LA VITA DI SIDDARTHA GOTAMA      

     IL BUDDHISMO OGGI

CONCETTI BASILARI DEL BUDDHISMO

 

Al pari del Cristianesimo e dell'Islam, il Buddismo, nato come una grande "eresia" del Brahmanesimo, si è sviluppato come dottrina universale del riscatto dal dolore e della salvezza, nel lungo periodo di tempo che ha visto sorgere, affermarsi e decadere il sistema sociale basato sulla schiavitù, tra il sec. VI a.C. e l'VII d.C.

Oggi è praticamente la quarta comunità religiosa mondiale, dopo Cristianesimo, Islam e Induismo, e conta almeno 3-400 milioni di seguaci.

Il periodo storico che ha caratterizzato questa prima religione veramente universale è stato ricchissimo di fermenti culturali mondiali. Fra l'VIII e il VI sec. a.C. sono accaduti dei veri terremoti spirituali in tutte le civiltà superiori, dal bacino del Mediterraneo alla Cina.

Prendendo come punto di riferimento l'Illuminazione di Siddartha Gotama (circa 523 a.C.), abbiamo che in Grecia tramontano le antiche monarchie di origine sacrale e si sviluppa la filosofia di Pitagora da Samo, Eraclito da Efeso e quella degli Eleati. In Cina, ove insegnano Confucio e Lao Tsu, si estingue l'idealizzato periodo di "Primavere e Autunni". In Persia domina la religione di Zarathustra. A Roma crolla la monarchia. Nel Vicino Oriente declinano le civiltà teocratiche come quella egizia e assiro-babilonese.

In pratica gli uomini abbandonano progressivamente il primato dell'intelligenza intuitiva e ispirativa, e tendono a sviluppare l'intelligenza logico-discorsiva. Lo schiavismo ha bisogno di basi più solide per essere giustificato o, quanto meno, tollerato.

Questa nuova intelligenza delle cose cerca la verità delle cose nell'interiorità dell'essere umano o in un mondo visto con occhi più disincantati, con una mente meno disponibile a credere in spiegazioni mistiche o in tradizioni arcane.

Più in particolare si deve dire che il Buddismo conseguì un immediato successo perché nell'India del VI a.C. la religione brahmanica non solo esprimeva interessi meramente di casta, ma anche perché i sacerdoti, da mediatori tra uomini e divinità, avevano esaltato l'atto di mediazione, il rito, come atto assoluto, facendo dipendere la salvezza da un ritualismo alquanto formale e complicato.

I rapporti tra Buddismo e Occidente

In Europa le prime notizie sugli usi e costumi degli indiani dell'India e sulla religione buddista giunsero al tempo delle conquiste di Alessandro Magno (326-323 a.C.), il quale era rimasto molto colpito dall'ascetismo indù.

Più tardi il re indiano Asoka (III sec. a.C.) invierà dei monaci missionari presso i greci stabilitisi nelle regioni confinanti con l'India nord-occidentale. Si legge in uno dei suoi editti: "Non si deve considerare con riverenza la propria religione, svalutando senza ragione quella di un altro… poiché le religioni degli altri meritano tutte riverenza per una ragione o per l'altra".

Tuttavia, il nome di Buddha viene citato per la prima volta solo da Clemente di Alessandria (150-212 d.C.): questo, nonostante che la tradizione cristiana attribuisca già all'apostolo Tommaso la diffusione del vangelo in India.

Come fatto interessante va notato che la storia del Buddha venne ripresa e adattata ad un contesto cristiano nel libro Vita bizantina di Baarlam e Ioasaf, di contenuto edificante e di controversa datazione (VIII-IX sec.). Il santo Ioasaf non è altri che il Buddha sotto mentite spoglie. L'opera ebbe grande successo e diffusione in Europa, tanto da far accogliere il protagonista nel numero dei santi della cristianità.

Il periodo d'oro dei contatti tra Oriente e Occidente si realizza, pur in mezzo a terribili crociate, nel XIII sec.: dal francescano Giovanni da Pian del Carpine, che scrisse una Storia dei Mongoli, trattando con molto rispetto i buddisti, a Guglielmo di Rubruck, inviato da re di Francia, sino al famoso Marco Polo, inviato da Venezia, che nel Milione esprime la sua ammirazione per la figura del Buddha..

