L'aumento delle precipitazioni nevose sull'Antartide centrale sta aumentando lo spessore della copertura di ghiaccio e forse riducendo l'aumento del livello del mare.
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Secondo uno studio pubblicato su Science da un gruppo di ricercatori della
British Antarctic Survey la calotta antartica ha
guadagnato tra il 1992 e il 2003 circa 45
miliardi di tonnellate di ghiaccio, cioè quanto
basta per ridurre la crescita del livello degli
oceani di circa 0,12 millimetri ogni anno.
I ricercatori si aspettavano un risultato di
questo tipo: l'Ipcc, il gruppo di esperti delle
Nazioni Unite che studia i cambiamenti
climatici, aveva già evidenziato infatti come il
livello del mare si stesse innalzando di circa
1,8 millimetri all'anno soprattutto a causa
dello scioglimento dei ghiacci della Groenlandia
e dell'Antartico. A sua volta però i cambiamenti
climatici causano un aumento dell'evaporazione
delle acque oceaniche e quindi dell'umidità
atmosferica e un aumento delle precipitazioni
nevose sull'Antartico. Nessuno fino a oggi era
riuscito a misurare gli effetti sulla calotta
ghiacciata con tanta precisione.
Nonostante i risultati fossero previsti, resta
ancora da capire se siano dovuti effettivamente
ai cambiamenti climatici o se invece dipendano
dalla normale variabilità climatica della
regione. I dati sono stati ottenuti attraverso i
satelliti dell'Agenzia spaziale europea ERS-1 e
ERS-2, che hanno misurato i cambiamenti in
altitudine di circa il 70 per cento del
territorio interno dell'Antartico, cioè circa
8,5 milioni di chilometri quadrati, più o meno
le dimensioni degli Usa.
Nel periodo studiato, l'area orientale
dell'Antartico, che comprende il 75 per cento di
tutte le terre dell'Antartico e l'85 per cento
del ghiaccio, è aumentata in media di 1,8
centimetri all'anno. Al contrario, l'area più
piccola dell'Antartico occidentale ha mostrato
un aumento minimo, praticamente di 0 centimetri
all'anno. Secondo gli esperti, comunque,
l'aumento del ghiaccio nell'Antartico non sarà
sufficiente a controbilanciare l'aumento del
livello del mare. Questa notizia è stata diffusa
dall'agenzia “ZadiG”.
Istituzioni scientifiche citate nell'articolo:
British Antarctic Survey
ERS
La Siberia ? Meno
gelida dell'Italia, almeno a marzo del 2005, il
mese in cui la temperatura è scesa più che in
paesi come l'Alaska, l'Irlanda e, appunto, la
Siberia. Dove nello stesso periodo il clima è
stato più mite che mai. I dati sono stati
diffusi il 21 aprile del 2005 dal bollettino
della National Oceanographic and Atmospheric
Administration (NOAA).
In generale, è stato il terzo marzo più caldo
dal 1880, specie nell'area polare artica. Il
freddo ha colpito invece particolarmente
l'Europa centro orientale. In Italia i
termometri sono scesi in media di un grado sotto
la norma, in tutta Europa di 5 gradi.
In Alaska, Groenlandia e Siberia, le aree più
calde in assoluto, le temperature medie sono
salite fino a +5 gradi. Questa notizia è stata
divulgata dall'agenzia “Ansa”.
Il ghiaccio polare è considerato un fattore importante nella determinazione del clima globale. L'Europa,l'Asia e l'America pur essendo distanti da esso migliaia di chilometri risentono delle sue variazioni.
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Il ghiaccio ha importanti funzioni
in quanto riflette estremamente bene la luce
solare, coprendo il mare isola l'acqua
sottostante e lo scioglimento dei ghiacciai
interessa le correnti oceaniche. Ormai è
diventato necessario avere delle prove del
riscaldamento del clima dato che la temperatura
media della superficie globale è aumentata di
0,6 gradi, e per i prossimi cento anni si
prevede che il riscaldamento globale varierà fra
1,4 e 5,8 gradi, sarà quindi inevitabile lo
scioglimento di ghiaccio e ghiacciai polari; per
questo motivo vengono finanziati studi e
ricerche in questo campo.
