Il disastro di Bhopal del 1984, il più grave incidente chimico-industriale della storia, fu causato dal rilascio di 40 tonnellate di isocianato di metile (MIC), prodotto dalla Union Carbide, azienda multinazionale americana produttrice di pesticidi localizzata nel cuore della città di Bhopal, nello stato indiano del Madhya Pradesh.


Vista della Union Carbide di Bhopal

Il rilascio di isocianato di metile, iniziato poco dopo la mezzanotte del 2 dicembre 1984, uccise più di 3.000 persone, avvelenandone da 150.000 a 600.000; almeno 15.000 morirono come conseguenza dell'intossicazione. Alcune fonti affermano che il disastro provocò un numero ancora maggiore di morti e feriti. Nel novembre 2004 gli investigatori della BBC confermarono che la contaminazione era ancora attiva.

Era il 4 maggio 1980 quando il presidente della Union Carbide, Warren Anderson, premeva il bottone per l’avvio alla produzione del Sevin indiano. Il primo obiettivo dell'azienda era il SAFETY FIRST annunciato nelle sue campagne promozionali, ossia la sicurezza del personale innanzitutto, e per questo motivo l'azienda donò all'ospedale della città (l'Hamidia), l'attrezzatura necessaria per la rianimazione in caso di contaminazioni gassose e allestì un piccolo ospedale interno per eseguire tutti gli esami necessari al controllo dello stato di salute dei lavoratori e alla cura di eventuali disturbi respiratori. I medici che vi operavano non erano però stati istruiti circa patologie dovute a fughe di gas, in particolare di isocianato di metile.

Nel 1981 la produzione del Sevin si innalzò raggiungendo le duemilasettecento tonnellate, metà della capacità produttiva della fabbrica. Nello stesso anno, la “bella fabbrica” con il marchio della losanga blu ebbe il suo primo martire: Mohammed Ashraf, uno dei migliori tecnici dell'impresa, ucciso da una fuga di fosgene mentre cercava di riparare una tubatura rotta. Qualche goccia finì sui vestiti che indossava; Mohammed si precipitò a lavarli ma, prima, commise la fatale imprudenza di togliersi la maschera. A questo episodio seguirono altri incidenti, ma senza vittime. Il movimento sindacale di fabbrica, che reclamò una maggiore sicurezza e salari decenti, venne duramente colpito dalla Direzione della Fabbrica. Molti militanti sindacali vennero licenziati. La Carbide si giustificava affermando che le fughe di gas non superavano mai il livello di tossicità oltre al quale il rischio può essere fatale.

Nel maggio 1982, tre ingegneri americani appartenenti al centro tecnico della divisione dei prodotti chimici e delle materie plastiche di South Charleston, raggiunsero Bhopal. Dovevano accertare il buon funzionamento della fabbrica, nelle norme stabilite dalla Carbide per quel tipo d’azienda. Denunciarono in un'allarmata relazione che le immediate vicinanze dello stabilimento erano “disseminate di vecchi bidoni sporchi di grasso, tubi fuori uso, scorie chimiche suscettibili da provocare incendi”; denunciarono anche la scarsa professionalità di allacciamenti, la deformazione di parte delle apparecchiature, la corrosione di diversi circuiti, la mancanza di estintori nelle zone di produzione a rischio. Inoltre mancavano alcuni indicatori di pressione, e, a causa del deterioramento dei pannelli mobili risultava impossibile isolare gran parte dei circuiti. Il documento non criticava soltanto lo stato di degrado dello stabilimento, anche il personale non sembrava adeguatamente preparato e i metodi di istruzione erano insoddisfacenti, inoltre i verbali delle operazioni di manutenzione non erano precisi.

