I Promessi Sposi
Capitolo XXI
La vecchia era corsa a ubbidire e a comandare, con l'autorità
di quel nome che, da chiunque fosse pronunziato in quel luogo, li faceva
spicciar tutti; perché a nessuno veniva in testa che ci fosse uno tanto ardito
da servirsene falsamente. Si trovò infatti alla Malanotte un po' prima che la
carrozza ci arrivasse; e vistala venire, uscì di bussola, fece segno al
cocchiere che fermasse, s'avvicinò allo sportello; e al Nibbio, che mise il capo
fuori, riferì sottovoce gli ordini del padrone.
Lucia, al fermarsi della carrozza, si scosse, e rinvenne da una specie di
letargo. Si sentì da capo rimescolare il sangue, spalancò la bocca e gli occhi,
e guardò. Il Nibbio s'era tirato indietro; e la vecchia, col mento sullo
sportello, guardando Lucia, diceva: "venite, la mia giovine; venite, poverina;
venite con me, che ho ordine di trattarvi bene e di farvi coraggio."
Al suono d'una voce di donna, la poverina provò un conforto, un coraggio
momentaneo; ma ricadde subito in uno spavento piú cupo. "Chi siete?" disse con
voce tremante, fissando lo sguardo attonito in viso alla vecchia.
"Venite, venite, poverina," andava questa ripetendo. Il Nibbio e gli altri due,
argomentando dalle parole e dalla voce così straordinariamente raddolcita di
colei, quali fossero l'intenzioni del signore, cercavano di persuader con le
buone l'oppressa a ubbidire. Ma lei seguitava a guardar fuori; e benché il luogo
selvaggio e sconosciuto, e la sicurezza de' suoi guardiani non le lasciassero
concepire speranza di soccorso, apriva non ostante la bocca per gridare; ma
vedendo il Nibbio far gli occhiacci del fazzoletto, ritenne il grido, tremò, si
storse, fu presa e messa nella bussola. Dopo, c'entrò la vecchia; il Nibbio
disse ai due altri manigoldi che andassero dietro, e prese speditamente la
salita, per accorrere ai comandi del padrone.
"Chi siete?" domandava con ansietà Lucia al ceffo sconosciuto e deforme: "perché
son con voi? Dove sono? Dove mi conducete?"
"Da chi vuol farvi del bene," rispondeva la vecchia, "da un gran... Fortunati
quelli a cui vuol far del bene! Buon per voi, buon per voi. Non abbiate paura,
state allegra, ché m'ha comandato di farvi coraggio. Glielo direte, eh? Che v'ho
fatto coraggio?"
"Chi è? Perché? Che vuol da me? Io non son sua. Ditemi dove sono; lasciatemi
andare; dite a costoro che mi lascino andare, che mi portino in qualche chiesa.
Oh! voi che siete una donna, in nome di Maria Vergine...!"
Quel nome santo e soave, già ripetuto con venerazione ne' primi anni, e poi non
piú invocato per tanto tempo, né forse sentito proferire, faceva nella mente
della sciagurata che lo sentiva in quel momento, un'impressione confusa, strana,
lenta, come la rimembranza della luce, in un vecchione accecato da bambino.
Intanto l'innominato, ritto sulla porta del castello, guardava in giú; e vedeva
la bussola venir passo passo, come prima la carrozza, e avanti, a una distanza
che cresceva ogni momento, salir di corsa il Nibbio. Quando questo fu in cima,
il signore gli accennò che lo seguisse; e andò con lui in una stanza del
castello.
"Ebbene?" disse, fermandosi lì.
"Tutto a un puntino," rispose, inchinandosi, il Nibbio: "l'avviso a tempo, la
donna a tempo, nessuno sul luogo, un urlo solo, nessuno comparso, il cocchiere
pronto, i cavalli bravi, nessun incontro: ma..."
"Ma che?"
"Ma... dico il vero, che avrei avuto piú piacere che l'ordine fosse stato di
darle una schioppettata nella schiena, senza sentirla parlare, senza vederla in
viso."
"Cosa? Cosa? Che vuoi tu dire?"
"Voglio dire che tutto quel tempo, tutto quel tempo... M'ha fatto troppa
compassione."