Alla fine del '400, quando gli europei scoprirono la via del mare per andare in Asia, il dialogo si trasformò subito in conquista. Navigatori, commercianti, soldati e missionari portoghesi, spagnoli, francesi e inglesi avevano ben altro da fare che interessarsi del Buddismo. Tra i missionari cristiani interessatisi allo studio delle lingue orientali per comprendere i Canoni, si possono ricordare Francesco Saverio per il Giappone, Matteo Ricci per la Cina, Roberto de Nobili per l'India e Ippolito Desideri per il Tibet.

Bisogna comunque aspettare il 1735 prima di avere, a Parigi, una pregevole Descrizione dell'Impero della Cina e della Tartaria cinese, ad opera di P.G.B. du Halde, il quale si serve delle memorie di 27 missionari.

Ma un vero interesse per le lingue orientali e quindi anche per i testi delle religioni asiatiche matura solo nel XIX sec., allorché E. Burnouf scrisse l'Introduzione alla storia del Buddhismo indiano.

Da allora la conoscenza del Buddismo si è progressivamente approfondita e precisata.

 

Successo della predicazione

Scoperta la vera via, Buddha, che intanto si è già circondato di vari discepoli, comincia con loro a predicare il Dharma (legge, regola della dottrina buddista) per tutta l'India, a partire da Benares e rivolgendosi (diversamente dai brahmani) alla gente comune, usando i loro idiomi locali. Si forma anche una comunità femminile.

Dopo circa 40 anni di pellegrinaggio e di insegnamento, egli morì, avvelenato da cibi guasti, e fu cremato dai suoi discepoli secondo il rito indiano (circa 480 a.C.).

Nel III a.C. il re Asoka, capo di una dinastia che lottava per unificare sotto il suo dominio la maggior parte dell'India, si convertì al Buddismo e contribuì alla sua diffusione, dentro e fuori dell'India, facendone una religione di stato.

Il Buddismo infatti tornava comodo alla dinastia Maurya, originaria di una bassa casta, la quale, dopo aver cacciato i conquistatori greco-macedoni (324 a.C.), e portato a termine l'unificazione nazionale a prezzo di terribili carneficine, aveva bisogno di ordine (e le comunità buddiste erano strutturate con molta disciplina), nonché di un'ideologia nazionale (e il buddismo non era in rapporto coi culti tribali locali, inoltre con la sua dottrina della "non resistenza al male" poteva aiutare i governanti a tenere il popolo sottomesso).

E così i missionari buddisti cominciarono a diffondere la Legge del Buddha oltre i confini dell'India, soprattutto in Asia (Kashmir, Himalaya, Birmania, Thailandia), in Africa (Egitto), ma anche lungo le sponde del Mediterraneo (Siria, Egitto, Macedonia, Epiro).

 

Le prime comunità

Nei primi tempi della sua predicazione, il Buddha non ebbe in mente d'imporre una particolare disciplina monastica. Dovrà però farlo quando si troverà ad essere il capo di un Ordine.

All'inizio i discepoli provenivano dai ceti più elevati. Venivano esclusi i debitori, gli schiavi, i malati contagiosi, gli incurabili, gli eunuchi, gli assassini, i minori di 15 anni di età e coloro i cui tutori legali si opponevano.

Le maniere di vivere il Buddismo sono, ancora oggi, fondamentalmente due: l'appartenenza all'Ordine composto da monaci (bhiksu) o monache (bhiksuni) e la confraternita dei laici (upasaka).

Il monaco deve avere la testa rasata, non deve portare barba e baffi; la sua tunica dev'essere ampia e di colore giallo-arancione; una ciotola appesa alla cintura sta a indicare che la questua è il suo unico mezzo di sostentamento; il suo vitto-base dovrebbe essere costituito da pane e acqua, brodo e riso cotto, e comunque egli non deve ingerire alcun alimento solido tra mezzogiorno e l'alba del mattino successivo. Unici oggetti personali, oltre a quelli detti, un paio di scarpe,un rasoio, un ago (per tunica, saio e mantello) e un filtro per l'acqua.

