Le Quattro Nobili VeritÃ
Al momento del "Risveglio", Siddartha, credette di
riconoscere quattro verità fondamentali dell'esistenza:
la realtà dell'esistenza personale e del mondo esteriore è dolore, consistente
nell'invarianza delle sue condizioni: nascita, malattia, morte, mancanza di ciò
che si desidera, unione con ciò che dispiace, separazione da ciò che si ama;
l'origine del dolore è il desiderio di esistere, il bisogno del piacere e anche
il suo rifiuto;
questa sete generatrice delle rinascite va estinta nel Nirvana (il desiderio va
eliminato);
la via che conduce all'arresto del dolore è il Dharma (cioè l'Ottuplice
Sentiero).
Insomma, Siddartha ad un certo punto s'era reso conto che l'ascetismo estremo
non faceva che respingere a livelli più profondi di coscienza, rafforzandoli,
gli impulsi e gli istinti ch'egli presumeva di sradicare.
La retta via -disse Buddha- sta nel mezzo (Via Mediana). Il segreto della
felicità sta nell'accettarsi così come si è, rinunciando ai desideri, la cui
consapevolezza rende infelici non meno della loro realizzazione. Infatti ogni
desiderio soddisfatto porta a maturarne un altro ancora più grande. Rinunciare
ai desideri significa rinunciare a una inutile sofferenza. La condizione suprema
della felicità è quella del Nirvana, in cui l'uomo è felice pur non
desiderandolo, è felice perché ha vinto l'Illusione cosmica (maya).
La legge della causalitÃ
Nel Sermone di Benares, con cui il Buddha inizia la sua
predicazione, viene chiaramente negata l'essenza a tutte le cose, motivando ciò
col fatto che ogni cosa trae la propria realtà da altre, che ne sono la causa.
Solo il Nirvana sfugge a tale destino, in quanto non è uno "stato", bensì una
"condizione" di assenza (non c'è morte e vita, gioia e dolore…). Lo stesso "io"
non è che una successione di stati di coscienza fondati su un insieme di
psichismi, sensazioni e parvenze fisiche. L'io, se lo si intende come "realtà ",
non è che un'illusione.
Il Buddismo infatti parte dal presupposto che tutta la vita è dolore, esso cioè
da per scontato che i desideri non possono realizzarsi e che, anche quando lo
sono, non procurano la felicità , poiché ne sorgono altri di grado superiore o di
diversa natura. In tal senso anche il piacere è dolore, in quanto implica
adesione a qualcosa di estraneo.
L'origine del dolore è la "sete" o desiderio, che può essere di tre tipi:
piacere, voler esistere, non voler esistere, e vi sono tre radici del male:
concupiscenza (brama), ira (odio) e ottenebramento (cecità mentale).
L'io che non riesce a sottrarsi a questa schiavitù, è destinato a reincarnarsi (samsara)
in eterno, almeno fino a quando non si sarà purificato interamente.
I
dharma
Secondo i buddisti l'io non è un'entità individuale (come
nelle Upanishad), ma è una combinazione di particelle diverse (dharma o qualitÃ
spirituali), di tipo sensitivo, volitivo, percettivo e di impulsi innati:
non esiste l'unitarietà dell'io né la sua personale immortalità .
Le parti costitutive dell'io, o meglio, i fenomeni psico-fisici dell'esistenza vengono classificati come Aggregati, Basi ed Elementi.
Gli Aggregati sono cinque:
- Forma o Materia (il proprio corpo, elementi fisici del mondo);
- Sensazioni;
- Nozioni o Ideazioni;
- Costruzioni psichiche soggettive o propensioni karmiche (complessi innati
derivati dall'ignoranza);
- Coscienza (scorrere dei pensieri).
Le Basi sono dodici:
sei sono interne:
occhio, orecchio, naso, lingua, corpo e mente, cui corrispondono
sei sono esterne:
visibile, suono, odore, sapore, tangibile, idee.
Gli Elementi sono diciotto:
sei basi interne;
sei basi esterne
e le rispettive conoscenze che tuttavia costituiscono l'elemento mentale: le
idee, per cui si può parlare di 17 elementi effettivi.