"Compassione! Che sai tu di compassione? Cos'è la compassione?"
"Non l'ho mai capito così bene come questa volta: è una storia la compassione un
poco come la paura: se uno la lascia prender possesso, non è piú uomo."
"Sentiamo un poco come ha fatto costei per moverti a compassione."
"O signore illustrissimo! tanto tempo...! piangere, pregare, e far cert'occhi, e
diventar bianca bianca come morta, e poi singhiozzare, e pregar di nuovo, e
certe parole..."
"Non la voglio in casa costei," pensava intanto l'innominato.
"Sono stato una bestia a impegnarmi; ma ho promesso, ho promesso. Quando sarà
lontana..." E alzando la testa, in atto di comando, verso il Nibbio, "ora," gli
disse, "metti da parte la compassione: monta a cavallo, prendi un compagno, due
se vuoi; e va' di corsa a casa di quel don Rodrigo che tu sai. Digli che
mandi... ma subito subito, perché altrimenti..."
Ma un altro no interno piú imperioso del primo gli proibì di finire. "No," disse
con voce risoluta, quasi per esprimere a se stesso il comando di quella voce
segreta, "no: va' a riposarti; e domattina... farai quello che ti dirò!"
"Un qualche demonio ha costei dalla sua," pensava poi, rimasto solo, ritto, con
le braccia incrociate sul petto, e con lo sguardo immobile sur una parte del
pavimento, dove il raggio della luna, entrando da una finestra alta, disegnava
un quadrato di luce pallida, tagliata a scacchi dalle grosse inferriate, e
intagliata piú minutamente dai piccoli compartimenti delle vetriate. "Un qualche
demonio, o... un qualche angelo che la protegge... Compassione al Nibbio!...
Domattina, domattina di buon'ora, fuor di qui costei; al suo destino, e non se
ne parli piú, e," proseguiva tra sé, con quell'animo con cui si comanda a un
ragazzo indocile, sapendo che non ubbidirà, "e non ci si pensi piú.
Quell'animale di don Rodrigo non mi venga a romper la testa con ringraziamenti;
che... non voglio piú sentir parlar di costei. L'ho servito perché... perché ho
promesso: e ho promesso perché... è il mio destino. Ma voglio che me lo paghi
bene questo servizio, colui. Vediamo un poco..."
E voleva almanaccare cosa avrebbe potuto richiedergli di scabroso, per compenso,
e quasi per pena; ma gli si attraversaron di nuovo alla mente quelle parole:
compassione al Nibbio! "Come può aver fatto costei?" continuava, strascinato da
quel pensiero. "Voglio vederla... Eh! no... Sì, voglio vederla."
E d'una stanza in un'altra, trovò una scaletta, e su a tastone, andò alla camera
della vecchia, e picchiò all'uscio con un calcio.
"Chi è?"
"Apri."
A quella voce, la vecchia fece tre salti; e subito si sentì scorrere il paletto
negli anelli, e l'uscio si spalancò. L'innominato, dalla soglia, diede
un'occhiata in giro; e, al lume d'una lucerna che ardeva sur un tavolino, vide
Lucia rannicchiata in terra, nel canto il piú lontano dall'uscio.
"Chi t'ha detto che tu la buttassi là come un sacco di cenci, sciagurata?" disse
alla vecchia, con un cipiglio iracondo.
"S'è messa dove le è piaciuto," rispose umilmente colei: "io ho fatto di tutto
per farle coraggio: lo può dire anche lei; ma non c'è stato verso."
"Alzatevi," disse l'innominato a Lucia, andandole vicino. Ma Lucia, a cui il
picchiare, l'aprire, il comparir di quell'uomo, le sue parole, avevan messo un
nuovo spavento nell'animo spaventato, stava piú che mai raggomitolata nel
cantuccio, col viso nascosto tra le mani, e non movendosi, se non che tremava
tutta.
"Alzatevi, ché non voglio farvi del male... e posso farvi del bene," ripeté il
signore... "Alzatevi!" tonò poi quella voce, sdegnata d'aver due volte comandato
invano.
Come rinvigorita dallo spavento, l'infelicissima si rizzò subito inginocchioni;
e giungendo le mani, come avrebbe fatto davanti a un'immagine, alzò gli occhi in
viso all'innominato, e riabbassandoli subito, disse: "son qui: m'ammazzi."
