Raggiungerà presto lo 0% - da Internazionale
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Giappone - Contro l'immobilismo sindacale
Nihon Keizai Sinbun, Giappone
I sindacati, troppo legati alle singole imprese, non stanno al passo
con l'evoluzione socioeconomica del paese. Occorre che si riformino
per allargare il loro campo d'azione e rispondere alle attese della
società. L'analisi del più importante quotidiano finanziario
giapponese
Tokyo, 29 Settembre 1995
Da qualche tempo i sindacati sono come in letargo. È già tanto se si
sente parlare di loro in occasione delle "tradizionali" trattative
salariali di primavera.
Poiché non si mostrano sufficientemente
agguerriti nell'affrontare i problemi attuali - instabilità
dell'impiego per i quadri aziendali tradizionali, trasformazione delle
mansioni dei colletti bianchi e questione dei karoshi
[morti per eccesso di lavoro] -, la maggior parte delle controversie
viene risolta a livello individuale, senza il loro intervento.
L'anno
scorso, il tasso di sindacalizzazione è caduto al 24,1 per cento. Di
questo passo, il Giappone raggiungerà presto gli Stati Uniti, dove i
lavoratori non riescono a far sentire la loro voce nella società.
Questo vuol dire che i sindacati sono diventati inutili? No, perché i
compiti che li attendono rendono la loro presenza più decisiva che
mai. Devono fare cose importanti. La prima deriva dal fatto che, se
il comunismo è morto, il capitalismo non è un sistema perfetto.
A loro spetta di mettere in evidenza questioni che i meccanismi del
mercato sono incapaci di risolvere. In secondo luogo devono difendere
la posizione dei salariati, assillati da molti e nuovi problemi.
L'incapacità dei sindacati di far fronte alle attuali difficoltà
deriva dalla natura della loro organizzazione e azione. Sul piano
organizzativo, il loro limite è che rappresentano essenzialmente i
dipendenti - soprattutto operai - delle grandi imprese, e non possono
dunque affrontare tutta una serie di questioni che riguardano altre
categorie.
D'altronde, trattandosi di "sindacati d'impresa", hanno la
tendenza a concentrarsi sui problemi specifici della loro azienda e,
così facendo, rischiano di tagliarsi fuori dalla società.
Nel
dopoguerra, i giapponesi hanno conquistato tre diritti fondamentali
relativi al lavoro - i diritti di associazione, contrattazione
collettiva e sciopero - e il movimento sindacale ha conosciuto un
notevole sviluppo. In seguito è andato calando, per precipitare nel
1983. Malgrado tutto, nel 1994 si contavano ancora 12.699.000
iscritti, un numero superiore a quello dell'anno precedente, il più
basso mai registrato. Tuttavia, mentre il tasso di sindacalizzazione
era del 59,8 per cento nelle imprese con più di mille salariati, non
andava oltre l'1,7 per cento nelle piccole e medie imprese. Nel
complesso, si è assistito a un aumento dei lavoratori a contratto
non sindacalizzati.
Contemporaneamente, la composizione del personale
all'interno delle imprese ha subìto una rivoluzione: gli operai hanno
perso posizioni a favore dei colletti bianchi, soprattutto nelle
grandi case produttrici di elettronica di largo consumo. Mentre i
sindacati continuano a comportarsi come se il lavoro in fabbrica
fosse ancora quello dominante, la maggior parte dei colletti bianchi
non è sindacalizzata. Ed è proprio quest'ultima la classe sociale più
colpita oggi dall'instabilità del mercato del lavoro.
L'esistenza dei sindacati nelle grandi imprese viene assicurata da
"accordi di esclusiva" (union-shop agreement), in forza dei quali i
nuovi assunti aderiscono automaticamente al sindacato, e dal fatto che
il contributo sindacale viene trattenuto direttamente in busta paga;
il che spiega la stabilità di tali organizzazioni. Agli occhi dei
padroni, i sindacati, i cui iscritti si caratterizzano per il forte
senso di appartenenza all'impresa, sono indispensabili per la gestione
del personale, perché favoriscono un clima di dialogo.
Questa
particolarità è stata senza dubbio uno dei fattori di maggiore
successo delle imprese giapponesi, anche se la stabilità e l'armonia
tra le parti sociali ha causato una certa "burocratizzazione" dei
sindacati. Le elezioni del delegato sindacale fanno parte della vita
dell'impresa e il sindacato tende a lasciarsi trasportare dalla
routine.
Questo immobilismo emerge soprattutto nelle trattative
salariali di primavera. I preparativi durano sei mesi e lo scenario
si ripete ogni anno. Secondo il ministero del Lavoro, l'aumento
contrattato per l'anno in corso è il piť debole che sia mai stato
ottenuto.
Se i sindacati non si daranno una mossa, non riusciranno più a
rispondere alle aspettative della società. È urgente che modifichino
l'organizzazione interna e che allarghino il campo di azione. Sul
piano organizzativo, devono moltiplicare gli sforzi per tesserare i
lavoratori a tempo parziale e i quadri, e adottare una struttura più
trasversale. Quanto all'attività, i sindacati devono smetterla di
concentrare tutti gli sforzi sulla trattativa salariale. Gli aumenti
in busta paga sono certamente importanti, ma a causa della
rivalutazione dello yen (dunque della concorrenzialità dei prodotti
esteri), non possono essere calcolati soltanto in base ai dati interni
al Giappone. È venuto il momento di lanciare un'azione globale che
tenga conto di più fenomeni, come la diminuzione dei prezzi e delle
tasse.
Per ottenere un reale miglioramento delle condizioni di vita,
i sindacati devono allargare la sfera di attività a questioni quali
la deregulation e la riforma della pubblica amministrazione. In
concreto, per che cosa dovrebbero battersi? Un'ipotesi potrebbe
essere che i pubblici poteri, il padronato e i sindacati si concertino
in vista di una specie di contratto sociale nel quale verrebbero
trattati tutti i problemi.
Poiché molti questioni superano la
dimensione aziendale, i sindacati di industria e le centrali sindacali
nazionali dovrebbero assumere l'iniziativa ed essere propositivi.
Molte organizzazioni hanno già preso questa strada. Oggi i sindacati
non possono più limitarsi a coltivare l'orticello aziendale, incapaci
di esistere senza l'impresa; devono ripensarsi in un'ottica più ampia,
nell'interesse di tutti i lavoratori e, per questo, decidere di
ripartire da zero.
(R. L.)
Dal numero 106 di Internazionale del 24 Novembre 1995
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