La tratta dei neri, ossia il commercio di schiavi africani, iniziò subito dopo la scoperta dell’America, ma assunse dimensioni impressionanti nel XVII/XVIII secolo.

Fin dal Medioevo gli Arabi commerciavano in schiavi africani, che erano destinati all’esercito o agli harem dell’impero ottomano. Fra gli Europei, i primi mercanti di schiavi neri furono i Portoghesi, presto seguiti da tutti i paesi che avevano colonie in America. Gli schiavi erano impegnati soprattutto nel massacrante lavoro delle miniere e delle piantagioni (di tabacco, canna da zucchero, cacao, caffè, cotone).

In un primo momento i coloni provarono a servirsi delle popolazioni indigene dell’America, ma gli Indios erano pochi, indeboliti dalla fame e dalle malattie, e non resistevano alla fatica, Furono impiegati anche degli europei, soprattutto criminali condannati al lavoro forzato, ma anche adulti e bambini rapiti. Il loro numero, tuttavia, rimaneva sempre insufficiente. La manodopera nera invece non solo resisteva ai climi caldi, ma costava poco e sembrava inesauribile.

All’inizio gli schiavi erano catturati dagli stessi negrieri, che circondavano di sorpresa i loro villaggi e tendevano reti nelle foreste per intrappolarli, proprio come se fossero stati animali.

Successivamente, quando la richiesta di schiavi divenne più pressante, alcuni re africani accettarono di collaborare con gli Europei, organizzando razzie o guerre contro le altre tribù per procurare prigionieri.

Dai luoghi di cattura all’interno del continente gli schiavi venivano incolonnati verso i porti d’imbarco. Vi giungevano in lunghe file, a volte dopo mesi di cammino, stretti l’uno all’altro da collari chiusi intorno al collo. Chi non resisteva alla lunga marcia veniva abbandonato o lasciato morire. Prima dell'imbarco gli schiavi erano marchiati con un ferro rovente e battezzati con una frettolosa cerimonia.

Iniziava poi il tormentoso viaggio verso l'America su navi stipate fino all'inverosimile, dove gli schiavi venivano ammassati in locali non più altri di un metro e mezzo, quasi privi di aria e luce . Qui, nudi e incatenati a due a due, avendo a disposizione uno spazio di non più di cinquanta centimetri ciascuno, compivano traversate che potevano durare anche due o tre mesi.

Naturalmente, la mortalità era altissima. Molti si ammalavano per il sudiciume, la facilità di contagio, l'alimentazione inadatta: alcuni, spinti dalla disperazione, si suicidavano; i più deboli e i più malati venivano lavati, rasati, lucidati con olio perché facessero bella figura  e venduti all'asta al mercato. Li attendeva nelle piantagioni e nelle miniere una vita durissima e logorante, a cui si aggiungeva, spesso, la ferocia di padroni disumani.

Non sappiamo con certezza quanti schiavi neri siano stati portati in America nei tre, quattro secoli in cui si praticò la tratta. Furono certamente molti milioni, almeno dieci (ma alcuni storici calcolano cifre assai più alte).

Per l'Africa la tratta significò un' enorme catastrofe. I negrieri sceglievano di preferenza uomini e donne forti e sani, ancora in età da potersi riprodurre. A causa del loro forzato trasferimento, famiglie e villaggi furono distrutti, intere regioni si spopolarono e lo sviluppo dell'Africa fu interrotto, con conseguenze che pesano ancora oggi sull'economia del continente.

Gli europei invece trassero dal commercio e dalla colonizzazione del mondo grandi vantaggi economici e l'errata convinzione di essere superiori ad ogni altra razza, soprattutto a quella nera.

 

La terribile condizione a cui gli schiavi erano costretti, nelle navi

 

Come testimonia questo documento, navi che erano state costruite per contenere 460 "negri", arrivavano a trasportarne anche fino a 600

 

 

 

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