"V'ho detto che non voglio farvi del male," rispose, con voce mitigata,
l'innominato, fissando quel viso turbato dall'accoramento e dal terrore.
"Coraggio, coraggio," diceva la vecchia: "se ve lo dice lui, che non vuol farvi
del male..."
"E perché," riprese Lucia con una voce, in cui, col tremito della paura, si
sentiva una certa sicurezza dell'indegnazione disperata, "perché mi fa patire le
pene dell'inferno? Cosa le ho fatto io?..."
"V'hanno forse maltrattata? Parlate."
"Oh maltrattata! M'hanno presa a tradimento, per forza! perché? Perché m'hanno
presa? Perché son qui? Dove sono? Sono una povera creatura: cosa le ho fatto? In
nome di Dio..."
"Dio, Dio," interruppe l'innominato: "sempre Dio: coloro che non possono
difendersi da sé, che non hanno la forza, sempre han questo Dio da mettere in
campo, come se gli avessero parlato. Cosa pretendete con codesta vostra parola?
Di farmi...?" e lasciò la frase a mezzo.
"Oh Signore! pretendere! Cosa posso pretendere io meschina, se non che lei mi
usi misericordia? Dio perdona tante cose, per un'opera di misericordia! Mi lasci
andare; per carità mi lasci andare! Non torna conto a uno che un giorno deve
morire di far patir tanto una povera creatura. Oh! lei che può comandare, dica
che mi lascino andare! M'hanno portata qui per forza. Mi mandi con questa donna
a *** dov'è mia madre. Oh Vergine santissima! mia madre! mia madre, per carità,
mia madre! Forse non è lontana di qui... ho veduto i miei monti! Perché lei mi
fa patire? Mi faccia condurre in una chiesa. Pregherò per lei, tutta la mia
vita. Cosa le costa dire una parola? Oh ecco! vedo che si move a compassione:
dica una parola, la dica. Dio perdona tante cose, per un'opera di misericordia!"
"Oh perché non è figlia d'uno di que' cani che m'hanno bandito!" pensava
l'innominato: "d'uno di que' vili che mi vorrebbero morto! che ora godrei di
questo suo strillare; e in vece..."
"Non iscacci una buona ispirazione!" proseguiva fervidamente Lucia, rianimata
dal vedere una cert'aria d'esitazione nel viso e nel contegno del suo tiranno.
"Se lei non mi fa questa carità, me la farà il Signore: mi farà morire, e per me
sarà finita; ma lei!... Forse un giorno anche lei... Ma no, no; pregherò sempre
io il Signore che la preservi da ogni male. Cosa le costa dire una parola? Se
provasse lei a patir queste pene...!"
"Via, fatevi coraggio," interruppe l'innominato, con una dolcezza che fece
strasecolar la vecchia. "V'ho fatto nessun male? V'ho minacciata?"
"Oh no! Vedo che lei ha buon cuore, e che sente pietà di questa povera creatura.
Se lei volesse, potrebbe farmi paura piú di tutti gli altri, potrebbe farmi
morire; e in vece mi ha... un po' allargato il cuore. Dio gliene renderà merito.
Compisca l'opera di misericordia: mi liberi, mi liberi."
"Domattina..."
"Oh mi liberi ora, subito..."
"Domattina ci rivedremo, vi dico. Via, intanto fatevi coraggio. Riposate. Dovete
aver bisogno di mangiare. Ora ve ne porteranno."
"No, no; io moio se alcuno entra qui: io moio. Mi conduca lei in chiesa... que'
passi Dio glieli conterà."
"Verrà una donna a portarvi da mangiare," disse l'innominato; e dettolo, rimase
stupito anche lui che gli fosse venuto in mente un tal ripiego, e che gli fosse
nato il bisogno di cercarne uno, per rassicurare una donnicciola.
"E tu," riprese poi subito, voltandosi alla vecchia, "falle coraggio che mangi;
mettila a dormire in questo letto: e se ti vuole in compagnia, bene; altrimenti,
tu puoi ben dormire una notte in terra. Falle coraggio, ti dico; tienla allegra.
E che non abbia a lamentarsi di te!"