 

 

 

 

 

 


Ciò che resta oggi della "Bella fabbrica"

Durante il corso dell’anno, si vendettero solamente 2308 tonnellate di Sevin, meno della metà della capacità produttiva della fabbrica, e le previsioni per il 1983 erano ancora più pessimistiche. La crisi dell’82 condusse alla riduzione, ad ogni costo, delle perdite della fabbrica, portando al licenziamento del 40% del personale specializzato, per poi arrivare al numero totale di operai pari a seicentoquarantadue. Nell’estate ’83, la Union Carbide, consapevole del fallimento sospese la produzione, in previsione della definitiva chiusura dell'impianto per poi trasferirlo in altri paesi. 63 tonnellate di MIC restavano stivate come scorta nei tre serbatoi sottoterra, in modo da poter produrre la necessaria quantità di pesticida.

Nell’autunno del 1983 gli impianti di sicurezza vennero disattivati: sospesa la produzione, non aveva senso spendere denaro per mantenere in esercizio i sistemi d’allarme e intervento. La refrigerazione delle vasche del MIC fu interrotta, la sospensione della manutenzione ordinaria e lo spegnimento della fiamma pilota della torre di combustione, ultimo sistema di sicurezza per bloccare eventuali fughe di gas contaminante, furono sospese. Alla fine del 1983 a Bhopal non c’era più neanche un ingegnere. La “bella fabbrica” chiuse definitivamente Il 26 ottobre 1984. 63 tonnellate di isocianato di metile restavano nelle vasche non più refrigerate.

 

2 dicembre 1984, la fabbrica è ormai in disuso: manca un dipendente specializzato che possa svolgere l’unica attività ancora da svolgere, ossia l’eliminazione delle impurità dalle tubature delle tre vasche contenenti MIC per mezzo dell’acqua. Rimangono solamente 63 tonnellate di isocianato di metile nelle vasche, ma neanche uno degli impianti è operativo, delle tre vasche, solo una, con 42 tonnellate, è quasi piena. Violando le norme di sicurezza, il MIC viene conservato da circa due mesi a temperatura ambiente. Tutti gli allarmi sonori, che si attivano in caso di anormale rialzo della temperatura nelle vasche, sono stati disattivati. Anche la sera del 2 dicembre bisogna lavare i tubi. Il personale non specializzato di turno esegue gli ordini scritti sin dove possibile. Le istruzioni dicono: isolare le sezioni dei tubi, immettere acqua e lavare. Ma quella sera una delle saracinesche si è talmente incrostata che l’acqua non passa in nessun modo e la sua pressione aumenta. Tre ore sono passate dall’apertura dell’acqua e dal cambio di turno. Per una non corretta interpretazione degli ordini, o meglio a causa del degrado dell’impianto, le tubature non bene isolate causano la fuoriuscita dell’acqua che scorre verso la cisterna piena di MIC. È mezzanotte circa quando alcuni operai di guardia sentono uno strano odore nell’aria: cavolo lesso, l'odore dell’isocianato di metile allo stato gassoso. L’acqua è arrivata nella vasca provocando la reazione del MIC. Le 42 tonnellate di MIC si disintegrano in un’esplosione di calore che trasformerà rapidamente il liquido in un vortice gassoso. La pressione è sbalzata di colpo a trenta libbre al pollice quadrato, successivamente a 55. Il gas viaggia verso la torre di decontaminazione, dove dovrebbe trovare la fiamma del bruciatore pronta a incenerirlo. Ma la fiamma è spenta e il gas trova, come ostacolo, solo valvole chiuse. Quando le valvole saltano a causa della forte pressione, un geyser altissimo sprizza sopra l’impianto. Il sovrintendente di turno, pur non potendo bloccare l’eruzione della vasca 610, impedisce che la contaminazione si propaghi alle restanti 21 tonnellate di MIC della vasca 611. Ma il vento non risparmia la catastrofe, l'“Hiroshima chimica”, la nuvola “assassina”, dovuta all’esplosione del MIC, si dirige verso le bidonville dei quartieri poveri che si trovano nella Spianata nera, abbattendosi senza rumore su centinaia di migliaia di persone. Nelle strade le persone muoiono, tra spasmi, con polmoni e occhi in fiamme. Gli ospedali sono colmi di migliaia di agonizzanti che, diventati ciechi, soffocano e vomitano. I medici non sanno cosa fare. I tecnici della Carbide non hanno dato informazioni sulla composizione della nube tossica, non sono autorizzati, dicono, e quindi non è facile trovare un antidoto. Impossibile stabilire con esattezza il numero dei morti, furono sterminate intere famiglie, moltissimi senzatetto. I musulmani vennero sepolti in fosse comuni, gli indù bruciati a centinaia. Persero la vita all’incirca 8.000 persone solo nella prima notte, tra 20 e 30.000 morirono nei mesi successivi, si ebbero più di 500.000 intossicati.

