CAP. XXXI°

Un capitolo storico
Obbiezione al Manzoni moralista
Obbiezione al Manzoni antistorico
Obbiezione del Petronio e carattere illuministico del capitolo
Considerazioni del Sapegno e mutamento nel capitolo
 

A) Un capitolo storico
Come i capitoli I, XII, XXVII, XXVIII anche il capitolo XXXI è un capitolo storico. Questo però non presenta la descrizione del contagio ma del comportamento degli uomini egoisti di fronte a questo male e la descrizione della ricerca delle cause che hanno favorito il contagio. I governanti sono colpevoli di inefficienza, il popolino è incapace di ragionare.
Il Getto definisce l’analisi manzoniana come basata su “non corpi ma intelligenze e volontà”. Inoltre non si tratta solo di ottusità intellettuale ma anche di ottusità morale e le due non sono estranee l’una all’altra.

B) Obbiezione al Manzoni moralista

Una prima obbiezione a queste pagine, formulata da Benedetto Croce e sostenuta da altri critici, accusa il Manzoni di essere uno storico poco scientifico in quanto intriso di moralismo e di essere più individuatore di colpe che descrittore dei fatti storici. Il Caccia risponde affermando che l’accusa è debole poiché egli sostiene che il Manzoni dovesse necessariamente focalizzare il suo discorso sulle leggi morali che raggiungono la coscienza, dove non arrivano quelle civili, e senza le quali non può essere fondata alcuna società. Il Manzoni è grande proprio in quanto moralista che ha l’intendo di educare la nascente nazione italiana e quello di mostrare i problemi della società seicentesca lombarda, servendosi dell’arte come mezzo di insegnamento.

C) Obbiezione al Manzoni antistorico
Una seconda accusa ritiene il Manzoni antistorico, poiché egli pretendeva che si prendessero misure in virtù di nozioni mediche di cui a quel tempo ancora non si disponeva. Infatti il bacillo della peste fu scoperto solo all’inizio del 1800. In realtà il suo scopo non era condannare un evento storico, ma accusare l’incapacità di bene ragionare e un gretto egoismo personale dato dalla mancanza di coscienza che danno luogo a catastrofiche conseguenze; infatti il Manzoni suggerisce, a conclusione del capitolo, di valutare attentamente i fatti prima di parlare. Questo capitolo dal forte movente educativo raggiunge nelle pagine relative agli untori il suo punto più alto e significativo.
La responsabilità dell’errore deve essere cercata in ogni classe sociale: dai governanti (superficiali o disinteressati, come il Tribunale della Sanità), ai medici che non vogliono riconoscere la gravità della situazione, ai sudditi, ai dotti. Il Manzoni prova sdegno per questo delirio che coinvolge tutta la popolazione che inizialmente non vuole ammettere la diffusione della peste e poi ne attribuisce la causa a inesistenti capri espiatori: gli untori. Prova inoltre pietà per la sofferenza di vittime innocenti.

D) Obbiezione del Petronio e carattere illuministico del capitolo
Il Petronio sostiene che ci siano differenze di tono tra le pagine storiche in cui polemizza e condanna con un astratto intellettualismo illuminista-razionalistico e quelle artistiche dei capitoli seguenti in cui con pietà religiosa susciterà commozione col mostrare pene e dolori.
A questa obbiezione il Caccia ribatte che si tratta di un discorso di gusto; infatti oggi, a differenza del passato, possiamo trovare suggestive anche pagine cronachistiche o persino storiche che sono da considerarsi anch’esse ricche di elementi artistici, non certo come le più alte pagine liriche dell’autore, ma similmente coinvolgenti. Infatti questo capitolo di natura tipicamente illuministica, mostra gli atteggiamenti manzoniani da cui si genera questa analisi oltremodo limpida:

E) Considerazioni del Sapegno e mutamento nel capitolo
Il Sapegno riconosce nelle pagine di questo capitolo un discorso intriso di risentimento, sdegno, dolore, perplessità e di un’accusa dura o dominata da dolore profondo a seconda dei casi. Tuttavia la narrazione non è priva di ironia riguardo ai fatti né di coinvolgimento da parte dell’autore.
Il Caccia inoltre avverte un mutamento significativo nel capitolo XXXI, per quanto riguarda i personaggi, non più solo egoisti e dappoco, ma accanto ad essi troviamo uomini che affrontano la pestilenza con forza e dignità, frati cappuccini che in opposizione alle mancanze dello Stato reagiscono con coraggio e carità. Riescono a dirigere un lazzaretto, luogo di infelicità e morte. Il Manzoni ritrova nei cappuccini gli “uomini della sua città nuova”, giacché spiccano in un Seicento decadente per la loro eccezionalità d’animo.

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