Così detto, si mosse rapidamente verso l'uscio. Lucia s'alzò e corse per
trattenerlo, e rinnovare la sua preghiera; ma era sparito.
"Oh povera me! Chiudete, chiudete subito." E sentito ch'ebbe accostare i
battenti e scorrere il paletto, tornò a rannicchiarsi nel suo cantuccio. "Oh
povera me!" esclamò di nuovo singhiozzando: "chi pregherò ora? Dove sono? Ditemi
voi, ditemi per carità, chi è quel signore... quello che m'ha parlato?"
"Chi è, eh? Chi è? Volete ch'io ve lo dica. Aspetta ch'io te lo dica. Perché vi
protegge, avete messo su superbia; e volete esser soddisfatta voi, e farne andar
di mezzo me. Domandatene a lui. S'io vi contentassi anche in questo, non mi
toccherebbe di quelle buone parole che avete sentite voi. Io son vecchia, son
vecchia," continuò, mormorando tra i denti. "Maledette le giovani, che fanno bel
vedere a piangere e a ridere, e hanno sempre ragione." Ma sentendo Lucia
singhiozzare, e tornandole minaccioso alla mente il comando del padrone, si
chinò verso la povera rincantucciata, e, con voce raddolcita, riprese: "via, non
v'ho detto niente di male: state allegra. Non mi domandate di quelle cose che
non vi posso dire; e del resto, state di buon animo. Oh se sapeste quanta gente
sarebbe contenta di sentirlo parlare come ha parlato a voi! State allegra, che
or ora verrà da mangiare; e io che capisco... nella maniera che v'ha parlato, ci
sarà della roba buona. E poi anderete a letto, e... mi lascerete un cantuccino
anche a me, spero," soggiunse, con una voce, suo malgrado, stizzosa.
"Non voglio mangiare, non voglio dormire. Lasciatemi stare; non v'accostate; non
partite di qui!"
"No, no, via," disse la vecchia, ritirandosi, e mettendosi a sedere sur una
seggiolaccia, donde dava alla poverina certe occhiate di terrore e d'astio
insieme; e poi guardava il suo covo, rodendosi d'esserne forse esclusa per tutta
la notte, e brontolando contro il freddo. Ma si rallegrava col pensiero della
cena, e con la speranza che ce ne sarebbe anche per lei. Lucia non s'avvedeva
del freddo, non sentiva la fame, e come sbalordita, non aveva de' suoi dolori,
de' suoi terrori stessi, che un sentimento confuso, simile all'immagini sognate
da un febbricitante.
Si riscosse quando sentì picchiare; e, alzando la faccia atterrita, gridò: "Chi
è? Chi è? Non venga nessuno!"
"Nulla, nulla; buone nuove," disse la vecchia: "è Marta che porta da mangiare."
"Chiudete, chiudete!" gridava Lucia.
"Ih! subito, subito," rispondeva la vecchia; e presa una paniera dalle mani di
quella Marta, la mandò via, richiuse, e venne a posar la paniera sur una tavola
nel mezzo della camera. Invitò poi piú volte Lucia che venisse a goder di quella
buona roba. Adoprava le parole piú efficaci, secondo lei, a mettere appetito
alla poverina, prorompeva in esclamazioni sulla squisitezza de' cibi: "di que'
bocconi che, quando le persone come noi possono arrivare a assaggiarne, se ne
ricordan per un pezzo! Del vino che beve il padrone co' suoi amici... quando
capita qualcheduno di quelli...! e vogliono stare allegri! Ehm!" Ma vedendo che
tutti gl'incanti riuscivano inutili, "siete voi che non volete," disse. "Non
istate poi a dirgli domani ch'io non v'ho fatto coraggio. Mangerò io; e ne
resterà piú che abbastanza per voi, per quando metterete giudizio, e vorrete
ubbidire." Così detto, si mise a mangiare avidamente. Saziata che fu, s'alzò,
andò verso il cantuccio, e, chinandosi sopra Lucia, l'invitò di nuovo a
mangiare, per andar poi a letto.
"No, no, non voglio nulla," rispose questa, con voce fiacca e come sonnolenta.
Poi, con piú risolutezza, riprese: "è serrato l'uscio? E' serrato bene?" E dopo
aver guardato in giro per la camera, s'alzò, e, con le mani avanti, con passo
sospettoso, andava verso quella parte.
