Torna all'indice dei capitoliCAP. XXXIV°

 

La città appestata vista da Renzo

La Vita, la Morte e la Sorte degli uomini

 

 

A) La città appestata vista da Renzo

 

Il primo tema del capitolo è il passaggio di Renzo dalla campagna, alla città fino al Lazzaretto, questi 3 luoghi presentano la stessa caratteristica ma su gradazioni diverse: la campagna appare desolata ma ancora abitata, la città devastata e ormai quasi deserta ed il Lazzaretto visto solo da fuori lascia presagire una miseria ancora più grande; ancora una volta la città è per Renzo un luogo ostile e infernale. Oltre a quello di Renzo nella città troviamo anche il passaggio dei carri di cadaveri e dei malati: le varie scene del capitolo mostrano il dissolversi della vita umana nelle condizioni più diverse e i differenti modi di comportamento individuale. Il Manzoni che si identifica nel protagonista, si stupisce di ciò che vede e non ne capisce il senso; tutto appare da subito ambiguo e funesto, sembra che lo stesso paesaggio sia contagiato dalla peste; il silenzio in un grande centro urbano è quasi fuori luogo e da un senso di morte. Vi sono inoltre nel capitolo suoni e rumori che esasperano questa sensazione (la cantilena dei Monatti, le urla delle due donne contro Renzo e della folla che si è messa alla sua caccia); ma, oltre a questi suoni, ne troviamo altri del tutto diversi (le campane in lontananza, le brevi frasi della madre di Cecilia, il coro degli oranti) che rievocano la vittoria del bene sul male.

 

B) La Vita, la Morte e la Sorte degli uomini

 

Il Manzoni non ha una concezione del tutto pessimistica della sorte degli uomini: la rappresentazione della città infernale viene sospesa per lasciare spazio ad una (città) purgatoriale, dove la tristezza è mista a qualche conforto.

L'umanità appare in questo capitolo nelle forme più differenti, non solo nei gesti ma anche nell'aspetto: in alcuni la forza interiore ha conservato dignità esteriore e non appaiono in uno stato di degradazione fisica.

La madre di Cecilia ci viene mostrata come una figura esemplare come se giungesse da una sfera superiore e, già prima di parlare si avvolge di un senso di spirituale regalità, riuscendo ad essere capace di sottrarsi alla generale degradazione. L'immagine che più viene scolpita nelle memorie è quella dei corpi ormai senza vita ammucchiati nei carri, e proprio con questa immagine viene sottolineato il livello di un'umanità ormai scaduta, ma quest'ultima viene anche rimarcata da ulteriori similitudini sparse qua e là, come ad esempio "schifosi e mortiferi inciampi" disseminati per le strade  (che non sono solamente stracci e immondizie) o i sacchi di granaglie con cui vengono paragonati i cadaveri riposti sui carri. Tuttavia persino la morte non si fa portatore di una totale vittoria quando viene contrastata dall'innocenza delle vittime e dalla pietà dei sopravvissuti. L'atteggiamento del Manzoni di fronte al reale viene rilevato chiaramente nell'episodio di Cecilia: la bambina è tutta ben accomodata, co' capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l'avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio. Pur non disdegnando di fronte al male posto in ogni forma, l'autore de "I Promessi Sposi" non si lascia sopraffare dalla visione della morte come trionfatrice. Ugualmente anche Renzo pur passando da spettacoli raccapriccianti ad altri ancor più spaventosi, pur accentando in un momento di pericolo la protezione degli stessi monatti non si perde d'animo mantenendo senno e compassione e non perde di vista pur girovagando invano tra pericoli di ogni tipo la meta finale. Quando giunge al Lazzaretto è assai turbato dalle orribili scene viste in precedenza.

Il capitolo 34 si conferma fino in fondo come capitolo "aperto", attraverso l'immagine di Renzo che "s'affaccia a quella porta, entra sotto la volta e rimane un momento a mezzo del portico".

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