L'incidente fu quindi causato dall'infiltrazione di acqua nel serbatoio dell'isocianato di metile. La reazione provocò la fuoriuscita di una grande quantità di gas tossico a causa dell'aumento di pressione. Il gas fuoriuscì mentre il "filtro chimico" che avrebbe dovuto trattarlo era fuori uso a causa di riparazioni. L'investigazione ha rivelato che non vennero applicate diverse procedure di sicurezza: i deflettori che avrebbero potuto impedire l'infiltrazione dell'acqua non erano stati utilizzati, i refrigeratori erano fuori uso, così come lo erano le torri antincendio che avrebbero potuto impedire la fuga di gas. Inoltre lo standard di sicurezza nell'azienda indiana non era all'altezza di tutte le altre aziende dell'Union Carbide.

Si dedusse che queste procedure di sicurezza erano state attenuate allo scopo di "tagliare i costi operativi". Documenti recenti emersi nel corso delle procedure di risarcimento coinvolsero il Distretto Federale di New York e rivelarono che la Union Carbide esportava frequentemente "tecnologia non collaudata" presso la sede indiana. Dopo la fuoriuscita, i medici locali non furono informati della natura del gas, impedendo di fatto i trattamenti sanitari e la conseguente pianificazione degli interventi. La Union Carbide smentì queste testimonianze sul sito web dedicato alla tragedia.

La maggioranza dei morti e dei feriti fu causata da edema polmonare, ma il gas causò tutta una serie di diversi disturbi.

 

Dopo la notte del 2-3 dicembre 1984, ben 145 azioni giudiziarie, che coinvolgevano circa 200.000 persone, furono promosse negli Stati Uniti contro la Union Carbide. Ma il Governo indiano intervenne ad assumersi il ruolo di paladino dei suoi cittadini e nel marzo 1985 venne promulgata una legge ad hoc, il Bhopal gas leak Act, per la quale il Governo si sostituiva alle vittime e molto democraticamente diveniva unico loro rappresentante in tutti i giudizi che erano stati instaurati o dovevano essere instaurati, in India o all’estero, per chiedere il risarcimento dei danni derivanti dal disastro di Bhopal. In questo modo le vittime non erano più legittimate ad agire personalmente per tutelare i loro interessi davanti a nessun tribunale del mondo. Nel Settembre 1986 il Governo indiano iniziò una causa contro la Union Carbide nel foro di Bhopal e di conseguenza le corti americane non ammisero nessuna delle cause anteriormente promosse, in base al principio del forum non conveniens, cioè della loro incompetenza di giurisdizione, e ponendo come unica condizione che la Union Carbide si sottomettesse alla giurisdizione delle corti indiane. Le decisioni furono confermate in appello.


Manifestazioni contro la Union Carbide

Nel novembre 1987, indipendentemente dal giudizio civile, il Central Bureau of Investigation indiano rinviò a giudizio la Union Carbide, la Union Carbide Eastern inc., la Union Carbide India Limited, Warren Anderson e otto managers indiani della Union Carbide India Limited con l’accusa di omicidio colposo e lesioni gravi, per aver provocato morti e danni permanenti attraverso l’esercizio irresponsabile di attività e di tecnologie altamente pericolose. Dopo circa due anni e mezzo dall’inizio del processo civile, la giurisdizione passò alla Corte suprema indiana la quale, dopo lunghe e tortuose trattative, raggiunse un accordo extragiudiziale tra il Governo indiano e la Union Carbide: la Union Carbide avrebbe pagato un risarcimento definitivo di tutte le pretese, diritti e responsabilità nascenti dal disastro di Bhopal.