La vecchia ci corse prima di lei, stese la mano al paletto, lo scosse, e disse:
"Sentite? Vedete? E' serrato bene? Siete contenta ora?"
"Oh contenta! contenta io qui!" disse Lucia, rimettendosi di nuovo nel suo
cantuccio. "Ma il Signore lo sa che ci sono!"
"Venite a letto: cosa volete far lì, accucciata come un cane? S'è mai visto
rifiutare i comodi, quando si possono avere?"
"No, no; lasciatemi stare."
"Siete voi che lo volete. Ecco, io vi lascio il posto buono: mi metto sulla
sponda; starò incomoda per voi. Se volete venire a letto, sapete come avete a
fare. Ricordatevi che v'ho pregata piú volte." Così dicendo, si cacciò sotto
vestita; e tutto tacque.
Lucia stava immobile in quel cantuccio, tutta in un gomitolo, con le ginocchia
alzate, con le mani appoggiate sulle ginocchia, e col viso nascosto nelle mani.
Non era il suo né sonno né veglia, ma una rapida successione, una torbida
vicenda di pensieri, d'immaginazioni, di spaventi. Ora, piú presente a se
stessa, e rammentandosi piú distintamente gli orrori veduti e sofferti in quella
giornata, s'applicava dolorosamente alle circostanze dell'oscura e formidabile
realtà in cui si trovava avviluppata; ora la mente, trasportata in una regione
ancor piú oscura, si dibatteva contro i fantasmi nati dall'incertezza e dal
terrore. Stette un pezzo in quest'angoscia; alfine, piú che mai stanca e
abbattuta, stese le membra intormentite, si sdraiò, o cadde sdraiata, e rimase
alquanto in uno stato piú somigliante a un sonno vero. Ma tutt'a un tratto si
risentì, come a una chiamata interna, e provò il bisogno di risentirsi
interamente, di riaver tutto il suo pensiero, di conoscere dove fosse, come,
perché. Tese l'orecchio a un suono: era il russare lento, arrantolato della
vecchia; spalancò gli occhi, e vide un chiarore fioco apparire e sparire a
vicenda: era il lucignolo della lucerna, che, vicino a spegnersi, scoccava una
luce tremola, e subito la ritirava, per dir così, indietro, come è il venire e
l'andare dell'onda sulla riva: e quella luce, fuggendo dagli oggetti, prima che
prendessero da essa rilievo e colore distinto, non rappresentava allo sguardo
che una successione di guazzabugli. Ma ben presto le recenti impressioni,
ricomparendo nella mente, l'aiutarono a distinguere ciò che appariva confuso al
senso. L'infelice risvegliata riconobbe la sua prigione: tutte le memorie
dell'orribil giornata trascorsa, tutti i terrori dell'avvenire, l'assalirono in
una volta: quella nuova quiete stessa dopo tante agitazioni, quella specie di
riposo, quell'abbandono in cui era lasciata, le facevano un nuovo spavento: e fu
vinta da un tale affanno, che desiderò di morire. Ma in quel momento, si
rammentò che poteva almen pregare, e insieme con quel pensiero, le spuntò in
cuore come un'improvvisa speranza. Prese di nuovo la sua corona, e ricominciò a
dire il rosario; e, di mano in mano che la preghiera usciva dal suo labbro
tremante, il cuore sentiva crescere una fiducia indeterminata. Tutt'a un tratto,
le passò per la mente un altro pensiero; che la sua orazione sarebbe stata piú
accetta e piú certamente esaudita, quando, nella sua desolazione, facesse anche
qualche offerta. Si ricordò di quello che aveva di piú caro, o che di piú caro
aveva avuto; giacché, in quel momento, l'animo suo non poteva sentire altra
affezione che di spavento, né concepire altro desiderio che della liberazione;
se ne ricordò, e risolvette subito di farne un sacrifizio. S'alzò, e si mise in
ginocchio, e tenendo giunte al petto le mani, dalle quali pendeva la corona,
alzò il viso e le pupille al cielo, e disse: "o Vergine santissima! Voi, a cui
mi sono raccomandata tante volte, e che tante volte m'avete consolata! Voi che
avete patito tanti dolori, e siete ora tanto gloriosa, e avete fatti tanti
miracoli per i poveri tribolati; aiutatemi! fatemi uscire da questo pericolo,
fatemi tornar salva con mia madre, Madre del Signore; e fo voto a voi di rimaner
vergine; rinunzio per sempre a quel mio poveretto, per non esser mai d'altri che
vostra."
