Torna all'indice dei capitoliCAP. XVII°

Il rapporto fra paesaggio e personaggio
La cosiddetta conversione di Renzo
Il cugino Bortolo

 

A) Il rapporto fra paesaggio e personaggio
In questo che è l'ultimo dei capitoli della renziade, Renzo raggiunge il punto massimo di maturazione interiore e psicologica. La sua sicura baldanza di allocutore della folla si è trasformata nel passo guardingo di chi fugge senza darlo a vedere. Ora egli è solo, di fronte a una realtà ostile, e nel suo petto si agitano i sentimenti più disparati: dalla paura alla speranza, alla voglia di sopravvivere.
Il personaggio, insomma, si è interiorizzato, ovvero assume una ricchezza spirituale nuovo, e prende su stesso tutto il mondo che lo circonda. E' questa la interiorizzazione del personaggio. Ora il paesaggio che fa da sfondo alla fuga di Renzo è totalmente presentato dal suo punto di vista, non è certo lo scenario della città e del tumulto visti cogli occhi dello studioso Manzoni. Il presupposto perché questo possa avvenire ed essere efficace e motivato sul piano narrativo, è proprio che il personaggio abbia subìto, ed ormai terminato, quell'evoluzione iniziata col cap. XIV°. Il paesaggio si fa stato d'animo, dell'animo di Renzo. Questo non era mai avvenuto con tanta intensità fino ad ora nel romanzo, e le ragioni narrative ne sono precise: può giustificare un paesaggio interiore solo un personaggio che abbia affrontato una maturazione spirituale tale da giustificare un sottile rapporto fra lo spirito e le cose. E' la situazione emotiva di Renzo che giustifica le splendide note paesistiche di cui tutto il capitolo è intessuto.
Come diretta conseguenza di questa interiorizzazione del paesaggio abbiamo che il capitolo è meno narrativo e più lirico: certo, la narrazione è affidata al monologo interiore, con cui Renzo dà voce a tutto il suo giustificato sdegno. Ma è la parte lirica a campeggiare, che è affidata al paesaggio. Due sono le sequenze fondamentali di questa parte: la notte dell'angoscia e l'alba della salvezza. Per la prima, come strumento per dare una controparte quasi ritmica all'angoscia ed alla paura, il Manzoni fa ricorso alla aggettivazione o ripetizione sostantivale ternaria, volendo con essa significare che la natura esercita un netto predominio sull'uomo. Nella seconda prevale il respiro dell'ampio periodare manzoniano, che pare quasi il sospiro di sollievo del protagonista a fronte della ritrovata salvezza.

B) La cosiddetta conversione di Renzo
E' stato detto da alcuni, che Renzo, dopo la caduta, sperimenterebbe qui il suo riscatto. Ritrova se stesso e la sua fede, ed è salvo. Non bisogna esagerare sul momento della caduta: Renzo non ha fatto nulla di male, se non andare a letto ubriaco. Non si tratta di caduta, ma caso mai di una ritrovata salvezza: nella voce dell'Adda più che ragioni morali, dobbiamo vedere ragioni allegoriche, poiché essa simboleggia la terra, il ritorno alla semplicità della vita pura della campagna, dopo l'esperienza pericolosa e deviante della città. Dunque è anche improprio parlare di conversione: il protagonista fa qui caso mai un'esperienza a sfondo iniziatico, da cui ricava un preciso insegnamento, e una sua nuova umanità che prima gli era ignota. Se Renzo pare fare una accorata confessione delle sue "colpe", è per creare l'effetto psicologico della liberazione dall'ansia e dall'angoscia, non è per alludere a un ritrovamento della fede dopo il peccato.

C) Il cugino Bortolo
Quando il Manzoni ha il sospetto di aver ceduto per un attimo di troppo alla prorompente vena lirica della sua natura, eccolo premere sul pedale del freno, e concludere il capitolo con l'incontro con un personaggio anti-lirico per eccellenza, il cugino Bortolo, bergamascone dal cuore d'oro, tutto concretezza e cordialità e generosità, con un'etica professionale ben diversa da quelle sia dell'oste della Luna Piena sia del mercante. Il Momigliano ha parlato qui di caduta, dopo tanti momenti perfetti e compiuti: ma era forse dimentico dei caratteri della poetica romantica da noi messi più volte in evidenza (amore del contrasto come metafora dell'aspirazione all'assoluto). Il cugino, nella sua natura semplice e valente, cauta e generosa a un tempo, ha anche un che di poetico, e bene rispecchia il più sano spirito dell'attivismo lombardo, sicuramente assai caro al Manzoni.

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