Egli non può esercitare un mestiere remunerato e può ricevere doni solo in natura, non in denaro. Il celibato è d'obbligo.

Il monaco pratica, circa una volta al mese, la confessione pubblica delle proprie colpe, guidata dal monaco più anziano: sono previste le relative penitenze, specie per chi non si pente (i precetti sono 227).

Il monaco non deve essere causa di dolore per alcun essere vivente (animali inclusi).

Sul piano rituale, il Buddismo rifiuta le cerimonie raffinate tipiche del brahmanesimo e proibisce ovviamente i sacrifici di animali. Il culto è diretto da monaci che leggono i testi canonici; i laici non prendono parte attiva alle cerimonie divine.

I monaci devono essere continuamente in viaggio per diffondere la Legge del Buddha: non hanno quindi fissa dimora; i monasteri sono solo luoghi d'incontro per i giorni di ritiro e per il periodo delle piogge (luglio-ottobre), in cui vige la proibizione di uscire dal monastero, anche per la questua. Possono anche curare l'istruzione religiosa dei giovani.

Molto praticati i pellegrinaggi presso i luoghi che ricordano le tappe della vita del Buddha.

Non avendo lo stato monacale un valore di investitura divina, il monaco può tornare allo stato laicale se non ha più intenzione di seguire le regole dell'ordine.

 

Il Buddismo è una religione?

Buddha non negò esplicitamente l'esistenza degli dèi brahmani, ma questi -secondo la sua filosofia- non possono evitare all'uomo le sofferenze della vita, per cui credere o non credere in loro non cambia le cose. Il cammino che porta alla salvezza l'uomo -secondo Buddha- deve trovarlo da solo.

D'altra parte anche le divinità sono, per il Buddismo, soggette al samsara, e l'Assoluto o l'Eterno non corrisponde che al concetto di Vacuità (sunyata). Il Brahman è il nulla (la differenza dall'Induismo è evidente).

Le domande metafisiche o teologiche sull'essenza del mondo, sull'origine dell'universo ecc. vengono considerate inutili ai fini dell'Illuminazione. Anche la Cosmogonia è ridotta a pochi enunciati.

Il Buddismo vuole porsi come filosofia di vita e soprattutto come pratica meditativa. Nel momento dell'Illuminazione il Buddha avrebbe intuito un preciso imperativo etico: "liberarsi dalle opinioni". L'atteggiamento quindi vuole essere di tipo anti-dogmatico. "La dottrina è simile a una zattera -disse il Buddha -, serve per attraversare e non trasportarsela sulle spalle".

Questo ovviamente non significa che il Buddismo, al pari di ogni altra religione, non abbia i propri dogmi, i propri canoni, i propri riti e persino il proprio misticismo.

Va inoltre considerato che se si accetta l'idea che la divinità sia il "totalmente altro", non si può escludere l'ipotesi che il Buddismo sia anche una religione.

è stata proprio questa particolare forma di "ateismo implicito" o, se vogliamo, di "apofatismo religioso" che per molti intellettuali occidentali ha fatto del Buddismo un oggetto di interesse e di studio: si pensi a Schlegel, a Schleiermacher, ma soprattutto a Schopenhauer, a Hesse (di quest'ultimo è famoso il libro Siddharta). In Italia molto noto fu il libro di Liliana Cavani, Vita di Milarepa. Grande successo ha avuto il recente film di B. Bertolucci, Piccolo Buddha.

 

Comportamento sociale

Sul piano del comportamento sociale, il Buddismo rifiuta il sistema brahminico delle caste e riconosce l'uguaglianza formale di tutti gli uomini ("formale" perché di fatto con la dottrina della "non resistenza al male" esso disarma spiritualmente il popolo di fronte agli sfruttatori). Ogni uomo ha uguali possibilità di salvezza morale, poiché tutto dipende dalla sua volontà.

Il buddista ama non tanto il singolo, quanto il genere umano. Non si difende dal male ricevuto, non si vendica, non condanna chi commette un omicidio. Nel complesso il buddista ha un atteggiamento di indifferenza per il male, rifiutando soltanto di non compierlo.