Proferite queste parole, abbassò la testa, e si mise la corona intorno al collo,
quasi come un segno di consacrazione, e una salvaguardia a un tempo, come
un'armatura della nuova milizia a cui s'era ascritta. Rimessasi a sedere in
terra, sentì entrar nell'animo una certa tranquillità, una piú larga fiducia. Le
venne in mente quel domattina ripetuto dallo sconosciuto potente, e le parve di
sentire in quella parola una promessa di salvazione. I sensi affaticati da tanta
guerra s'assopirono a poco a poco in quell'acquietamento di pensieri: e
finalmente, già vicino a giorno, col nome della sua protettrice tronco tra le
labbra, Lucia s'addormentò d'un sonno perfetto e continuo.
Ma c'era qualchedun altro in quello stesso castello, che avrebbe voluto fare
altrettanto, e non poté mai. Partito, o quasi scappato da Lucia, dato l'ordine
per la cena di lei, fatta una consueta visita a certi posti del castello, sempre
con quell'immagine viva nella mente, e con quelle parole risonanti all'orecchio,
il signore s'era andato a cacciare in camera, s'era chiuso dentro in fretta e in
furia, come se avesse avuto a trincerarsi contro una squadra di nemici; e
spogliatosi, pure in furia, era andato a letto. Ma quell'immagine, piú che mai
presente, parve che in quel momento gli dicesse: tu non dormirai. "Che sciocca
curiosità da donnicciola," pensava, "m'è venuta di vederla? Ha ragione quel
bestione del Nibbio; uno non è piú uomo; è vero, non è piú uomo!... Io?... io
non son piú uomo, io? Cos'è stato? Che diavolo m'è venuto addosso? Che c'è di
nuovo? Non lo sapevo io prima d'ora, che le donne strillano? Strillano anche gli
uomini alle volte, quando non si possono rivoltare. Che diavolo! non ho mai
sentito belar donne?"
E qui, senza che s'affaticasse molto a rintracciare nella memoria, la memoria da
sé gli rappresentò piú d'un caso in cui né preghi né lamenti non l'avevano punto
smosso dal compire le sue risoluzioni. Ma la rimembranza di tali imprese, non
che gli ridonasse la fermezza, che già gli mancava, di compir questa; non che
spegnesse nell'animo quella molesta pietà; vi destava in vece una specie di
terrore, una non so qual rabbia di pentimento. Di maniera che gli parve un
sollievo il tornare a quella prima immagine di Lucia, contro la quale aveva
cercato di rinfrancare il suo coraggio. "E' viva costei," pensava, "è qui; sono
a tempo; le posso dire: andate, rallegratevi; posso veder quel viso cambiarsi,
le posso anche dire: perdonatemi... Perdonatemi? Io domandar perdono? A una
donna? Io...! Ah, eppure! Se una parola, una parola tale mi potesse far bene,
levarmi d'addosso un po' di questa diavoleria, la direi; eh! Sento che la direi.
A che cosa son ridotto! Non son piú uomo, non son piú uomo!... Via!" disse, poi,
rivoltandosi arrabbiatamente nel letto divenuto duro duro, sotto le coperte
divenute pesanti pesanti: "Via! Sono sciocchezze che mi son passate per la testa
altre volte. Passerà anche questa."
