Viandante alla ventura, l´ardue nevi del Cenisio un estranio superò, e dell´itala pianura al sorriso interminabile dalla balza s´affacciò. Gli occhi alacri, i passi arditi subitaneo in lui rivelano il tripudio del pensier. Maravigliano i romiti, quei che pavido il sorressero su pe´ dubbi nel sentier. Ma l´un d´essi, col dispetto d´uom crucciato da miserie, rompe i gaudi al viator esclamando: - Maledetto chi s´accosta senza piangere alla terra del dolor! - Qual chi scosso d´improvviso, si risente d´un´ingiuria che non sa di meritar; tal sul vecchio del Ceniso si rivolse quell´estranio scuro il guardo a saettar. Ma fu un lampo. Del romito le pupille venerabili una lagrima velò; e l´estranio, impietosito, ne´ misteri di quell´anima sospettando penetrò. Ché un dì a lui, nell´aule algenti là lontan su l´onda baltica, dall´Italia andò un romor, d´oppressori e di frementi, di speranze e di dissidii di tumulti annunziator. Ma confuso, ma fugace fu quel grido, e ratto a sperderlo la parola uscì dei re, che narrò composta in pace tutta Italia, ai troni immobili plauder lieta e giurar fé. Ei pensava: - Non è lieta, non può stanza esser del giubilo dove il pianto è al limitar. - Con inchiesta mansueta tentò il cor del solitario, che rispose al suo pregar. -Non è lieta ma pensosa, non v´è plauso ma silenzio, |
non v´è pace ma terror. Come il mar su cui si posa sono immensi i guai d´Italia; inesausto il suo dolor. Libertà volle; ma stolta! credé ai prenci e osò commettere ai lor giuri il suo voler. I suoi prenci l´han travolta, l´han ricinta di perfidie, l´han venduta allo stranier. Da quest´Alpi infino a Scilla la sua legge è il brando barbaro che i suoi régoli invocâr. Da quest´Alpi infino a Scilla è delitto amar la patria, è una colpa il sospirar. Una ciurma irrequieta scosse i cenci, e giù dal Brennero corse ai fòri e gli occupò: trae le genti alla segreta, dove, iroso, quei le giudica che bugiardo le accusò. Guarda! i figli dell´affanno su la marra incurvi sudano: va´ ne interroga il sospir. - Queste braccia - ti diranno - scarne penano onde mietere il tributo a un stranio sir. - Va´, discendi, e le bandiere cerca ai prodi, cerca i lauri che all´Italia il pensier die´. Son disciolte le sue schiere, è compresso il labbro ai savi, stretto in ferri ai giusti il piè; tolta ai solchi, alle officine, delle madri al caro eloquio la robusta gioventù, data, in ròcche peregrine, alla verga del vil téutono che l´edùchi a servitù. Cerca il brio delle sue genti all´Italia, i dì che furono alle cento sue città: dov´è il flauto che rammenti le sue veglie e delle vergini la danzante ilarità? Va´, ti bea de´ soli suoi, godi l´aure, spira vivide |
le fragranze de´ suoi fior. Ma che pro de´ gaudi tuoi? non avrai con chi dividerli: il sospetto ha chiusi i cor. Muti intorno degli alari vedrai padri ai figli stringersi, vedrai nuore impallidir su lo strazio de´ lor cari, e fratelli membrar invidi i fratelli che fuggîr. Oh, l´improvido! l´han còlto come agnello al suo presepio; e di mano al percussor sol dai perfidi fu tolto perché, avvinto in ceppi, il calice beva lento del dolor; dove un pio mai nol consola, dove i giorni non gli numera altro mai che l´alternar delle scolte... - La parola su le labbra qui del misero i singulti soffocâr. Di conforto lo sovviene, la man stende a lui l´estranio. Quei sul petto la serrò; poi, com´uom che più ´l rattiene più gli sgorga il pianto, all´eremo col compagno s´avviò. Ah! qual alpe sì romita può sottrarlo alle memorie, può le angosce in lui sopir, che dal turbin della vita, dalle care consuetudini, disperato, il dipartîr? Come il voto che la sera fe´ il briaco nel convivio, rinnegato è al nuovo dì; tal su l´itala frontiera, dell´Italia il desiderio all´estranio in sen morì. A´ bei soli, a´ bei vigneti, contristati dalle lagrime che i tiranni fan versar, ei preferse i tetri abeti, le sue nebbie ed i perpetui aquiloni del suo mar. |