D'altra parte -dice il Buddismo- "chi ha sana la mente non compete col mondo né lo condanna: la meditazione gli farà conoscere che nessuna cosa è quaggiù durevole, salvo gli affanni del vivere".

Il buddista sostanzialmente è convinto che chi compie il male, vedendo la non-reazione da parte di chi lo subisce, ad un certo punto si renderà conto che è inutile continuare a compierlo.

 

La condizione della donna

Durante la sua predicazione, il Buddha sostenne sempre una fondamentale misoginia, al pari di tutti i filosofi dell'antichità.

La donna era vista come una fonte di tentazione del tutto incompatibile con la vita ascetica; essa ovviamente non veniva condannata come persona, ma piuttosto come potere di seduzione che porta a quell'attaccamento per la vita che, attraverso le generazioni, perpetua la condizione di "essere nel mondo" e vincola, di conseguenza, l'individuo al suo dolore, alla sua cieca ignoranza, alla ruota delle rinascite.

Poiché l'amore e l'unione sessuale sono -secondo Buddha- le forme più primordiali in cui si manifesta la sete di vita, il Buddismo classico non poteva che negare alla donna la possibilità di giungere al Nirvana: l'unica condizione, per una donna, era quella di estinguere in sé tutto ciò che è femminile, cioè in sostanza sforzarsi di sviluppare un pensiero maschile al fine di poter rinascere come "uomo".

Solo dopo molte discussioni e polemiche, il Buddha consentì ad ammettere le donne fra i suoi discepoli, in comunità ovviamente separate, soggette a regole analoghe e, in più, alla sorveglianza da parte dell'abate della più vicina comunità monastica maschile, con l'obbligo inoltre di obbedire ai monaci maschi di qualunque età. A queste condizioni era possibile anche per loro raggiungere il Nirvana.

Questa forma di maschilismo è venuta attenuandosi col tempo, fino al punto che si è cominciato a produrre, sul piano artistico, delle figure mitiche del Buddha con aspetti femminili.

Va detto tuttavia che il Buddismo non interviene negli aspetti della quotidianità e neppure nelle vicende fondamentali della vita, come il matrimonio e la nascita dei figli, i cui riti si basano sempre su usanze locali.

Le regole di condotta previste dal Buddismo per la vita matrimoniale sono essenziali, basate sostanzialmente sul buon senso e quindi praticabili da chiunque.

Due scuole fondamentali

Intorno al I sec. d.C., il Buddismo si divide in due tendenze fondamentali, ognuna delle quali, a sua volta, si suddivide in una trentina di correnti:

HINAYANA o "piccolo veicolo" (stretta via della salvezza), che richiede una rigorosa osservanza delle otto vie. I seguaci di questa corrente ritengono che solo i monaci possono raggiungere il Nirvana. Non considerano Buddha un dio, ma solo un maestro di perfezione morale. Si dedicano alla predicazione, allo studio dei testi canonici, alla venerazione dei luoghi legati alla vita di Buddha, ecc. Questa corrente nega recisamente l'esistenza dell'atman (l'io individuale), ammessa invece dal Brahmanesimo, e ritiene inutili i riti, le devozioni, i simboli e i sentimenti religiosi. Essa si è diffusa soprattutto in Birmania, Thailandia, Laos, Cambogia e soprattutto Sri Lanka.

MAHAYANA o "grande veicolo" (larga via della salvezza), che permette la salvezza anche al laico, in forme meno rigide. La scuola Mahayana, che peraltro sostituì la lingua Pali, usata dal Piccolo Veicolo, con il Sanscrito, costituisce lo sviluppo del Buddismo in senso filosofico, mistico e gnostico. Essa riconosce un gran numero di divinità, fra le quali annovera lo stesso Buddha. Anzi, Siddartha Gotama non sarebbe che uno dei buddha: ne esisterebbero altre centinaia (sovrani del paradiso, del futuro, del mondo ecc.) . Concezione, questa, che permetterà al Buddismo di assimilare facilmente altre religioni.