E per farla passare, andò cercando col pensiero qualche cosa importante,
qualcheduna di quelle che solevano occuparlo fortemente, onde applicarvelo
tutto; ma non ne trovò nessuna. Tutto gli appariva cambiato: ciò che altre volte
stimolava piú fortemente i suoi desidèri, ora non aveva piú nulla di
desiderabile: la passione, come un cavallo divenuto tutt'a un tratto restìo per
un'ombra, non voleva piú andare avanti. Pensando all'imprese avviate e non
finite, in vece d'animarsi al compimento, in vece d'irritarsi degli ostacoli
(ché l'ira in quel momento gli sarebbe parsa soave), sentiva una tristezza,
quasi uno spavento de' passi già fatti. Il tempo gli s'affacciò davanti voto
d'ogni intento, d'ogni occupazione, d'ogni volere, pieno soltanto di memorie
intollerabili; tutte l'ore somiglianti a quella che gli passava così lenta, così
pesante sul capo. Si schierava nella fantasia tutti i suoi malandrini, e non
trovava da comandare a nessuno di loro una cosa che gl'importasse; anzi l'idea
di rivederli, di trovarsi tra loro, era un nuovo peso, un'idea di schifo e
d'impiccio. E se volle trovare un'occupazione per l'indomani, un'opera
fattibile, dovette pensare che all'indomani poteva lasciare in libertà quella
poverina.
"La libererò, sì; appena spunta il giorno, correrò da lei, e le dirò: andate,
andate. La farò accompagnare... E la promessa? E l'impegno? E don Rodrigo?...
Chi è don Rodrigo?"
A guisa di chi è colto da una interrogazione inaspettata e imbarazzante d'un
superiore, l'innominato pensò subito a rispondere a questa che s'era fatta lui
stesso, o piuttosto quel nuovo lui, che cresciuto terribilmente a un tratto,
sorgeva come a giudicare l'antico. Andava dunque cercando le ragioni per cui,
prima quasi d'esser pregato, s'era potuto risolvere a prender l'impegno di far
tanto patire, senz'odio, senza timore, un'infelice sconosciuta, per servire
colui; ma, non che riuscisse a trovar ragioni che in quel momento gli paressero
buone a scusare il fatto, non sapeva quasi spiegare a se stesso come ci si fosse
indotto. Quel volere, piuttosto che una deliberazione, era stato un movimento
istantaneo dell'animo ubbidiente a sentimenti antichi, abituali, una conseguenza
di mille fatti antecedenti; e il tormentato esaminator di se stesso, per
rendersi ragione d'un sol fatto, si trovò ingolfato nell'esame di tutta la sua
vita. Indietro, indietro, d'anno in anno, d'impegno in impegno, di sangue in
sangue, di scelleratezza in scelleratezza: ognuna ricompariva all'animo
consapevole e nuovo, separata da' sentimenti che l'avevan fatta volere e
commettere; ricompariva con una mostruosità che que' sentimenti non avevano
allora lasciato scorgere in essa. Eran tutte sue, eran lui: l'orrore di questo
pensiero, rinascente a ognuna di quell'immagini, attaccato a tutte, crebbe fino
alla disperazione. S'alzò in furia a sedere, gettò in furia le mani alla parete
accanto al letto, afferrò una pistola, la staccò, e... al momento di finire una
vita divenuta insopportabile, il suo pensiero sorpreso da un terrore, da
un'inquietudine, per dir così, superstite, si slanciò nel tempo che pure
continuerebbe a scorrere dopo la sua fine. S'immaginava con raccapriccio il suo
cadavere sformato, immobile, in balìa del piú vile sopravvissuto; la sorpresa,
la confusione nel castello, il giorno dopo: ogni cosa sottosopra; lui, senza
forza, senza voce, buttato chi sa dove. Immaginava i discorsi che se ne sarebber
fatti lì, d'intorno, lontano; la gioia de' suoi nemici. Anche le tenebre, anche
il silenzio, gli facevan veder nella morte qualcosa di piú tristo, di
spaventevole; gli pareva che non avrebbe esitato, se fosse stato di giorno,
all'aperto, in faccia alla gente: buttarsi in un fiume e sparire. E assorto in
queste contemplazioni tormentose, andava alzando e riabbassando, con una forza
convulsiva del pollice, il cane della pistola; quando gli balenò in mente un
altro pensiero. "Se quell'altra vita di cui m'hanno parlato quand'ero ragazzo,
di cui parlano sempre, come se fosse cosa sicura; se quella vita non c'è, se è
un'invenzione de' preti; che fo io? Perché morire? Cos'importa quello che ho
fatto? Cos'importa? E' una pazzia la mia... E se c'è quest'altra vita...!"
