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La Società

La Gerarchia

L'eredità più pesante che il periodo Tokugawa e la successiva restaurazione di Meiji hanno lasciato alla società giapponese è lo stretto ordinamento gerarchico.
La gerarchia è sviluppata ad ogni livello ed in ogni ambito o gruppo sociale (famiglia, scuola, lavoro). In Giappone essere inseriti in una gerarchia è essenziale per essere parte integrante nel proprio gruppo sociale: se il membro di un gruppo non è inserito nella gerarchia, è come se non facesse parte affatto del gruppo; non solo è fondamentale fare parte, a qualsiasi livello, della gerarchia sociale del proprio gruppo di appartenenza, ma è necessario rispettare l'ordine gerarchico scrupolosamente. Ignorando l'ordine gerarchico, il membro di un gruppo rischia non solo di venire emarginato dal suo gruppo, ma addirittura di esserne espulso.
L'ordinamento gerarchico non ha una struttura "a piramide", ma a "scala a pioli", poiché due membri dello stesso gruppo non possono occupare lo stesso livello gerarchico, pena la perdita della coordinazione all'interno del gruppo, o spesso la disgregazione dello stesso.
Per evitare che un qualsiasi elemento del gruppo possa emergere improvvisamente non rispettando la gerarchia sociale, l'individuo viene educato in un ambiente che gli impartisce immediatamente l'importanza del gruppo, anche a suo scapito.
È stato accertato l'aumento esponenziale dei casi di suicidio la cui causa è attribuibile al karoshi, ossia al supelavoro. Questo dimostra come la fedeltà al proprio gruppo di appartenenza (in questo caso l'azienda) spinga un membro ad annullarsi per cercare di operare in favore di esso.
La gerarchia non è quindi soltanto un fattore pratico, ma anche e soprattutto di tipo emotivo, in quanto rinforza il senso di appartenenza e la coesione di un gruppo.

Minoranze etniche

I giapponesi non vedono di buon occhio l'immigrazione straniera. Nella loro cultura, la diffidenza verso il mondo esterno è fortemente radicata e si collega a un senso profondo della propria identità e omogeneità etnica e culturale, che si esprime, tra l'altro, in un profondo orgoglio nazionale e in una forte tendenza all'autarchia.
In Giappone, su una popolazione di 125 milioni di abitanti, poco più di un milione è costituito da residenti stranieri, e di questi solo 650.000 sono considerati residenti permanenti. La comunità straniera più numerosa è quella costituita dai coreani (quasi 700.000) a cui seguono i cinesi (circa 150.000), i filippini e i latino-americani (sopratutto brasiliani).
I coreani arrivarono soprattutto negli anni '30, quando i Giapponesi, che avevano invaso e conquistato la Corea, li deportarono in massa per farli lavorare nelle loro fabbriche.
Vivono quindi in Giappone da decenni, la maggior parte vi è nata, e la loro cultura è quella giapponese; ciononostante sono ancora discriminati per molti aspetti a causa della loro origine ed è molto raro che riescano ad affermarsi socialmente. A loro sono infatti destinati lavori subalterni e precari.
Emarginati sono anche gli Ainu di Hokkaido (circa 15.000) e gli abitanti di Okinawa, entrambi considerati dai giapponesi come un residuo folkloristico di epoche antiche.
La popolazione degli Ainu è una delle popolazioni originarie del Giappone che non si è mai fusa con i giapponesi attuali (si pensa che quest'ultimi siano il risultato dell'incontro di popoli mongolidi venuti dall'Asia con elementi coreani). Gli Ainu hanno gli occhi a mandorla ma hanno la pelle bianca, ricoperta da peluria (caretteristica degli uomini è la lunga e folta barba). Essi sono considerati primitivi, nonostante abbiano un'organizzazione sociale abbastanza complessa, una lingua specifica e una propria religione. Reclusi come gli indiani d'America e gli aborigeni australiani, vivono di pesca, caccia, lavorazione di particolari tessuti e turismo.
Infine, ma non meno importanti, ci sono i Burakumin ("la gente del ghetto"). Sono 3 milioni e niente li distingue dagli altri giapponesi, tranne il fatto di discendere da quelle persone che anticamente praticavano mestieri considerati "impuri", cioè quei lavori in cui si viene a contatto con il sangue (carnefici, macellai, conciatori di pelli, ecc.). Nonostante siano emancipati già dal 1871, con l'avvento della restaurazione Meji, nella realtà sono ancora discriminati sul lavoro e in molti aspetti della vita sociale.