Nel 1991 l’accordo di risarcimenti venne riesaminato da un tribunale indiano che decise per l’imputazione a carico della Union Carbide e di Warren Anderson. Né la multinazionale né il suo presidente si presentarono al processo e vennero quindi dichiarati latitanti. Il gruppo delle vittime sollevò la questione della costituzionalità del Bhopal Act, con riferimento all’attribuzione esclusiva al Governo indiano della legittimazione ad agire per il risarcimento dei danni, ma la Corte suprema respinse l’istanza con la motivazione che permettere ai singoli danneggiati di agire parallelamente al Governo, "sarebbe risultato così macchinoso che la procedura non sarebbe stata veloce, effettiva ed equa, non certo il sistema migliore e più vantaggioso per assicurare soddisfazione alle pretese nascenti dalla fuga di gas". Così il governo indiano, orgoglioso del suo salomonico giudizio, che, mentre non metteva in fuga le multinazionali presenti nel suo territorio, allo stesso tempo tutelava "nel miglior modo possibile" i suoi sfortunati cittadini, si incaricava anche dell’equa distribuzione tra le vittime della somma dovuta dalla Union Carbide: un risarcimento danni che in sedici anni non ha raggiunto ancora tutte le vittime o le ha raggiunte in misura inadeguata. Ecco perché giustamente esse si sono attivate per la seconda volta davanti alla District Court di New York, appellandosi all’Alien tort claims Act. Questa legge determina la giurisdizione delle Corti federali statunitensi per i processi instaurati da stranieri per illeciti civili commessi in violazione di un trattato degli Stati Uniti o del diritto delle nazioni, cioè del diritto internazionale consuetudinario.

Il 18 marzo 2003 si è però definitivamente spenta anche questa speranza di ottenere giustizia. I giudici newyorkesi hanno rigettato l’azione delle vittime di Bhopal, in quanto non legittimate ad agire: "il potere di agire è riservato per legge indiana esclusivamente al Governo indiano - motiva la Corte - e continuare questo processo sarebbe un’inammissibile ingerenza nella sovranità di un altro Stato; e comunque nessuna pretesa può essere avanzata dopo che è stato sottoscritto un componimento amichevole con la Union Carbide". Gli attori hanno allora dichiarato di voler agire limitatamente al risarcimento dei danni derivanti dall’inquinamento ambientale prodotto dalla fuga di gas, danni non contemplati né dal Bhopal Act, né tanto meno dalla transazione con la Union Carbide. Ma la corte ha rigettato anche questa azione sostenendo che la pretesa non può essere considerata interesse comune di tutti gli attori né di quelli da loro rappresentati e perciò non presenta gli estremi di una class action: "La Corte dichiara il caso chiuso e ordina che il cancelliere rimuova il fascicolo dalle cause pendenti davanti alla Corte. Così è deciso."

Il Governo di New Delhi ha aspettato otto anni prima di spiccare un mandato di arresto nei confronti di Warren Anderson e diciannove per chiederne l’estradizione. Eppure, seguendo i consigli provenienti da Washington, il governo indiano decise di alleggerire i capi d’accusa legati a Bhopal, trasformandoli semplicemente in accusa di “negligenza” anziché omicidio. Il problema non è solamente il numero degli anni di reclusione, che da 10 si riducono a 2, o la severità delle pene da infliggere ai singoli, piuttosto la legittima aspettativa di vedere riconosciute le responsabilità e, ancor di più, il diritto a risarcimenti, riparazioni, ripristini, bonifiche. Il 17 luglio del 2002 la Corte di Giustizia di Bhopal ha espresso il suo verdetto negativo, per lo stato del Madhya Pradesh:Anderson è un “assassino”. Il primo luglio del 2003, il Governo indiano trasmette al Governo USA i documenti per l’estradizione di Warren Anderson. Ma il 13 luglio del 2004, il governo USA respinge la richiesta di estradizione per Anderson poiché non ha inquadrato l’accusa nel processo della Corte di Bhopal. La battaglia legale è ancora aperta…