A un tal dubbio, a un tal rischio, gli venne addosso una disperazione piú nera,
piú grave, dalla quale non si poteva fuggire, neppur con la morte. Lasciò cader
l'arme, e stava con le mani ne' capelli, battendo i denti, tremando. Tutt'a un
tratto, gli tornarono in mente parole che aveva sentite e risentite, poche ore
prima: "Dio perdona tante cose, per un'opera di misericordia!" E non gli
tornavan già con quell'accento d'umile preghiera, con cui erano state proferite;
ma con un suono pieno d'autorità, e che insieme induceva una lontana speranza.
Fu quello un momento di sollievo: levò le mani dalle tempie, e, in un'attitudine
piú composta, fissò gli occhi della mente in colei da cui aveva sentite quelle
parole; e la vedeva, non come la sua prigioniera, non come una supplichevole, ma
in atto di chi dispensa grazie e consolazioni. Aspettava ansiosamente il giorno,
per correre a liberarla, a sentire dalla bocca di lei altre parole di refrigerio
e di vita; s'immaginava di condurla lui stesso alla madre. "E poi? Che farò
domani, il resto della giornata? Che farò doman l'altro? Che farò dopo doman
l'altro? E la notte? La notte, che tornerà tra dodici ore! Oh la notte! No, no,
la notte!" E ricaduto nel vòto penoso dell'avvenire, cercava indarno un impiego
del tempo, una maniera di passare i giorni, le notti. Ora si proponeva
d'abbandonare il castello, e d'andarsene in paesi lontani, dove nessun lo
conoscesse, neppur di nome; ma sentiva che lui, lui sarebbe sempre con sé: ora
gli rinasceva una fosca speranza di ripigliar l'animo antico, le antiche voglie;
e che quello fosse come un delirio passeggiero; ora temeva il giorno, che doveva
farlo vedere a' suoi così miserabilmente mutato; ora lo sospirava, come se
dovesse portar la luce anche ne' suoi pensieri. Ed ecco, appunto
sull'albeggiare, pochi momenti dopo che Lucia s'era addormentata, ecco che,
stando così immoto a sedere, sentì arrivarsi all'orecchio come un'onda di suono
non bene espresso, ma che pure aveva non so che d'allegro. Stette attento, e
riconobbe uno scampanare a festa lontano; e dopo qualche momento, sentì anche
l'eco del monte, che ogni tanto ripeteva languidamente il concento, e si
confondeva con esso. Di lì a poco, sente un altro scampanìo piú vicino, anche
quello a festa; poi un altro. "Che allegria c'è? Cos'hanno di bello tutti
costoro?" Saltò fuori da quel covile di pruni; e vestitosi a mezzo, corse a
aprire una finestra, e guardò. Le montagne eran mezze velate di nebbia; il
cielo, piuttosto che nuvoloso, era tutto una nuvola cenerognola; ma, al chiarore
che pure andava a poco a poco crescendo, si distingueva, nella strada in fondo
alla valle, gente che passava, altra che usciva dalle case, e s'avviava, tutti
dalla stessa parte, verso lo sbocco, a destra del castello, tutti col vestito
delle feste, e con un'alacrità straordinaria.
"Che diavolo hanno costoro? Che c'è d'allegro in questo maledetto paese? Dove va
tutta quella canaglia?" E data una voce a un bravo fidato che dormiva in una
stanza accanto, gli domandò qual fosse la cagione di quel movimento. Quello, che
ne sapeva quanto lui, rispose che anderebbe subito a informarsene. Il signore
rimase appoggiato alla finestra, tutto intento al mobile spettacolo. Erano
uomini, donne, fanciulli, a brigate, a coppie, soli; uno, raggiungendo chi gli
era avanti, s'accompagnava con lui; un altro, uscendo di casa, s'univa col primo
che rintoppasse; e andavano insieme, come amici a un viaggio convenuto. Gli atti
indicavano manifestamente una fretta e una gioia comune; e quel rimbombo non
accordato ma consentaneo delle varie campane, quali piú, quali meno vicine,
pareva, per dir così, la voce di que' gesti, e il supplimento delle parole che
non potevano arrivar lassú. Guardava, guardava; e gli cresceva in cuore una piú
che curiosità di saper cosa mai potesse comunicare un trasporto uguale a tanta
gente diversa.