Feng Shung Hu dell'Università
dell'Illinois di Urbana-Champaign è il
principale di un gruppo di ricercatori che hanno
condotto uno studio sulle caratteristiche
geochimiche e biologiche dei sedimenti dei laghi
in Alaska presso le montagne di Ahklun, lungo la
costa sud-occidentale. Essi hanno visto che
anche lievi variazioni nell'intensità del sole
possono aver influito in modo prevedibile sul
clima e sugli ecosistemi sub-polari negli ultimi
12 mila anni. Analizzando la composizione
biochimica dei campioni, i ricercatori hanno
identificato cicli con durate di 200, 435, 590 e
950 anni nel corso dell'epoca dell'Olocene,
queste variazioni sono legate ai cambiamenti
ciclici nell'irradiazione solare e
all'estensione della copertura di ghiaccio nel
Nord Atlantico.
Secondo Hu cicli naturali riguardanti il clima e gli ecosistemi sono collegati a deboli cicli solari. Hu ha condotto questo studio per 10 anni assieme al collega Darrell Kaufman della Northern Arizona University di Flagstaff. Astrium costruirà il nuovo satellite europeo CryoSat per conto dell’ESA, il satellite misurerà i cambiamenti di spessore del ghiaccio polare e della copertura di ghiaccio dell'oceano, con una precisione senza precedenti per almeno tre anni. Si pensa che il primo lancio sarà effettuato nell'aprile 2004, Cryostat è dotato di un radar con un altimetro in grado di misurare lo spessore del ghiaccio. Una parte delle incertezze nel creare modelli del clima sta nella mancanza di misurazioni precise del ghiaccio polare e del relativo sviluppo. Secondo gli scienziati il ghiaccio dei mari è calato, a partire dal 1950, di un 10-15%. Lo spessore del ghiaccio artico probabilmente è diminuito di un 40%. Tuttavia queste sono solo supposizioni, perché mancano studi precisi.
Di: Donata Allegri
Istituzioni scientifiche citate nell'articolo:
University of Illinois at Urbana-Champaign
Northern Arizona University, Flagstaff Arizona
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In
Antartide si ipotizza l’eventualità di un
collasso dell’inlandsis occidentale nei prossimi
secoli e di un conseguente innalzamento del
livello del mare.
Il ghiaccio che si trova al polo nord, invece,
galleggia sul mare ed è costituito da una
banchisa spessa fino a 10 m. Il suo scioglimento
non determina un innalzamento del livello del
mare, in quanto il volume del ghiaccio rimpiazza
esattamente il volume dell’acqua spostata.
L’Artide è la zona del nostro pianeta che
risente per prima dei mutamenti climatici. Già
oggi gli inverni sono più miti, la primavera
giunge in anticipo e il ghiaccio si assottiglia.
Non c’è da stupirsi: la temperatura atmosferica
al polo nord è aumentata di ben 5 °C nell’ultimo
secolo, e lo spessore della banchisa, durante
l’estate, si dimezza.
A causa del ritiro dei ghiacci polari l’Oceano
Artico, che oggi agisce come un riflettore,
restituendo all’atmosfera circa l’80% della luce
solare grazie al biancore dei ghiacci, si
trasformerà in un collettore di calore che
assorbirà il 90% dell’energia solare e ne
rifletterà solo il 10%. Di conseguenza, la
temperatura dell’intera regione si innalzerà,
con notevoli ripercussioni a livello degli
oceani e dell’atmosfera.
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I ghiacciai dell'Antartide sono in forte ritirata. Lo dimostra uno studio
condotto dalla “British Antarctic Survey” sulla regione della penisola
antartica, la lunga lingua di terra che si allunga verso la Patagonia. Lo
studio, pubblicato su “Science”, potrebbe essere una ulteriore evidenza del
riscaldamento globale. Dopo tre anni di investigazioni sui 244 ghiacciai della
penisola, i ricercatori coordinati da David Vaughan hanno scoperto un trend che
nelle loro parole “è assolutamente non ambiguo”. Se questo trend continuasse “la
penisola alla fine assomiglierà molto alle Alpi, con i ghiacciai che si
estendono soltanto per metà delle loro valli”.
La ritirata sembra essere un fenomeno recente. Cinquanta anni fa stavano
fondamentalmente avanzando, ma poi rapidamente hanno invertito la direzione di
marcia, ritirandosi di circa 50 metri l'anno. Uno di questi, il Widdowson, ha
perso un chilometro di ghiaccio all'anno. Secondo i ricercatori niente di simile
è accaduto negli ultimi 2000 anni e sembra dipendere in gran parte dal processo
di riscaldamento dell'aria nella regione. Ormai ha raggiunto una media di 2
gradi e mezzo, cioè cinque volte più alta della media normale per l'Antartide.
