Qui di seguito sono state riportate le testimonianze di due persone che hanno vissuto quella drammatica notte tra il 2 ed il 3 dicembre 1984.
"Il giorno prima della perdita dei gas era domenica. La sera stavo giocando con
i miei amici e poi ci mettemmo a guardare un film alla TV. Credo che andai a
dormire verso le 9 di sera. Faceva freddo e ricordo che mi coprii con un
tappeto.
Nel mezzo della notte sentii un gran chiasso proveniente dalla strada. La gente
urlava "Alzatevi", "Fuggite, fuggite". "Stanno uscendo i gas". Mio fratello
maggiore Jawahar si alzò e disse: "Stanno tutti fuggendo, dobbiamo scappare
anche noi". Aprii gli occhi e vidi che la stanza era piena di fumo bianco.
Appena sollevai il tappeto dalla faccia, gli occhi cominciarono a bruciare e a
lacrimare e ad ogni respiro sentivo che tutto dentro di me bruciava. Avevo paura
ad riaprire gli occhi. Il gas entrava dentro di me dalla bocca, attraverso il
naso. Eravamo pronti a fuggire.
Tutti i miei fratelli e le mie sorelle, sei in tutto, uscimmo all'aperto. Mia
sorella aveva in braccio mio fratello piccolo, Rajesh. Mio padre si rifiutò di
abbandonare la casa e mia madre rimase con lui, così noi uscimmo e di corsa ci
dirigemmo verso la zona dove si fanno le cremazioni. Dopo un po' mia sorella e
il mio fratellino piccolo rimasero indietro, restammo divisi. Il gas era molto
denso e quindi non riuscivamo a vedere dove erano finiti. Noi quattro ci
prendemmo per mano per non perderci e continuammo ad avanzare. Mentre stavamo
correndo mio fratello Mahesh ed io inciampammo e finimmo in un fosso pieno di
acqua sporca.
Quando arrivammo alla strada principale vedemmo che c'era un mucchio di gente
che giaceva a terra. Non si capiva se erano morti o svenuti. Un uomo, Gupta,
stava dormendo con un tappeto che gli copriva la faccia. Mahesh si infilò sotto
il tappeto assieme a lui e fece posto anche per noi. Ma dopo un po' poiché non
si riusciva più a respirare ci tirammo su e ci dirigemmo verso la pensilina
degli autobus.
Passando davanti ad un negozio di elettricità vedemmo che c'erano dei bagni e
che erano chiusi. Mio fratello buttò giù la porta e tutti quanti ci infilammo
dentro. Io misi il mio cappotto sopra i mie fratelli più piccoli, Mahesh e
Suresh, e provai a farli dormire. Mio fratello maggiore restò fuori dalla porta
per vedere se passavano i miei genitori. Io gli dissi di entrare ma lui restò
fuori perché era preoccupato per i nostri genitori. Mio fratello cominciò a
vomitare ed allora alcuni persone del vicinato gli diedero dell'acqua da bere.
Nessuno parlava, noi stavamo seduti preoccupati per i nostri genitori. Io non
sapevo che il gas poteva uccidere ma mentre correvo avevo visto un bambino che
piangeva accanto alla madre che giaceva distesa sulla strada. La mia testa era
attraversata da pensieri terribili.
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Al mattino presto ci dirigemmo verso la nostra casa. Avevo gli occhi tutti gonfi
e il mio torace era tutto un dolore. Andando verso casa vedemmo molte vacche
morte lungo il ciglio della strada e accanto alle bestie c'erano anche molti
corpi umani. Mio fratello non riusciva a camminare così Mahesh ed io lo
prendemmo sotto braccio e lo spingemmo avanti trascinandolo con noi. Vicino alla
nostra casa vidi il nonno del mio amico Santosh steso a terra morto.
Balmukund, un nostro vicino stava morendo e lo portarono di corsa all'ospedale.
I miei zii, che vivono anche loro a Bhopal ma nella periferia, avendo saputo dei
gas erano corsi a cercarci. Erano terrorizzati per quello che avrebbero potuto
trovare. Fortunatamente ci trovarono tutti vivi. Più tardi quando insieme a mio
zio andai in un negozio per comprare dello zucchero di canna lungo la strada
vedemmo molti cadaveri di uomini, donne e bambini proprio davanti ai cancelli
della fabbrica della Union Carbide.
Poi cercai anche la nostra vacca e la trovai in una strada che tossiva. Il mio
cane era morto. Anche due miei amici, Santosh e Rajesh erano morti. I miei zii
portarono tutti noi nella loro casa che dista 15 chilometri. Ci sedemmo sotto un
albero e tutta la gente del posto venne a vederci. Poi, alcuni di essi si
organizzarono per trasportarci all'ospedale."