Richiesta di Risarcimenti Il 16 dicembre 1984 un gruppo di avvocati statunitensi arrivano a Bhopal, sono specializzati nell’ottenere risarcimenti per le vittime di incidenti. I milioni di bhopalesi coinvolti nel disastro della multinazionale rappresentano decine, forse centinaia di milioni di dollari di svariate indennità. La loro parcella ammonterà a circa un terzo del totale. Per ognuno di loro preannunciavano un risarcimento di un milione di rupie. Il Governo indiano e quello del Madhya Pradesh, nel 1985, richiedono alla Carbide un risarcimento di 3 miliardi e 300 milioni di dollari, per le vittime e le loro famiglie. Solamente nel 1989 fu raggiunta una transizione in base alla quale la Union Carbide si impegnava a pagare 470 milioni di dollari per compensare parenti delle vittime e sopravvissuti. Tuttavia dei 470 milioni di dollari versati dalla Carbide, pagate le parcelle degli avvocati che avevano lavorato per il governo indiano, e le tangenti ai funzionari corrotti, le vittime del massacro hanno avuto un obolo di 300 dollari, non coprendo neanche le spese mediche. Purtroppo l’unico risarcimento che gli abitanti di Bhopal hanno ottenuto riguarda solo quella percentuale di popolazione che fu colpita dal gas. Non vennero calcolati coloro che presentarono sintomi dopo qualche mese dall’incidente, nonché coloro che sono nati, dopo la catastrofe, da genitori “contaminati” e che presentano ad oggi malformazioni genetiche e malattie.

Gli abitanti di Bhopal, il governo del Madhya Pradesh, le associazioni non governative che si occupano degli aiuti alla popolazione, e non solo, esigono che la Union Carbide/Dow Chemical compaia, al più presto, di fronte a un tribunale indiano, provveda alle cure mediche e al riscatto economico dei sopravvissuti,

 

 

 

 

 

 

 


Altre manifestazioni contro la Union Carbide

 contribuisca al risanamento ambientale di Bhopal. Rifiutano l’ipotesi che con il risarcimento di 470 milioni di dollari la società abbia definitivamente assolto i propri obblighi. Quell’accordo fu stipulato tra la società e il governo indiano, non con le persone colpite dalla strage, nessuna vittima fu interpellata, e soprattutto non si tenne conto delle generazioni future. In più bisogna velocizzare il processo per l’estradizione di Anderson, senza alleggerire i capi d’accusa. Un secondo insieme di richieste riguarda il comportamento che dovrebbe essere tenuto dalla Dow, e l’abilitazione a vendere, ora e in futuro, sostanze tossiche: l’8 giugno 2000, l’EPA vietò di fatto l’utilizzo domestico del Dursban, un pesticida tossico prodotto dalla Dow Chemical. Sfortunatamente, secondo il criterio di due pesi e due misure per cui la Dow e altre multinazionali sono così famose, il Dursban viene prodotto e commercializzato in India. Una qualsiasi campagna che cerchi veramente di rendere giustizia ai morti e ottenere risarcimenti per coloro che sono ancora vivi, deve lavorare per fermare le attuali scorie della Dow.

Il CEO dell'Union Carbide di quel tempo, Warren Anderson, ritiratosi in pensione nel 1986, il 1 febbraio 1992 fu dichiarato contumace dalla Magistratura Indiana di Bhopal, in quanto, come imputato, non si presentò mai davanti alla corte che lo accusò di omicidio. La richiesta di arresto fu inviata al Governatore dell'India e venne inoltrata una richiesta di estradizione dagli Stati Uniti.

Molti attivisti affermarono che il governo indiano esitò a formalizzare l'estradizione per paura dei contraccolpi che i maggiori investitori stranieri avrebbero potuto provocare sull'economia indiana, in seguito alla sua liberalizzazione.

Vi fu inoltre un apparente disinteressamento da parte del governo statunitense, che fallì nel perseguire il caso, provocando forti proteste soprattutto da parte di Greenpeace.