Il motivo di questo riscaldamento dell'aria è dato dall'arrivo di venti caldi
sulla penisola, a loro volta innescati con ogni probabilità da cambiamenti nella
circolazione atmosferica legati alle attività umane. Oltre al riscaldamento
dell'atmosfera, entrano comunque in gioco altri fattori tra cui i cambiamenti
delle temperature marine. Fino a oggi, questo scioglimento ha avuto un effetto
ben poco accentuato sui livelli del mare, ma il processo potrebbe accelerare nei
prossimi anni, causando un innalzamento del livello medio degli oceani.
Istituzione scientifica citata nell'articolo:
British Antarctic Survey
da
redazione ECplanet
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Nel luglio del 2005, alcuni scienziati a bordo di una delle navi di Greenpeace, la Arctic Sunrise, hanno fatto un'incredibile scoperta: i ghiacciai della Groenlandia si stanno sciogliendo ad una velocità che non ha precedenti. Questo significa che il cambiamento climatico non è solo un concetto astratto, uno scenario futuribile da fantascienza, ma è una realtà concreta, che bussa alle nostre porte.
I rilevamenti fatti indicano inoltre che il ghiacciaio di Kangerdlugssuaq, sulla costa orientale della Groenlandia, è uno dei ghiacciai più veloci al mondo, perché si muove verso il mare ad una velocità di quasi 14 chilometri all'anno. Le misurazioni sono state effettuate usando un sistema GPS ad alta precisione. Il ghiacciaio, inoltre, si è ritirato di 5 chilometri dal 2001, dopo aver mantenuto condizioni stabili per almeno quarant'anni.
Secondo un modello al computer, sviluppato dal geofisico Philippe Huybrechts della Université libre de Bruxelles, con la collaborazioni di colleghi tedeschi e belgi, il fenomeno dell'innalzamento globale delle temperature potrebbe sciogliere quasi tutti i ghiacci che ricoprono i territori della Groenlandia, causando forti mutazioni climatiche. Lo scioglimento dell'intera Groenlandia determinerebbe un innalzamento dei mari di 6 metri, ma anche un incremento di un solo metro significherebbe l'inondazione di New York, Amsterdam, Venezia e di tutto il Bangladesh.
Il ritirarsi allarmante del ghiacciaio Kangerdkugssuaq lascia dedurre che l'intera calotta polare artica si stia sciogliendo molto più velocemente del previsto. Tutti gli scenari sul surriscaldamento globale ipotizzati finora dagli scienziati postulano un ritmo di scioglimento più lento. I nuovi dati, invece, ci dicono che il cambiamento climatico è una minaccia più grande e più vicina di quanto prima non si pensasse.
Le previsioni del modello
parlano di un innalzamento medio di quattro
gradi centigradi della temperatura nei prossimi
quattro anni con un conseguente innalzamento di
cinque centimetri del livello del mare. In
questa situazione l'acqua dolce dei ghiacci
sciolti galleggerebbe in superficie impedendo
ulteriori ricambi climatici. Inoltre, dopo il
2080, il processo di riscaldamento si
arresterebbe, come pure la circolazione della
corrente del Golfo che trasporta acqua temperata
nell'Oceano Atlantico.
In tal caso, – sempre secondo le previsioni del
modello – le temperature dell'Europa
settentrionale potrebbero scendere in media di
tre gradi centigradi, mentre in Canada
l'abbassamento medio della temperatura potrebbe
addirittura raggiungere i cinque gradi
centigradi. La Groenlandia, invece, potrebbe
essere investita da temperature ulteriormente
abbassate di una decina di gradi.
Tuttavia, Philippe Huybrechts avverte che bisognerà sviluppare un modello ancor più sofisticato per poter verificare se l'abbassamento della temperatura consentirà una riformazione del manto di ghiaccio. La ricerca è stata presentata al convegno dell’European Geophysical Society svoltosi a Nizza, in Francia.
di: Enrico Loi
Per saperne di più visitate i siti:
Dopo aver
analizzato dati accumulati per oltre un
ventennio, un gruppo di ricercatori, della
Brigham Young University, ha concluso che la
frantumazione, sempre più frequente, di iceberg
di grosse dimensione dalle coste dell'Antartide,
come registrato dal National Ice Center (NIC),
non ha nulla a che vedere con il
surriscaldamento del clima terrestre.
