Bambino soldato: ogni anno, per guadagnare, sono tantissimi i minorenni africani che si arruolano nell'esercito |
Il deterioramento dei termini dello scambio
Malgrado l'indipendenza, i paesi del Terzo Mondo non hanno visto sostanziali
trasformazioni nel ruolo che le potenze coloniali avevano stabilito per essi nel
passato. Infatti anche con il nuovo assetto politico-economico si è venuta a
delineare una nuova divisione internazionale del lavoro, cioè una distribuzione
della produzione su scala mondiale, che li ha mantenuti economicamente
dipendenti dai paesi più ricchi. Durante il periodo coloniale le colonie erano
state costrette a specializzarsi nella produzione di uno o due prodotti soltanto (monocoltura agricola o monoproduzione mineraria), ma anche dopo l'indipendenza i
nuovi stati non hanno diversificato la loro struttura produttiva a causa degli
enormi costi che questo cambiamento avrebbe comportato. L'economia
nazionale della maggior parte dei paesi in via di sviluppo si basa ancora oggi
sulla produzione e relativa esportazione anche di un solo particolare prodotto
e la quasi totalità del reddito internazionale dipende dal prezzo di quel
prodotto sul mercato internazionale. Questa precaria situazione economica è resa
ancora più grave dal fatto che sul mercato internazionale il prezzo dei prodotti
finiti è aumentato molto di più rispetto a quello delle materie prime.
A causa
di questo fenomeno, chiamato "deterioramento dei termini dello scambio" i paesi
del Terzo Mondo sono costretti a esportare una quantità maggiore dei loro
prodotti di base per comperare dai paesi industrializzati la stessa quantità di
beni finiti. Se nel 1965 era possibile acquistare dai paesi industrializzati un
trattore con 5 tonnellate di cotone nel 2000 per l'acquisto dello stesso
trattore erano necessarie 50 tonnellate di cotone. Secondo i paesi
industrializzati tale situazione è dovuta all'attuale sistema di rapporti
economici internazionali basati sul libero scambio, per cui i prezzi sul mercato
vengono fissati in base alla disponibilità e dalla richiesta di una certa merce
secondo la legge della domanda e dell'offerta: sul mercato internazionale dunque
compratori e venditori si troverebbero in una situazione di libera scelta e di
parità di condizione. In realtà i paesi africani non sono affatto nelle
condizione di poter fare delle scelte. Infatti, in base al sistema produttivo
prima spiegato, essi sono dipendenti dall'estero per tutto ciò che riguarda il
soddisfacimento dei fabbisogni della popolazione. Se non esportano, non possono
ottenere valute pregiate, quali il dollaro, l'euro e adesso anche lo yuan
(valuta cinese), che sono necessarie per comperare sul mercato internazionale.
Per di più non sono in grado di utilizzare a difesa della propria economia quei
sistemi di protezione che i paesi industrializzati hanno eretto a salvaguardia
dei prezzi dei loro prodotti, come: istituzione di alte tariffe doganali su
quelle merci importate che possono far concorrenza con le loro produzioni
nazionali; limitazione della quantità di prodotto provenienti dall'africa e dai
paesi del sud del mondo, attraverso l'imposizione di quote fisse di
importazione; l'attuazione di forme di sostegno all'economia nazionale per
promuovere e incentivare l'esportazione dei propri prodotti. Il deterioramento
dei termini dello scambio non è dovuto quindi alle libere forze del mercato
economico internazionale, ma dipende soprattutto dagli interessi delle grandi
potenze, poiché i prezzi delle materie prime nelle grandi borse dell'occidente
(New York, Tokyo, Hong Kong, Londra). Ai paesi del terzo mondo non resta che
accettare il prezzo imposto, spesso a loro discapito.