Aspettiamo con ansia ogni nuovo giorno. O meglio ogni nuova settimana,
nuovo anno. Ogni tanto ci sediamo e ci auguriamo di poter cancellare quel
giorno terribile dal calendario, sarebbe meraviglioso se si potesse fare
davvero. Il ricordo di quella notte tra il 2 e il 3 dicembre è per noi, sono
sicuro, come l'11 settembre per gli americani... Per le persone coinvolte è
stata la giornata più terribile della loro vita. Quella notte buia del 1984
è ancora una pagina aperta nella mia mente, come se fosse stato ieri...
Quella domenica, a mezzanotte e mezza, mi sono
svegliato tossendo e quando mi sono alzato e ho guardato attorno
la stanza era piena di un fumo biancastro
e gli occhi hanno iniziato a lacrimare. Ho chiesto a mia madre cosa
succedesse e mi ha detto solo di coprirmi bene con il lenzuolo e di tornare
a dormire. Nel frattempo lei andava nell'altra stanza a vedere come stavano
i nonni.
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Mia nonna disse "Non possiamo restare qui, andiamo all’ospedale Hamidia"...
Allora la mamma prese il mio fratellino, lo avvolse nel suo scialle, mentre
io mi attaccai al suo braccio e iniziammo a correre fuori. Tutti, davvero
tutti i vicini correvano. Il cielo era diventato
improvvisamente rosso. Io uscii senza neanche mettermi le
pantofole e ricordo ancora il pigiamino ridicolo che indossavo quella
mattina. Mio fratello era impietrito nelle braccia della mamma, non si
muoveva né apriva bocca. La mamma continuava a correre insieme a noi due
mentre i nonni arrancavano alle nostre spalle. A un incrocio perdemmo di
vista i nonni, ma mia madre non si perse d'animo e continuò a correre
gridando "Aiuto, qualcuno ci aiuti, vi prego!" ma attorno a noi c'era solo
gente che correva, urlava, piangeva e cadeva. I loro occhi erano come fuori
dalle orbite, il respiro affannoso e molti vomitavano o avevano la diarrea.
Vedevo la vita svanire attorno a noi quella notte,
ma noi continuavamo a correre, senza sosta... A un certo punto la mamma vide
un risciò e iniziò a correre incontro a questo mezzo insperato... In qualche
modo riuscì a salirvi, sempre con mio fratello e me. Non avevamo fatto molta
strada che si bucò una ruota. Né mamma né io avevamo alcuna forza di
muoverci e rimanemmo lì, in uno stato di semicoscienza fino a quando uno
straniero ci venne in aiuto... Era un uomo gentile. Ci portò a casa sua e la
moglie ci diede dei vestiti puliti ed una tazza di tè caldo per farci
riprendere, ma eravamo talmente esausti che ci addormentammo e basta...
La mattina dopo, mia madre li ringraziò e tornammo a casa, passando
attraverso immagini orrende ancora stampate nella mia memoria.
Indelebilmente. Le strade erano piene di carcasse di animali di ogni genere:
cani, capre, bufali, anche passerotti... Naturalmente, ed è la cosa
peggiore, c'erano anche corpi di persone: uomini, donne, bambini e vecchi.
C'era chi raccoglieva questi cadaveri per caricarli su un camion, qualcuno
piangeva, qualcuno urlava. La vista era peggio di ogni racconto che possa
farvi, non ho davvero parole per descrivere la devastazione di quella
mattina... Arrivati a casa, mi accorsi che le foglie e
i frutti del mandorlo erano diventati neri: i frutti,
addirittura, erano tutti a terra. Non potevamo ancora respirare bene e la
vista era un po'annebbiata. Arrivò la nonna e ci portò via da Bhopal.
Andammo dagli zii.
È eccitante come un romanzo crescere a Bhopal.
Ma il romanzo termina quando ti giri indietro e pensi al disastro di quella
notte. Il disastro è diventato parte della mia
esistenza, visto che ho passato l’intera infanzia in quella
città... Casa mia stava a un chilometro circa dalla fabbrica, ci passavamo
spesso. Quand'ero piccolo, passava spesso un camion che spruzzava un
pesticida per debellare le zanzare e interrompeva i nostri giochi. Il colore
e l'odore del fumo mi riportava sempre alla mente quella notte del 2
dicembre. Ogni volta che sentivamo il rumore del camion, ogni bambino
correva verso casa gridando "È il gas di nuovo, di nuovo, corriamo!". Era
solo un gioco, ma non tanto... Spesso, crescendo, pensavo con i miei amici
di andare alla fabbrica e vedere cos’era successo con la fuoriuscita di gas.
Ma avevamo sempre paura di farlo. Era come se vivessimo in una città con un
demone gigantesco che nessuno poteva cancellare o cacciare via. Ci sono
molti bambini come me che hanno vissuto tutta la loro vita vicino alla
fabbrica. Ma prego sempre che nessun altro bambino debba vivere un'infanzia
come la mia.
Prego
perché i bambini di tutto il mondo possano crescere in un ambiente sano e
non avere a che fare con una tragedia come quella con cui ho convissuto
io...