Questa triplice classificazione è basata sul fatto che il modo di apprendere è
diverso tra gli esseri umani: può essere conciso, normale, prolisso, ecc.
In altre parole i dharma costituiscono l'infinita varietà dei modi della realtÃ
e quindi gli infiniti accadimenti della nostra esistenza, frutto di azioni
compiute in passato e semi di eventi futuri.
Io e Mondo sono il risultato dell'unione di vari dharma, che fluiscono
continuamente in un perenne gioco di associazioni e dissociazioni, di
aggregazioni e disgregazioni, guidato dalla legge etica del karman, che è una
sorta di principio retributivo (preso dal Brahmanesimo), secondo cui i dharma
sono costretti a reincarnarsi finché l'io non si è purificato: l'uomo deve
rispondere sia della vita trascorsa che della vita passata nelle generazioni
precedenti. Questa circolazione o flusso dei dharma è la ruota della vita da cui
appunto ci si deve liberare.
L'Ottuplice Sentiero
Sul piano pratico il buddista, per arrivare
all'eliminazione dei desideri, deve seguire le otto vie fondamentali del Dharma:
retta visione, per cui si contempla la realtà com'è, senza inquinarla coi propri
complessi inconsci, abitudini inveterate, pregiudizi, ripugnanze innate,
limitazioni caratteriali, memoria automatica ecc.
retto pensiero, possibile solo con un esercizio ininterrotto del controllo della
propria rappresentazione concettuale;
retta parola, cioè sua perfetta corrispondenza, senza enfasi né sciatteria, con
l'oggetto enunciato;
retta azione, che è l'agire esattamente quando e quanto sia necessario;
retta forma di vita, cioè il saper mediare fra le necessità della vita fisica
sulla terra e i fini spirituali che ognuno si propone di conseguire;
retto sforzo, cioè saper adeguare esattamente ogni iniziativa all'importanza
dello scopo da conseguire;
retta presenza di spirito, cioè costante ricordo di quanto si pensa, si fa e si
sente, in modo da essere continuamente presente a se stesso;
retta pratica della meditazione, senza sostare con la mente in stati d'animo
depressi o esaltati.
Il Nirvana
Seguendo queste otto strade l'uomo giunge alla perfezione e
sprofonda nel Nirvana, il quale -secondo la scuola Mahayana- rappresenta il
completo annientamento o non-essere, raggiungibile anche in vita e quindi
definibile in senso positivo, come stato di pace totale e di gioia assoluta e di
verità ultima, che però solo gli illuminati scorgono.
Viceversa, seconda la scuola Hinayana, il Nirvana sfugge a qualsiasi
definizione, poiché rappresenta la fine della vita accessibile alla coscienza e
il passaggio a un'altra esistenza, inconsapevole, possibile solo dopo la morte.
In entrambi i casi Nirvana significa interruzione della catena delle
reincarnazioni (samsara).
Secondo i buddisti, lo stesso Buddha, prima di nascere come Gotama, avrebbe
subìto una lunga serie di rinascite. Egli fu però anche il primo uomo a
raggiungere l'Illuminazione, per cui la sua morte ha rappresentato l'immediato
passaggio al Nirvana.
Nirvana dunque, anche se letteralmente significa "estinzione", spiritualmente
significa "beatitudine".
La Meditazione
Il mezzo fondamentale per percorrere l'Ottuplice sentiero è
la Meditazione, che si sviluppa su due linee diverse e complementari:
Acquietamento o Purificazione
Si propone una condizione di totale trasparenza immobile della coscienza
(atarassia). Consiste nel focalizzare l'attenzione su un solo punto, che in
realtà è un'immagine simbolica, da utilizzare come supporto per il processo,
operando una graduale esclusione degli stimoli sensoriali periferici, che sono i
desideri di essere stimolato, avversione, torpore, irrequietezza, scetticismo.