Dall'analisi dei dati - spiega David Long, uno
dei promotori della ricerca, - è emerso che il
numero degli iceberg che si staccano dalle coste
dell'Antartide è sempre rimasto in media
identico dal 1978 alla fine del 1990 circa.
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I supercalcolatori - prosegue
David Long - della Brigham Young University
hanno analizzato tutte le immagini satellitari
delle acque circostanti l'Antartide. I dati
provenienti dall'analisi dei supercalcolatori
dell'ateneo sono poi stati confrontati con
quelli del National Ice Center (NIC), che
monitorizza gli iceberg lungo una traiettoria
più ampia in estensione di circa 15 chilometri.
Si è scoperto che i sistemi di rilevazione,
utilizzati nei primi anni di ricerca, non erano
all'altezza di individuare tutti gli iceberg in
circolazione dell'Antartide.
L'aumento di iceberg registrato in questi ultimi
anni è da attribuire a un evento periodico,
inerente al fenomeno di crescita e ritiro delle
grandi masse di ghiaccio costiero. Questo
fenomeno avviene ogni 45 anni ed è già stato
ampiamente spiegato in molte altre ricerche.
David Long opinionizza asserendo che questi dati
non suggellano la prova del riscaldamento
globale, ma non lo esclude visto che tutto
sommato il riscaldamento globale è
inequivocabilmente reale. Va solo capito -
conclude Long - se è generato dalle attività
umane o se fa parte di un ciclo naturale.
La ricerca è stata pubblicata dalla rivista EOS.
di: Massimo
Bertolucci
David G. Long, Ph.D.
Director,
BYU Center for Remote Sensing
Professor,
Department of Electrical & Computer Engineering
459 Clyde Building - Brigham Young University -
Provo, Utah 84602
Phone: +1 (801) 378-4383
Fax: +1 (801) 378-6586
E-mail:
long@byu.edu
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Le regioni boreali ed artica saranno quelle maggiormente colpite dal
riscaldamento: la pioggia che cade sulla neve alle latitudini settentrionali in
inverno può creare enormi problemi agli animali erbivori, in particolare renne,
caribù e buoi muschiati che si nutrono di licheni.
Quando l'acqua piovana si infiltra attraverso la neve congela nuovamente e la
copertura di ghiaccio impedisce agli animali di accedere al cibo perché si forma
uno strato di ghiaccio sulla superficie spesso vari centimetri, che anche una
persona non potrebbe forare senza strumenti; quando il ghiaccio non è
impenetrabile le temperature più alte fanno crescere funghi e muffe tossiche tra
i licheni, per cui gli erbivori evitano queste zone.
Entro la fine del secolo il riscaldamento progressivo del pianeta distruggerà un
terzo degli habitat naturali mettendo a rischio la sopravvivenza di moltissime
specie di animali e piante.
Ma il pericolo è anche per gli uomini: gli eschimesi infatti, potrebbero
rischiare l’estinzione.
Gli eschimesi, che si chiamano 'inuit' (uomini), sono 120.000 e vivono di caccia
(renne) e di pesca (foche e balene) in
Alaska,
Groenlandia, Russia e Canada.
Nelle latitudini al Nord di Russia, Canada e Scandinavia, dove si prevede che il
riscaldamento sia più rapido, potrebbe andare perduto oltre il 70 per cento
degli habitat naturali.
Non si tratta di un mutamento lento e controllato, ma veloce e senza precedenti
nella storia dell'uomo.
Lo scenario proposto prevede migrazioni di massa di piante e animali in fuga dal
riscaldamento del proprio habitat.
Il riscaldamento della tundra, la zona che sta tra la calotta polare e la linea
degli alberi, ha già provocato un mutamento delle rotte di migrazione dei
caribù, le renne del Nord America, che sono tra le principali fonti di
sopravvivenza per gli eschimesi.
Gli inuit hanno anche notato nel loro territorio la presenza di orsi grigi e di
altri insetti e uccelli che normalmente si trovano più a Sud.
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Solo quattro anni fa c'era accordo nella comunità scientifica sul fatto che la banchisa polare nella regione occidentale dell'Antartide fosse stabile, ma un inatteso fenomeno di scioglimento ha costretto gli scienziati a mettere in discussione questo assunto. Nel 2002 il Larson B, una piattaforma di ghiaccio da 500 miliardi di tonnellate con un'estensione pari al doppio di quella di Londra, si è disintegrato in meno di un mese: pur non avendo avuto ricadute immediate sul livello del mare, questo episodio è emblematico degli effetti del surriscaldamento globale.