Le multinazionali nel terzo mondo
Dopo la seconda guerra mondiale si è verificato un boom degli investimenti
privati all'estero, con conseguente globalizzazione del commercio. Protagoniste
di questo nuovo fenomeno sono le aziende multinazionali, imprese di grandi
dimensioni che dispongono di succursali nei vari paesi del mondo. La loro
potenza è data dal fatto che detengono il controllo di un terzo di tutta la
produzione del pianeta. La loro caratteristica è quella di produrre in più paesi
per poter diversificare le proprie attività investendo in vari settori in modo
da coprire una vasta gamma della produzione mondiale (la ITT, International Telephone and Telegraph, dopo aver iniziato nel campo delle telecomunicazioni si
è estesa nei settori dei prodotti di bellezza, degli hotel, delle assicurazioni,
dei surgelati, dei tessili). La potenza delle multinazionali sta nella loro
dinamicità poiché sono in grado di prevedere gli effetti negativi delle
fluttuazioni del mercato internazionale e correggerli. Tuttavia sono anche
potenzialmente pericolose in quanto potrebbero provocare una crisi monetaria
solamente spostando i loro capitali da un paese all'altro. Per di più il
raggruppamento di imprese dello stesso settore permette di accordarsi sul volume
globale della produzione e sui prezzi riuscendo in questo modo a controllare il
mercato mondiale (se da un lato tale concentrazione serve a ridurre i costi di
produzione, dall'altro costituisce un forte gruppo di pressione in grado di
aumentare i prezzi ed eliminare i più deboli).
Anche se non tutte queste grandi società possono essere considerate radici di
ogni male, i paesi industrializzati per difendersi dalla loro invadenza
economica e dal loro strapotere hanno promulgato leggi anti-monopolio (il
cosiddetto anti-trust), invece nei paesi in via di sviluppo come quelli
africani, non viene adottato alcun tipo di controllo e di difesa nei confronti
delle attività delle multinazionali e dunque gli investimenti di queste trovano
un terreno molto più proficuo per le loro iniziative in questi territori. Se nei
paesi occidentali si trovano costrette a patteggiare con i sindacati, le
multinazionali nel terzo mondo pagano salari da fame in quanto nessun sindacato
è abbastanza potente per contrastarle. A ciò si accompagnano ritmi incessanti di
lavoro, orari disumanizzanti, rotazione continua della manodopera, scarsa
attenzione a misure di sicurezza, nonché un ampio controllo sui governi stessi.
Gli investimenti delle grandi imprese private hanno creato un modello
capitalistico basato sulla crescita continua del profitto e hanno favorito
sviluppo e benessere delle popolazioni del nord del mondo, determinando però un
peggioramento delle condizioni di vita delle genti del sud del mondo e una
sempre più forte dipendenza di questi paesi dagli interessi economici dei paesi
più ricchi.
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L'agrobusiness: La distruzione dell'agricoltura
tradizionale di sussistenza
L'attività delle multinazionali nel settore agroalimentare è quella che è stata
maggiormente sottoposta ad analisi e critiche da parte degli studiosi che si
interessano ai problemi dell'africa. In particolare se prima del periodo
coloniale esisteva un certo equilibrio, poiché l'agricoltura tradizionale, o di
sussistenza, era in grado di fornire il necessario fabbisogno alimentare locale,
con la colonizzazione quest'equilibrio venne a crollare a causa dell'imposizione
di colture forzate. Attualmente le grandi piantagioni africane sono gestite
dalle multinazionali, che controllano il processo produttivo e distributivo. La
loro espansione ha trasformato questo continente in una fattoria mondiale che
rifornisce il supermercato occidentale lasciando a secco invece le popolazioni
africane: l'agricoltura è diventato un sistema per fare buoni affari, il
cosiddetto agrobusiness. Ciò avviene con la complicità del potere locale
che offre loro i terreni migliori espropriandoli ai piccoli proprietari, che
nella migliore delle ipotesi diventano braccianti stagionali oppure finiscono ad
ingrossare le fila della manodopera disoccupata delle baraccopoli africane.
La speranza di migliorare e rendere più produttivo il settore agricolo, ancora tecnologicamente arretrato, ha spinto alcuni paesi ad introdurre nuove attrezzature e sistemi di produzione molto più moderni di quelli tradizionali. E' la cosiddetta Rivoluzione Verde, sostenuta sin dal 1943 dalle fondazioni americane Rockefeller e Ford, le quali avevano contribuito alla messa a punto, in appositi laboratori, di speciali sementi più resistenti. Le piante che derivavano dalle sementi ibride danno effettivamente una resa molto superiore a quella delle varietà tradizionali. Ciò può avvenire solo se l'uso di tali sementi è accompagnato, però, da massicce quantità di concimi, difese chimiche contro insetti e malattie, complessi lavori di irrigazione e drenaggio. Tutto ciò richiede naturalmente la disponibilità di attrezzature adeguate e grandi capitali, e gli unici che possono permetterseli solo le grandi multinazionali, e non i contadini che praticano agricoltura di sussistenza.