L'atto meditativo di volge sul medesimo pensiero dell'asceta, il quale raggiunge
i primi quattro livelli di perfezione: quieta felicità , fine del pensiero
logico-discorsivo, fine dei fattori emotivi, fine del senso di
felicità /infelicità . La "cosa" si tramuta nel "concetto" e il mondo viene
appreso "così com'è". Il pensiero diventa consapevolezza universale;
Visione penetrativa o Intuizione
Consiste in una vigile attenzione rivolta ai fatti fisici, anche minimi, e ai
processi mentali. Conduce a una serie di approfondite purificazioni del
pensiero, il quale deve giungere alla consapevolezza che l'essenza degli
elementi della realtà è data dallo stesso pensiero che se li rappresenta, ma
che, di per sé, è inesistente. La realtà va sperimentata come "vuoto", in
particolare come vuoto "noetico", al quale cioè corrisponde la condizione
soggettiva di "estinzione" (Nirvana), in cui soggetto e oggetto devono
identificarsi, altrimenti, di fronte al "nulla" che spiega le cause, l'io
potrebbe disperare.
I Testi
canonici
I testi sacri riconosciuti come autentici dal Buddismo sono
raccolti in due Canoni, denominati, in base alle scritture usate, Pali e
Sanscrito.
Il Canone Pali (deciso nel I sec. a.C.) è chiamato anche Tripitaka, perché
raggruppa il corpus in tre parti (o "Tre canestri": infatti i libri di ogni
raccolta, scritti su fogli di palma, potevano essere contenuti in una cesta).
Esso rappresenta una sintesi delle dottrine predicate dal Buddha o a lui
attribuite e delle teorie elaborate dalla scuola Hinayana.
La prima cesta (Vinaya) comunica le regole da osservare nelle comunitÃ
monastiche; essa si compone di tre raccolte di libri: sono talmente voluminosi
che per leggerli tutti, al Concilio di Rangoon (1954), ci vollero 169 sedute in
46 giorni;
la seconda cesta (Sutra) parla delle conversazioni di Buddha coi suoi discepoli
ed è il doppio della prima; la recita dei sutra è la base del culto e della
meditazione di monaci e laici. Il loro linguaggio è poetico, le composizione
sono ritmiche, molto convincenti le spiegazioni di difficili tematiche
spirituali e psicologiche. Questa cesta contiene anche 547 leggende relative
alle esistenze precedenti del Buddha;
la terza cesta (Abhidarma) fornisce la spiegazione dei principali dogmi del
Buddismo contenuti appunto nel Sutra (metafisica). Questi testi sono stati
composti da ignoti autori dal III al I sec. a.C. e sono ad uso degli
specialisti.
Il Canone Sanscrito, nato circa sei secoli dopo la morte del Buddha, varia
molto, come suddivisione e denominazioni, da Stato a Stato. Esso sostanzialmente
è legato alla scuola Mahayana. Questa tradizione, i cui testi sono molto estesi,
sostiene che Buddha avrebbe riservato la parte più sottile della sua verità alle
generazioni posteriori. Un'edizione del Canone buddista, il Taisho Shinshu,
stampato a Tokyo, comprende ben 100 volumi e fa capire la necessità di dover
scegliere una "pars pro toto" per la fede personale. Tra le numerose scritture
del Mahayana meritano d'essere ricodarte La sutra della perfetta sapienza e
soprattutto il Libro tibetano dei morti, che suscitò grande interesse in
Occidente.
Le Regole etiche di vita
I precetti fondamentali del Buddismo, per quanto riguarda
le regole etiche di vita (sila) sono divisi in tre gruppi: i cinque divieti, gli
otto comandamenti e le dieci condotte morali. In pratica si tratta degli stessi
comandamenti, cui ogni volta se ne aggiungono altri.
I cinque divieti sono:
non uccidere alcun essere vivente,
non prendere l'altrui proprietà ,
non toccare la donna altrui,
non dire menzogne,
non bere bevande inebrianti.
Gli otto comandamenti includono i suddetti cinque divieti, cui se ne aggiungono
altri tre:
non mangiare cibo nei tempi non dovuti;
astieniti dal canto, dalla danza, dalla musica e da ogni spettacolo indecente;
non ornare la tua persona con ghirlande, profumi e unguenti;
non usare sedili alti e lussuosi.
Gli ultimi due precetti morali sono:
non adoperare letti grandi e confortevoli;
non commerciare cose d'oro e d'argento.