Nel 2005, il British Antarctic Survey ha rilevato che l'87 per cento dei ghiacciai della penisola antartica si sono ritirati negli ultimi cinquant'anni e negli ultimi cinque anni i ghiacciai hanno perso in media 50 metri all'anno. L'intera banchisa antartica contiene acqua a sufficienza per innalzare il livello dei mari di 62 metri. Anche se il terzo rapporto dell'IPCC considera assai improbabile questo scenario, nuove ricerche indicano uno sgretolamento massiccio della banchisa.
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Sir David King, responsabile scientifico del
governo inglese, ha affermato che il
riscaldamento del pianeta rappresenta una
minaccia più seria del terrorismo. Nell'Artico
il riscaldamento è più del doppio rispetto
all'Europa e in estate torrenti di acqua
provenienti dallo scioglimento dei ghiacciai
chilometrici della Groenlandia si riversano in
mare. Lo scioglimento completo dei ghiacciai
della Groenlandia avverrà in un lungo periodo di
tempo, ma avrà come conseguenza l'innalzamento
di sette metri del livello del mare, abbastanza
da rendere inabitabili tutte le città costiere
del mondo, come Londra, Venezia, Calcutta, New
York e Tokyo. Già due soli metri di innalzamento
bastano per sommergere gran parte dei territori
del sud della Florida. Alcuni climatologi
sostengono
che
il
grado
si
salinità
dell'acqua
dei
poli
tenderà
a
ridursi
"inceppando"
il
meccanismo
della
corrente
del
Golfo,
l'afflusso
di
acqua
calda
dalle
zone
tropicali.
In
assenza
della
correnta
le zone continentali atlantiche tenderanno verso una rapida glaciazione.
Paradossalmente, in pieno effetto serra, vedremo New York, Londra e Parigi in
preda al gelo. Nelle zone tropicali si accentuerà, invece, il fenomeno della
desertificazione accentuando gli estremi climatici tra un continente e l'altro.
L'agricoltura mondiale nelle zone tropicali rischia, tra l'altro, di far cadere
nella fame gran parte della popolazione mondiale spingendola ad emigrare verso i
paesi occidentali.
Il ghiaccio galleggiante nell'Oceano Artico è
ancora più vulnerabile al riscaldamento: in 30
anni l'area americana, ora ghiacciata bianca e
riflettente, potrebbe trasformarsi in marea
scura in grado di assorbire il calore del sole
estivo e accelerare ulteriormente la fine dei
ghiacciai della Groenlandia. Il Polo Nord, meta
di esploratori, diventerebbe quindi niente più
che un puntino nella superficie dell'oceano.
Ma non solo l'Artico sta cambiando: i
climatologi avvertono che un aumento delle
temperature di quattro gradi è in grado di
causare l'eliminazione delle vaste foreste
amazzoniche, causando una catastrofe per le
popolazioni residenti, le biodiversità, e per il
mondo intero, privato di uno dei grandi sistemi
naturali di condizionamento dell'aria, già
pesantemente compromesso dall’opera di barbarie
neo-liberista.
Nel 2001, gli scienziati membri della
Commissione Intergovernativa sul Cambiamento del
Clima hanno evidenziato che la temperatura
potrebbe aumentare da due a sei gradi Celsius
entro il 2100. Questa terribile previsione è
stata ben percepita durante la “lunga estate
calda” del 2003: secondo i metereologi svizzeri,
la calura diffusa in tutta Europa ha causato più di 20.000 morti ed è stata
completamente diversa da ogni precedente ondata di caldo.
Il riscaldamento aggiuntivo proveniente da
qualsiasi sorgente, i gas dell'effetto serra, lo scioglimento dell'Artico o la
foresta amazzonica, viene amplificato, portando ad effetti additivi.
Possiamo continuare a goderci un ventunesimo
secolo sempre più caldo, con qualche intervento
cosmetico tipo il Trattato di Kyoto, per
nascondere il disagio politico sul riscaldamento
globale, e questo è ciò che probabilmente
succederà in gran parte del mondo.