Venne richiesto al Central Bureau of Investigation Indiano di diluire le pene richieste da omicidio colposo a negligenza criminale, ma tale richiesta venne rigettata dalla corte indiana. Attualmente Anderson è ancora latitante a seguito di una condanna da parte della giustizia indiana che in base alle prove dovrebbe condannarlo ad almeno 10 anni di carcere.

La Union Carbide dismise nel 1994 la sussidiaria indiana ad un'azienda locale produttrice di batterie. Nel 2001 la Dow Chemical acquistò la Union Carbide per 10,3 miliardi di dollari. La Dow Chemical ha dichiarato più volte che i risarcimenti erano pienamente sufficienti a compensare le responsabilità del disastro.

 


Queste due donne hanno ricevuto danni gravi ed irreversibili agli occhi causati dall' isocianato di metile

Nessuno saprà mai il numero esatto delle persone che perirono in seguito alla catastrofe di Bhopal, poiché non ne morirono solo nella notte tra il 2 e il 3 dicembre del 1984 e nei mesi susseguenti, ma anche negli anni successivi, e tuttora. A subire gli effetti della nube tossica fu più di mezzo milione di bhopalesi, tre abitanti su quattro della capitale del Madhya Pradesh. Dopo gli occhi e i polmoni, tra gli organi più colpiti c’erano il fegato, i reni, l’apparato digestivo e quello genitale, oltre al sistema nervoso e a quello immunitario. Innumerevoli vittime caddero in uno stato di spossatezza tale da rendere impossibile ogni movimento. Molti accusavano crampi, pruriti insopportabili, emicranie ricorrenti. Nei basti alcune donne non potevano accendere i fornelli per cucinare senza rischiare un’emorragia polmonare a causa del fumo. Migliaia di sopravvissuti privi di difese immunitarie si ammalarono di itterizia. Molti danni neurologici si manifestavano con convulsione e paralisi, che portavano al coma e alla morte. Tante anche le malattie di natura psicologica, come la sindrome da panico che faceva sprofondare i pazienti in uno stato ansioso incontrollabile. Bhopal conta oggi circa duecentomila persone affette da malattie croniche conseguenti alla tragedia, che ogni mese continua a mietere da dieci a quindicimila vittime. Migliaia sono ciechi, o hanno avuto i polmoni danneggiati in maniera tale da non poter più lavorare; in molti casi la respirazione è così limitata che non consente loro di camminare. Tuttora si manifestano casi di insufficienza respiratoria, tosse persistente, ulcerazione della cornea, cataratta giovanile, anoressia, febbri ricorrenti, ustione della pelle, depressione, stati di debolezza. Altissimi casi di cancro e di tubercolosi, numerosi disturbi ginecologici cronici, come assenza di mestruazioni o la loro comparsa 4/5 volte al mese, nonché menopausa precoce. Si notano infine fenomeni di ritardo nella crescita tra i giovani dai sedici ai vent’anni, i quali ne dimostrano appena dieci. Un recente studio condotto a Bhopal sui modelli di crescita degli adolescenti, pubblicato dal “Journal of American Medical Association”, ha trovato un ritardo nella crescita dei bambini maschi nati da genitori esposti a quella miscela gassosa. I bambini risultano più bassi, magri, e hanno la testa più piccola rispetto agli adolescenti di genitori non esposti e mostrano, inoltre, una crescita anormale in cui la parte superiore del corpo risulta proporzionalmente più piccola di quella inferiore. L’esposizione ai gas ha inoltre reso la popolazione vulnerabile alle infezioni secondarie: secondo il Consiglio Indiano delle Ricerche Mediche l’incidenza della tubercolosi nelle popolazioni colpite è tre volte più alta del livello nazionale per le popolazioni urbane. Sono state anche riscontrate aberrazioni dei cromosomi in misura insolitamente ampia nelle persone colpite. La Commissione Medica Internazionale su Bhopal ha pubblicato una ricerca durata diversi anni sugli abitanti dell’area della strage dalla quale emerge che molte persone che sembravano non essere state colpite dai gas mostrano oggi segni evidenti che il loro organismo è stato danneggiato. Malformazioni congenite colpiranno, purtroppo, anche le generazioni future dei sopravvissuti. Una ricerca scientifica, svoltasi nel gennaio 2002, sulle donne delle comunità confinanti con l’impianto, rivela la presenza di piombo e mercurio nel latte materno. Particolari tracce tossiche possono, anche, causare mutamenti nel codice genetico sia negli animali, nelle piante, come nell’uomo, causando malattie ereditarie nelle generazioni future.

