La letteratura buddista attribuisce la nascita del
movimento al principe indiano Siddharta, poi conosciuto col nome di Gotama, che
sarebbe vissuto nel VI sec. a.C. (pare sia nato intorno al 563 a.C.), cioè in un
periodo storico già caratterizzato dalla disgregazione della primitiva comunitÃ
indiana, cui veniva sostituendosi una società basata sullo schiavismo e sulla
divisione in classi sociali contrapposte.
La religione dominante dell'India, il Brahmanesimo, subì una crisi: aumentò
nettamente l'insoddisfazione per l'ingiusta struttura di casta e per l'arbitrio
dei sacerdoti brahmani, il cui potere (quasi assoluto nella vita civile)
cominciava ad essere minacciato da dinastie guerriere.
Va inoltre detto che nel periodo in cui i rapporti schiavistici si rafforzarono
(specie nell'India settentrionale), il Brahmanesimo, religione della societÃ
schiavistica primitiva, che rifletteva la frantumazione delle comunità tribali,
non poteva più servire come base ideologica per i grandi dispotismi schiavistici
che si andavano formando.
Siddartha era figlio del governatore di uno dei piccoli e bellicosi regni
dell'India del nord, tra il Gange e il Nepal. La stirpe guerriera era quella
degli Sakya ("potenti"). Egli trascorre la prima parte della sua esistenza nel
lusso e nella mondanità della casa paterna, dove riceve un'educazione legata al
suo rango, acquisendo anche nozioni di legislazione e di amministrazione.
A 16 anni il padre lo fa sposare e dopo 13 anni ha un figlio, ma proprio all'etÃ
di 29 anni decide di abbandonare tutto e tutti.
Infatti, non avendo mai conosciuto alcun aspetto veramente negativo della vita,
in quanto non era mai uscito dai confini del proprio palazzo, rimase un giorno
letteralmente sconvolto al vedere, in un villaggio, un vecchio decrepito, un
malato grave e un corteo funebre. Improvvisamente capì che esistevano anche le
malattie, la vecchiaia e la morte come destino universale degli esseri umani.
Infine incontrò un povero asceta che aveva rifiutato volontariamente ogni
ricchezza e piacere della vita e che errava felice per la campagna: decise così
di seguire il suo esempio.
In quei tempi, che segnavano l'inizio della speculazione filosofica indiana,
svincolatasi dal ritualismo vedico, non erano pochi gli uomini (specie della
casta dei guerrieri), e talvolta anche le donne, che abbandonavano il mondo per
dedicarsi a una vita di meditazione e ascesi secondo le ben collaudate tecniche
dello yoga.
Il Buddha dunque visse per sette anni nella foresta, sottoponendosi - sotto la
guida di vari maestri -a digiuni, sofferenze e privazioni d'ogni genere, al fine
di conseguire la pace interiore e la conoscenza della verità . Ma non rimase
soddisfatto di questa vita.
Abbandonò ogni maestro e decise di ricercare da solo la via della Liberazione (mukti).
A 35 anni, giunto alla soglia della morte per esaurimento, una notte -secondo la
tradizione-, mentre era seduto ai piedi di un albero, sprofondò nei suoi
pensieri pervenendo all'"Illuminazione" (Buddha infatti significa "illuminato" o
"risvegliato"). Essa consisteva nel rifiutare sia una vita di piaceri, perché
troppo effimera, che una vita di sofferenza volontaria, perché fonte di
orgoglio.