Quando nel diciottesimo secolo vivevano solo un
miliardo di persone sulla terra, il loro impatto
era sufficientemente piccolo da non doversi
preoccupare per il tipo di fonte energetica da
utilizzare. Ma con sei miliardi, in crescita,
rimangono poche opzioni: non possiamo continuare
a ricavare energia dai combustibili fossili e
non ci sono grandi possibilità che le fonti
rinnovabili cioè il vento, le maree e i sistemi
idrici siano in grado di fornire l'energia
necessaria nei tempi richiesti. Se avessimo 50
anni o più potremmo renderle le nostre fonti
energetiche primarie. Ma non abbiamo 50 anni a
disposizione: la Terra è già così malridotta dai
veleni insidiosi dei gas serra che anche se
smettessimo immediatamente di bruciare
combustibili fossili, le conseguenze di tutto
ciò che abbiamo fatto si farebbero sentire per
1000 anni.
Peggio ancora, se bruciamo le colture per farne
carburante, non facciamo altro che accelerare il
nostro declino. L'agricoltura già utilizza una
parte troppo grande dei terreni di cui necessita
la Terra per regolare il proprio clima e la
propria chimica. Un'automobile consuma da 10 a
30 volte il carbone consumato dal suo autista;
immaginiamo quanta terra coltivabile sarebbe
necessaria in più per supplire all'appetito
delle automobili.
Una solo fonte di energia non causa
riscaldamento globale ed è immediatamente
disponibile: l'energia nucleare. È vero che
bruciare il gas naturale invece del carbone o
del petrolio rilascia solo la metà dell'anidride
carbonica, ma il gas non combusto è un'agente
dell'effetto serra 25 volte più potente
dell'anidride carbonica. Anche una sola piccola
perdita è in grado di neutralizzare i vantaggi
del gas.
Le prospettive sono tristi, e pur agendo con
interventi migliorativi ci aspettano tempi duri,
come in guerra, e peggio sarà per le generazioni
a venire. Abbiamo vissuto nell'ignoranza per
molte ragioni: tra queste una importante è stata
il rifiuto dell'accettazione dei cambiamenti
climatici negli Stati Uniti, dove i governi non
hanno dato ai propri scienziati del clima il
supporto necessario. Le lobby verdi, che
avrebbero dovuto dare priorità al riscaldamento
globale, sembrano più interessate alle minacce
dirette alle persone, piuttosto che a quelle
dirette alla Terra, non accorgendosi che noi
tutti ne facciamo parte e siamo totalmente
dipendenti dalla sua salute.
Non c'è più tempo per sperimentare fonti di
energia utopistiche: l'umanità è in pericolo
imminente e deve utilizzare il nucleare -
l'unica fonte di energia sicura e disponibile -
ora, oppure soffrire le pene che presto gli
verranno inflitte dal nostro pianeta
oltraggiato.
articolo originale
James Lovelock: Nuclear power is the only green
solution We have no time to experiment with
visionary energy sources; civilisation is in
imminent danger
http://argument.independent.co.uk/commentators/story.jsp?story=524230
Se degli esploratori avessero fatto un’escursione al Polo Nord l’estate scorsa,
avrebbero dovuto fare le ultime poche miglia a nuoto. La scoperta d’acqua al
Polo da parte di una nave da crociera rompighiaccio a metà Agosto ha sorpreso
molti nella comunità scientifica.
Questa scoperta, insieme a due studi recenti, dimostra non solo che lo strato di
ghiaccio della terra si sta sciogliendo, ma anche che si sta sciogliendo a un
ritmo sostenuto. Uno studio di due scienziati norvegesi prevede che entro 50
anni l’Oceano artico potrebbe ritrovarsi privo di ghiaccio durante l’estate.
L’altro, uno studio di un gruppo di quattro scienziati americani, riferisce che
il vasto strato di ghiaccio della Groenlandia si sta sciogliendo.
La previsione che l’Oceano artico rimarrà senza ghiaccio durante l’estate non è
sorprendente, dal momento che uno studio precedente denunciava che lo spessore
dello strato di ghiaccio si è ridotto del 42 percento durante gli ultimi quattro
decenni. La superficie dello strato di ghiaccio è diminuita del 6 percento. La
diminuzione dello spessore e della superficie hanno ridotto la massa di ghiaccio
dell’Oceano artico di quasi la metà.