 

 

Dato che la Carbide non ha mai rilevato l’esatta composizione della nube tossica, a tutt’oggi gli esperti non hanno potuto mettere a punto un protocollo terapeutico adeguato. Qualunque trattamento procura soltanto un sollievo temporaneo.


Il numero di morti all'Hamidia, ospedale di Bhopal, fu così elevato
che i corpi dovettero essere depositati nei cortili

L’assunzione di steroidi, antibiotici e ansiolitici, quasi sempre non fa che peggiorare i danni causati dai gas. Oggi Bhopal dispone di un numero di letti in ospedale quasi pari a quello di una grande metropoli. Ma, in mancanza di medici qualificati e di tecnici per la manutenzione e la riparazione di apparecchiature, gli immensi ospedali costruiti dopo la catastrofe sono in gran parte inutilizzati. Mentre i farmaci che vengono distribuiti dal Bhopal Memorial Hospital Trust, costruito dalla Carbide, sono o nocivi o inefficaci, o al tempo stesso sia nocivi che inefficaci. Tanta incuria ufficiale ha fatto fiorire decine di studi medici privati, ma due terzi dei medici che vi lavorano mancano della necessaria competenza. Di fronte a tale situazione, diverse associazioni hanno creato i loro propri centri d’assistenza, lavorando con medici specializzati e con cure alternative, come lo yoga e l’utilizzo di farmaci ayurvedici a base di sostanze vegetali naturali. Effettivamente la metà dei malati che li pratica ha recuperato la capacità respiratoria quasi normale e ha abbandonato le terapie mediche seguite da molti anni

 