Naturalmente questi precetti diventano tanto più esigenti quanto più uno cerca
di purificarsi spiritualmente: il divieto di uccidere si estende fino a tutti
gli animali, nessuno escluso; l'acqua può essere bevuta solo se filtrata; non si
può usare l'aratro perché potrebbe ferire i vermi della terra; la castitÃ
sessuale deve essere completa; la povertà dev'essere assoluta ecc.
È bene però precisare che per raggiungere la Liberazione, più che una vita
moralmente ineccepibile, la quale al massimo può dar luogo a un buon karman, il
buddista deve dedicarsi alla Meditazione, che comporta un'energica disciplina
ascetica (yoga), la cui esperienza in un certo senso va al di là di ogni morale.
L'io deve liberarsi dell'Illusione circa la realtà del mondo e soprattutto circa
la sua personalità , per sprofondare nel "non-io", nel "non-essere".
Ciò tuttavia non ha impedito a molti monaci d'impegnarsi attivamente a favore
delle rivendicazioni democratiche e dell'indipendenza nazionale (vedi p.es. in
Vietnam al tempo della guerra contro gli USA).
Le Virtù morali
Quanto alle virtù morali che deve seguire il buddista, esse
in sostanza si riducono a quattro:
compassione (percepire dentro di sé la gioia e il dolore dell'altro);
amorevolezza verso tutti gli esseri viventi;
letizia e considerazione del lato positivo delle cose;
imparzialità nel considerare la realtÃ
Vajrayana (Via dei Tantra)
La terza corrente del Buddismo, detta anche Veicolo del
Diamante, quella meno diffusa (circa 20 milioni di seguaci), e che più si è
allontanata dalle origini, insistendo proprio sui punti che il Buddha aveva
maggiormente criticato: il ritualismo, la mistica e la magia, si è affermata
verso il VI sec., diffodendosi prevalentemente in Mongolia e nel Tibet, ma anche
in Nepal, Cina e Giappone.
Questa corrente, senza la scuola Mahayana, difficilmente avrebbe potuto
costituirsi.
I suoi due rami principali sono il Lamaismo e lo Zen.
Queste correnti esoteriche (chiamate anche col nome di Veicolo delle formule
magiche o Mantrayana), attribuiscono importanza centrale alla ripetizione di
formule sacre (mantra) per raggiungere l'Illuminazione.
Nel Tibet questa corrente, nata verso il 750, assunse il nome di Lamaismo,
diffondendosi anche in Mongolia e Siberia. È L'unica corrente strutturata in
maniera gerarchica.
Per i suoi seguaci il Tibet rappresenta come una "casa madre" e una "terra
promessa". Lhasa, la capitale, è considerata "città sacra". Anche la lingua
tibetana è ritenuta "sacra".
Essendo il prodotto di una fusione di Buddismo e religioni animistiche e
sciamaniche, il Lamaismo dà notevole importanza agli scongiuri magici, alla
conoscenza mistica e alla musica, con l'aiuto dei quali esso è convinto di poter
raggiungere il Nirvana in tempi molto brevi.
Molto influenti sono stati i monaci, chiamati Lama, che riuscirono a costituire
un governo ierocratico: nominalmente il potere civile apparteneva agli
imperatori cinesi, di fatto erano i monaci a comandare e i loro dirigenti
venivano scelti tra le famiglie feudali più influenti.
L'ultimo Dalai Lama, non avendo accettato l'unificazione del Tibet con la Cina
comunista (1951), imposta da quest'ultima, ha deciso, dopo una rivolta fallita,
di espatriare in India nel 1959, insieme a 100.000 rifugiati.
Prima dell'unione con la Cina un tibetano su quattro apparteneva a un ordine
religioso.
Quando il Dalai Lama muore, si pensa ch'egli s'incarni immediatamente in qualche
parte del paese. Una ricerca minuziosa viene allora operata tra tutti i neonati
maschi che rivelino alcuni segni particolari negli occhi o nelle orecchie o
nella pelle… I loro nomi vengono introdotti in un'urna d'oro e poi ne viene
estratto uno a sorte. Da quel momento il prescelto viene educato dai sacerdoti,
conduce un'esistenza privilegiata e deve astenersi da qualunque forma di
impurità e di rapporto sessuale. L'attuale Dalai Lama (XIV Incarnazione) è stato
insediato nel 1940. Nel 1990 gli è stato conferito il Premio Nobel per la pace.