Oltre ai buddha vi sono i santi, cioè coloro che, pur avendo acquistato il diritto d'immergersi nel Nirvana, hanno deciso di restare ancora un po' di tempo sulla terra per salvare gli uomini. I mahayanisti, a differenza degli hinayanisti, credono anche negli spiriti maligni e in altri esseri soprannaturali, nonché nella differenza tra paradiso e inferno, e negano l'esistenza dei dharma come entità a se stanti. Nel paradiso si trovano le anime dei giusti (anche laici) che devono incarnarsi ancora una volta sulla terra prima di raggiungere il Nirvana. Questa corrente, che praticamente non ha nulla del Buddismo originario (che, nonostante tutto, era rimasto un movimento elitario), si è diffusa tra il II e il X sec. nell'Asia centrale, nel Tibet, in Cina, Vietnam, Corea e Giappone, Mongolia e Nepal (per qualche tempo anche in Birmania, Indonesia e India settentrionale).

 

 

Il Buddismo Zen

La corrente più mistica del Buddismo è lo Zen, introdotto in Cina nel VI sec. e arrivato in Giappone nel XII, dove divenne la religione dei samurai.

Esso sottolinea l'indivisibilità del Buddha da tutto ciò che esiste: l'uomo quindi può e deve raggiungere, già in questo mondo, l'unità con la divinità. Ciò può avvenire solo tramite un'Illuminazione interiore, istantaneamente, in condizioni eccezionali, provocate anche da stimoli fisici, poiché la verità non può essere raggiunta razionalmente, né può essere espressa in concetti.

Uno degli stimoli preferiti, in tal senso, è il senso del bello (che include l'arte di disporre i fiori, la cerimonia del tè, la sobria raffinatezza della casa, ecc.). Il controllo della respirazione è una tecnica fondamentale.

In questa scuola il monaco può avere famiglia.

 

Iconografia

Per quasi quattro secoli la raffigurazione umana del Buddha, in osservanza alla liturgia aniconica delle primitive scuole buddiste, si limitava a semplici immagini simboliche: impronta dei piedi, un trono vuoto, un turbante, un cavallo senza cavaliere.

Attraverso la diffusione del Buddismo nel mondo asiatico, e grazie soprattutto all'emergere della tradizione mahayana, si attuarono, a partire dal II sec. d.C., sensibili modificazioni nell'iconografia. Il Buddha in sostanza diventa un "superuomo", con un corpo "glorioso": il turbante, nella statuaria, è stato tradotto come una protuberanza del cranio; l'urna tra le sopracciglia; l'impronta della ruota della Legge sul palmo della mano o sulla pianta dei piedi; il lobo delle sue orecchie tre volte più lungo del normale.

Il Buddha esprime, a seconda degli atteggiamenti, meditazione, rassicurazione, carità, testimonianza (nell'iconografia tantrica il fiore di loto rappresenta la compassione).

 

Espansione geografica e declino storico

Poiché nel Buddismo non esiste alcunché di etnocentrico, la sua diffusione fu quasi immediata. Nel I sec. della nostra era aveva già raggiunto la Cina; i cinesi lo portarono in Corea e, nel VI sec., i coreani lo introdussero in Giappone, dove, in meno di 50 anni, divenne la religione di stato (VII sec.).

Al di fuori dell'India, il Buddismo riuscì facilmente a soppiantare i vecchi culti, ma a condizione di trasformarsi in una religione emotiva e ritualistica, disposta ad accettare varie divinità celesti e spiriti infernali, facendo altresì largo uso della musica e delle arti figurative, delle danze sacre e di fastose processioni.

La decadenza del Buddismo cominciò a verificarsi a partire dal VII sec., dapprima in India, con la rinascita del Brahmanesimo, poi, soprattutto nei secoli IX-XV, in Asia centrale, Afghanistan, Indonesia e di nuovo in India, a causa delle invasioni musulmane.

Si calcola che almeno 200 milioni di buddisti, che si trovavano in Pakistan e Bangladesh, vennero convertiti a forza all'Islam. A tutt'oggi è rimasto religione di stato solo in Thailandia e Buthan.

 

L'attuale Dalai Lama

 

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