La nuova industrializzazione
Il processo di industrializzazione ha avuto inizio in Africa negli anni sessanta e, sebbene molti stati siano ad uno stato di industrializzazione ancora piuttosto arretrato, in alcuni stati è già ben avviato. Tuttavia questo sembra non essere sufficiente per rendere tali paesi meno poveri di quanto lo erano in passato, anzi. E' fondamentale, innanzitutto, analizzare i fattori che hanno dato origine a questa fase di industrializzazione: il principale è la scelta delle principali multinazionali di spostare i loro impianti in queste terre, in modo tale da ridurre al minimo i costi di produzione, che nel mondo occidentale, invece, erano molto elevati. In secondo luogo l'industrializzazione è stata stimolata dal fatto che alcuni governi, interessati a promuovere un sistema produttivo industriale nei loro paesi, hanno dato incentivi agli investimenti stranieri e nazionali, garantendo sgravi fiscali e stabilità politica (ottenuta molto spesso attraverso la repressione e l'autoritarismo). Il modello di industrializzazione prescelto è stato quello orientato all'esportazione (il paese si specializza, come in età coloniale, in poche produzioni destinate all'esportazione). In genere non hanno adottato il modello di industrializzazione comunemente definito di "sostituzione delle importazioni" (per cui un paese sostituisce progressivamente i beni che importa producendoli all'interno dei suoi confini) e sono entrati così nella logica classica della divisione internazionale del lavoro, cioè della distribuzione della produzione su scala mondiale. La caratteristica dell'industrializzazione in Africa è determinata, infatti, da una struttura prevalentemente centrata su produzioni o, molto più spesso, su singole componenti del ciclo produttivo, a basso livello tecnologico e ad alta intensità di lavoro. Si crea, in questo modo, una vera e propria catena di montaggio internazionale per cui il prodotto finito è costituito da pezzi costruiti o assemblati nelle varie parti del mondo.
La Cattedrale Santa, di Yamousssoukro, capitale della Costa d'Avorio. E' la riproduzione della Basilica di San Pietro di Roma, simbolo di come molti soldi siano stati sprecati in Africa |
L'indebitamento
Agli inizi degli anni settanta molti governi africani di recente industrializzazione avevano bisogno di capitali per poter acquisire le tecnologie necessarie dai PI (Paesi Industrializzati, ovvero il Nord del mondo). Il denaro veniva chiesto in prestito ai grandi istituti finanziari internazionali, come la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale, e ad alcune banche private dell'Occidente, che in quel periodo erano ricche di denaro, soprattutto di petrodollari (denaro proveniente dai paesi arabi produttori di petrolio). Per questa motivazione accordavano facilmente prestiti a condizioni assai favorevoli: restituzione dei capitali a lungo termine e tassi di interesse fissi. I soldi che affluivano in Africa, e nei PVS (Paesi in Via di Sviluppo) vennero, però, mano a mano utilizzati anche per altri tipi di spese, come l'acquisto di armi o di prodotti di lusso o addirittura per accrescere i conti personali degli amministratori locali. In questo modo gli stati africani ebbero la necessità di contrarre nuovi prestiti, per estinguere il debito dei prestiti precedenti. Gli interessi non pagati andavano però ad aumentare il debito iniziale e producevano altri interessi passivi. All'inizio degli anni ottanta le condizioni erano anche cambiate e risultavano molto meno favorevoli: in sostanza, i prestiti contratti dovevano essere restituiti più celermente e a tassi superiori. Si è venuto così a determinare un meccanismo che ha generato una crescente dipendenza economica di questi stati da un sistema finanziario controllato dai PI e dalle loro banche. Si parla di cifre astronomiche: negli anni novanta il debito aveva raggiunto i 1.500.000.000.000 $, e nel 2000 la cifra aveva superato i duemila miliardi di dollari, solamente perché alcuni debiti sono stati condonati.