Nel frattempo la Groenlandia sta aumentando un po’ di ghiaccio nelle alte quote,
ma ne sta perdendo molto di più ad altitudini minori, particolarmente lungo le
sue coste meridionali ed orientali. L’enorme isola di 2,2 milioni di chilometri
quadrati (tre volte la superficie del Texas) sta perdendo circa 51 miliardi di
metri cubi ogni anno, una quantità uguale al flusso annuale del Nilo.
Anche l’Antartide sta perdendo ghiaccio.
Al contrario del Polo Nord, che è coperto dal Mare artico, il Polo Sud è coperto
dal continente antartico, una superficie uguale a circa tutti gli Stati Uniti.
Lo strato di ghiaccio a forma di continente, che è spesso circa 2,3 chilometri
(1,5 miglia), è relativamente stabile. Ma le sporgenze di ghiaccio, quella parte
delle lastre di ghiaccio che si estendono nei mari circostanti, stanno sparendo
rapidamente.
Un gruppo di scienziati americani ed inglesi ha riferito nel 1999 che le
sporgenze di ghiaccio in entrambi i lati della Penisola antartica si stanno
ritraendo. Da circa la metà del secolo fino a tutto il 1997, queste aree hanno
perso 7.000 chilometri quadrati, poiché lo strato del ghiaccio si è
disintegrato. Iceberg delle dimensioni del Delaware che si sono staccati
minacciano le navi che transitano in quei mari. Gli scienziati attribuiscono il
rapido scioglimento dei ghiacci ad un aumento della temperatura in quella
regione di circa 2,5 gradi Celsius (4,5 gradi Fahrenheit) a partire dal 1940.
Ma questi non sono gli unici esempi di scioglimento dei ghiacci. Lisa Mastny,
una mia collega che ha visionato una trentina di studi su questo argomento,
riferisce che il ghiaccio si sta sciogliendo quasi dappertutto e ad un ritmo
sostenuto (Cfr. Worldwatch News Brief de 6 Marzo, 2000).
La massa di ghiaccio e/o neve sta diminuendo nelle catene delle maggiori
montagne mondiali: le Montagne Rocciose, le Ande, le Alpi e l’Himalaya. Nel
ghiacciaio del Parco Nazionale del Montana, il numero dei ghiacciai si è ridotto
da 150 nel 1850 a meno di 50 ad oggi. Il Geological Survey prevede che i
ghiacciai rimanenti spariranno entro 30 anni.
Gli scienziati che studiano il ghiacciaio Quelccaya nelle Ande Peruviane
riferiscono che lo scioglimento del ghiaccio è passato da un ritmo di 3 metri
all’anno tra il 1970 e il 1990 ad un ritmo di 30 metri l’anno a partire dal
1990. Nelle Alpi europee, lo scioglimento dei ghiacciai del 35-40 percento dal
1850 continuerà con la stessa percentuale. Questi antichi ghiacciai potrebbero
sparire nella prossima metà del secolo.
La diminuzione delle masse di ghiaccio nell’Himalaya si è accelerata in modo
allarmante. Nell’India orientale, il ghiacciaio Dokriani Bamak , che si è
ritirato di 16 metri tra il 1992 e il 1997, nel solo 1998 è diminuito di altri
20 metri.
Lo scioglimento e la diminuzione delle masse di ghiaccio e/o neve non dovrebbe
sorprendere tanto. Lo scienziato svedese Svente Arrhenius avvertiva, all’inizio
del secolo scorso, che bruciare combustibili fossili avrebbe potuto aumentare il
livello atmosferico di anidride carbonica (CO2), creando un effetto serra.
Il livello di CO2 nell’atmosfera, stimato in 280 ppm (parti per milione) prima
della Rivoluzione Industriale, è aumentato da 317 ppm nel 1960 a 368 ppm nel
1999 – un aumento del 16 percento in soli quattro decenni.
Così com’è aumentata la concentrazione di CO2, è aumentata anche la temperatura
della terra. Tra il 1975 e il 1999, la temperatura media è aumentata da 13,94
gradi Celsius a 14,35 gradi, un aumento di 0,41 gradi Celsius o 0,74 gradi
Fahrenheit in 24 anni. I 23 anni più caldi, da quando si è cominciato, nel 1866,
a misurare la temperatura, si sono verificati tutti a partire dal 1975.
