, a quel cristianesimo cioè non ancora corrotto dagli eccessi panteistici e materialistici del Rinascimento o impoverito dalla reazione rigorista e repressiva controriformistica. Il compito dunque del poeta sta nel disvelare la comunità a se stessa, esprimendone le esigenze profonde. Ma queste necessità sono pur sempre da ricondurre nell'ambito della ortodossia cattolica.
Nei Poemetti il Berchet cerca di attualizzare il suo progetto di poesia. Accoglie l'idea manzoniana della rivalutazione dei metri parisillabi (ottonario, decasillabo), sviluppando un linguaggio che cerca di riprodurre le movenze e le cadenze del melodramma, e che presenta due componenti: una epico-narrativa, ed una lirico-effusiva. Nessun approfondimento psicologico o costruzione completa di personaggi sta a cuore al Berchet dei Profughi o delle Fantasie: i protagonisti si presentano privi di intimità, ma colti solo nel momento dell'azione, come sul palcoscenico davanti a un pubblico.