Già nei primi anni dell’apertura della fabbrica, la Union Carbide iniziò a inquinare il sito dove sorgeva la sua industria. Infatti nei basti, che sorgevano vicino alla “bella fabbrica”, in uno dei loro pozzi si iniziò a sentire un forte odore pestilenziale. L’acqua era di uno strano colore biancastro, quei pozzi furono i primi a “scoprirsi” inquinati. Subito dopo questo episodio, la direzione della fabbrica fece delle analisi, i risultati furono così catastrofici che la stessa direzione ne vietò la divulgazione. I campioni di terra raccolti oltre il perimetro del reparto del Sevin avevano evidenziato un’elevata presenza di mercurio, cromo, nichel, piombo. Nell’acqua dei pozzi situati a sud, sud-est dell’industria, furono rilevati cloroformio, tetracloruro di carbonio e benzene. Una vera e propria contaminazione letale che i rappresentanti della Carbide non fecero nulla per eliminare. Il rapporto del 1982 avvertiva che, all’interno della fabbrica indiana, erano state riscontrate serie possibilità di fuoriuscita di materiale tossico in quantità considerevole, ma la Union Carbide non fece nulla per prevenire il disastro, anzi lo accentuò. Dopo la catastrofe della notte del 2-3 dicembre 1984, la Union Carbide abbandonò precipitosamente il sito industriale senza garantire alcun risanamento dell’area, lasciando sul posto enormi quantità di composti inquinanti. Gli isolanti dei tubi giacciono a brandelli, i solventi gocciolano sul terreno, sacchi abbandonati ancora pieni di prodotti tossici sono stipati negli angoli. Tonnellate di materiale e sostanze di scarto straripano, avvelenando le falde acquifere e i terreni di una comunità di ventimila persone. Infatti il terreno non è mai stato bonificato. Nel ’94 dopo varie proteste popolari e indignazione pubblica, 44 tonnellate di residui tossici catramosi erano stati rimossi. Ma nel novembre del 1999 Greenpeace ha condotto un’analisi del suolo, delle falde idriche e dei pozzi all'interno e all'esterno dell'impianto abbandonato della Union Carbide, trovando 12 sostanze chimiche tossiche e mercurio, un metallo mortale, in quantità fino a 6 milioni di volte superiori al previsto. La Carbide è accusata di violazione, anche, del diritto ambientale. Un nuovo studio del "The People's Science Institute" di Dehra Dun, il 30 settembre 2002, conferma la presenza di mercurio altamente tossico nell'acqua potabile di Bhopal, la cui concentrazione in alcune aree raggiunge i 2 microgrammi per litro, e avverte del grave rischio per la salute. La popolazione continua ad ammalarsi per l’acqua contaminata i cui valori di inquinamento sono 500 volte superiori agli standard previsti dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità. L’aria è tuttora satura di gas. Sempre Greenpeace presenta il 25 ottobre dello stesso anno delle "linee guida" per la bonifica del sito industriale abbandonato dalla Carbide al Primo ministro del Madhya Pradesh e contemporaneamente le consegna agli uffici della Dow in India, Europa e Stati Uniti. Ma sembra che le richieste non vengano ascoltate. La Dow Chemical ha sempre rifiutato di farsi carico delle conseguenze legali e finanziarie delle malefatte di Union Carbide Il 19 aprile del 2004, due attiviste e vittime di Bhopal, Rashida Bee e Champa Devi Shukla, hanno vinto il prestigioso Goldman Environmental Prize, a San Francisco, in California, una sorta di premio Nobel per gli ambientalisti. Hanno deciso di impiegare il premio di 125.000 dollari in un Fondo per le cure mediche dei bambini nati con difetti alla nascita dovuti all'esposizione dei genitori a quella miscela tossica, in progetti di sussistenza per gli inabili al lavoro ed in una ricompensa per gli attivisti che operano contro i crimini delle multinazionali in India. Le stesse attiviste hanno iniziato uno sciopero della fame, il 18 giugno, per ottenere che nessun "Certificato di Obiezione" venga prodotto dal governo indiano sulla bonifica e la decontaminazione del sito industriale della Union Carbide.

Gli interventi dell'azienda per ripulire l'impianto ed il suo circondario da centinaia di tonnellate di rifiuti tossici, si sono fermati lasciando tutto com'era in precedenza. Gli ambientalisti hanno avvertito che questi rifiuti costituiscono un potenziale pericolo nel cuore della città e la contaminazione che ne risulta potrebbe provocare un lento avvelenamento nel corso dei decenni causa di danni al sistema nervoso, al fegato ed ai reni. Gli studi hanno dimostrato che i casi di cancro ed altre malattie hanno subito un aumento nella zona dopo il disastro. Gli attivisti hanno chiesto alla Dow Chemical di bonificare l'area dai rifiuti tossici ed hanno fatto pressioni sul governo indiano affinché chieda un risarcimento più sostanzioso.

In un'inchiesta di BBC Radio 5 del 14 novembre 2004, è stato mostrato che l'area è ancora contaminata da 'migliaia' di tonnellate di sostanze chimiche tossiche tra cui esaclorobenzene e mercurio contenute in contenitori aperti o abbandonati sul terreno. Alcune aree sono così inquinate che chi vi si trattiene per più di una decina di minuti rischia una perdita di conoscenza. La pioggia trascina queste sostanze nel terreno contaminando pozzi e sorgenti d'acqua, i risultati delle analisi condotte per conto della BBC da laboratori di ricerca accreditati in Gran Bretagna mostrano livelli di inquinamento nell'acqua dei pozzi 500 volte superiore ai limiti di quel paese. Indagini statistiche condotte sulla popolazione residente nel luogo comparata con la popolazione di un'altra area in simili condizioni di povertà distante dall'impianto hanno mostrato una maggior incidenza di varie malattie nei pressi dell'impianto.

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