A rischio i rifornimenti idrici delle città e l’irrigazione delle campagne
I ricercatori hanno scoperto che un aumento modesto della temperatura di soli 1
o 2 gradi Celsius in regioni montagnose possono aumentare drammaticamente le
precipitazioni piovose, mentre possono diminuire quelle nevose. Il risultato è
maggiori alluvioni durante la stagione delle piogge, diminuzione delle masse di
ghiaccio e/o neve, e minore neve che si scioglie per alimentare i fiumi.
Questi "serbatoi nel cielo", dove la natura deposita acqua fresca da usare in
estate quando la neve si scioglie, stanno diminuendo ed alcuni potrebbero
sparire completamente. Questo danneggerà il rifornimento d'acqua delle città e
l'irrigazione di aree dove i fiumi ricevono le acque nevose.
Se l’enorme massa di ghiaccio e/o neve dell’Himalaya - che è la terza maggiore
nel mondo, dopo la Groenlandia e le lastre di ghiaccio dell’Antartico – continua
a sciogliersi, influenzerà il rifornimento d’acqua di gran parte dell’Asia.
Tutti i maggiori fiumi della regione – l’Indus, il Gange, il Mekong, lo Yangtze
e lo Yellow – nascono nell’Himalaya. Lo scioglimento dei ghiacciai dell’Himalaya
potrebbe alterare l’idrologia di vari paesi asiatici, compreso il Pakistan,
l’India, il Bangladesh, la Tailandia, il Viet Nam, e la Cina. Una quantità
minore di neve che si sciolga durante la stagione secca estiva e quindi non
alimenti più i fiumi potrebbe esacerbare la povertà che già colpisce tanti nella
regione. (Cfr. Issue Alerts 1 e 4).
E il livello del mare sale
Poiché il ghiaccio nella terra si scioglie e fluisce nel mare, il livello del
mare sale. Nell'ultimo secolo il livello è salito di 20-30 centimetri (8-12
inches). Durante questo secolo le previsioni sul clima fanno pensare che tale
livello potrebbe aumentare di 1 metro. Se le lastre di ghiaccio, che in alcuni
punti sono spesse 3,2 chilometri, dovessero sciogliersi interamente, il livello
del mare salirebbe di 7 metri (23 piedi).
Anche un aumento molto più modesto inciderebbe sulle pianure dell'Asia dove si
produce il riso. Secondo uno studio della Banca Mondiale, un aumento di 1 metro
del livello del mare danneggerebbe la metà delle risiere del Bangladesh.
Numerosi paesi depressi dovrebbero essere evacuati. I residenti di vallate
dell'Asia attraversate da fiumi e densamente popolate sarebbero sospinti
all'interno verso regioni già affollate. L'aumento del livello del mare
creerebbe milioni di rifugiati in paesi come la Cina, l'India, il Bangladesh,
l'Indonesia, il Vietnam e le Filippine.
Ancora peggio, lo sciogliersi del ghiaccio può accelerare l'aumento della
temperatura. Poiché il ghiaccio e/o la neve si sciolgono, la luce del sole si
riflette di meno nello spazio. Con più luce del sole assorbita da superfici che
riflettono meno, la temperatura aumenta anche più velocemente e lo scioglimento
del ghiaccio aumenta.
Ma non dobbiamo rimanere passivi mentre si svolge questo scenario
C'è ancora tempo per stabilizzare i livelli di CO2 prima che le emissioni di
carbonio causino cambiamenti climatici in una spirale senza controllo. Abbiamo
vento, energia solare e geotermica più che a sufficienza che possiamo sfruttare
economicamente per potenziare l'economia mondiale. Se dovessimo inglobare il
costo dello scompiglio climatico nel prezzo dei combustibili fossili, gli
investimenti si sposterebbero rapidamente verso le fonti energetiche più
favorevoli al clima.
Le maggiori case automobilistiche stanno lavorando su motori con celle a
combustibile. La Daimler Chrysler ha in programma di iniziare a mettere sul
mercato macchine di questo tipo nel 2003. Il combustibile scelto per questi
motori è l'idrogeno. Persino leader dell'industria petrolifera riconoscono che
alla fine passeremo da un'economia basata sull'energia del carbonio ad una
basata sull'idrogeno. Il problema è se riusciremo a fare questo passaggio prima
che il clima della terra sia stato alterato definitivamente.
Lester R. Brown
(Traduzione di Stefania Alatri)
Per altri dati in inglese:
Reah Janise Kauffman
Special Assistant to the Chairman & Director of International Publications
Worldwatch Institute
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telephone: 202 452-1992 X514
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