CAP. XXVI°

La maturità narrativa del capitolo
Il colloquio tra don Abbondio e il Cardinale
Le considerazioni critiche
Don Abbondio
Lucia
La conclusione del capitolo: Renzo

 

A) La maturità narrativa del capitolo
La maturità narrativa del capitolo si mostra sotto due aspetti. Il primo è quello dell’intreccio che riprende la vicenda dei personaggi legati al vissuto di Lucia, ancora una volta al centro di tutta la narrazione. I principali sono: il Cardinale, che agisce da catalizzatore portando chiarezza nella conversione dell’Innominato ma non ottenendo lo stesso effetto su don Abbondio, e Renzo, del quale si parla senza vederlo in azione.
Il secondo aspetto è quello dell’alternanza di tre toni nel corso del capitolo:
• comico-sarcastico nel mostrarci la miseria dell’anima di don Abbondio messa a confronto col fervore religioso di Federigo;
• elegiaco con cui si placa il contrasto della coscienza di Lucia;
• comico-ironico intriso di satira verso la mentalità politico-burocratica.

B) Il colloquio tra don Abbondio e il Cardinale
A differenza del capitolo precedente in cui il Cardinale e don Abbondio non si incontrano, ma sono analizzati distintamente e con esiti opposti, in questo avviene l’incontro tra i due personaggi, che nonostante la loro diversità hanno qualche punto di contatto.
Il massimo che il Manzoni può permettere alla sensibilità di don Abbondio è una certa commozione: non come il pianto davanti alla chiesa, prima di andare dall’Innominato, dettato dalla pietà di se stesso, ma un certo senso di rimorso e consapevolezza dell’egoismo sempre avuto nei confronti delle sventure altrui. Questo sentimento di commozione è suscitato dalla precisa inquisizione del Cardinale che, con le sue domande rigorose e incalzanti, mostra tutte le mancanze e le colpe di don Abbondio e nasconde una chiara visione della problematica morale.

C) Le considerazioni critiche
Il De Robertis rileva nel colloquio tra don Abbondio e il Cardinale un’affinità fra le parole di quest’ultimo e le idee presenti nelle Osservazioni sulla morale cattolica. Il critico afferma che in questo scambio di battute “ci par di sentirne la prosecuzione, mossa allo stesso fine, seppur diversa d’accenti”. Riguardo alla prosa, essa è considerata altissima per la penetrazione di un’anima nell’altra.
Invece il Momigliano ci offre il suo giudizio in sede narrativa dichiarando che l’anima meschina del misero curato viene messa a nudo dalla parola indagatrice del Cardinale.

D) Don Abbondio
Nella prima parte del colloquio con Federigo don Abbondio cerca per le sue azioni attenuanti e scuse che risultano essere meschine e puerili. Nella seconda parte invece tace, comprendendo di non potersi difendere e borbottando tra sé e sé, e mostra un’ostinata pertinacia nel suo atteggiamento. Questo comportamento giunge al suo culmine quando il curato utilizza gli stessi aggettivi che definiscono la resurrezione di Cristo (“glorioso e trionfante”) per descrivere il ritorno di Don Rodrigo. Questa sua impertinenza linguistica è un aspetto su cui il Manzoni insiste particolarmente per mostrarci ancora una volta la miseria morale del personaggio di don Abbondio. Un altro aspetto significativo mostratoci dal narratore è quello (precedentemente trattato) della commozione di don Abbondio. A differenza del giudizio del De Sanctis e altri critici, secondo i quali nel Cardinale vi sono le idee e in don Abbondio l’uomo, è corretto affermare che il Manzoni mostra un mondo senza inquinamenti agiografici e racconta di una conversione mai avvenuta.

E) Lucia
Nella vicenda di Lucia è trattato ancora una volta il tema dell’amore, che non può essere imprigionato dalla volontà. Ad esempio, si capisce che il voto di Lucia è stato frutto di un momento di terrore e non di un’accurata meditazione religiosa. Inoltre lo si avverte perché il pensiero della morte di Renzo ha una drammaticità caratteristica di una creatura che ancora ama.
Rispetto al capitolo precedente in queste pagine di alta poesia emerge il tema della tristezza della rinuncia. Ne è indice, come già ricordato dal Getto, anche la ripetizione dell’aggettivo ”povero”, riferito sia al dolore di Agnese, sia al futuro dolore di Renzo, sia a quello inconfessato della stessa Lucia.
Sono pagine di alto lirismo manzoniano, in cui sono sufficienti poche parole per esprimere i sentimenti, parole di un’essenzialità da non confondersi con la reticenza o la pruderie del borghese bigotto: infatti in realtà la battuta di Lucia “fatemi saper che è sano; e poi… non mi fate sapere più nulla” è una piena dichiarazione d’amore nei confronti di Renzo.
La scena del colloquio con Agnese, ricca di toni di alto patetico, mostra come quel voto abbia separato la figlia dal rapporto e della responsabilità con la madre: ormai Lucia è promessa alla Madonna. Ma Lucia vuole conservare i legami con la famiglia: chiede infatti, come ultima grazia, di poter un giorno tornare dalla madre. Proprio per questo forte vincolo con le persone care è stroncata dalla rinuncia ed esprime il suo dolore con scoppi di pianto.
Si può dire che da queste pagine si intraveda l’inizio di quel crepuscolarismo tipico di fine Ottocento, del Gozzano e del Corazzini, ma più vicino a quello del De Marchi, così ricco di poesia sia dell’affetto che della rinuncia; quest’ultimo è l’elemento caratterizzante del discorso tra Lucia e Agnese.

F) La conclusione del capitolo: Renzo
Per contrapposizione all’intensità delle parti precedenti il Manzoni chiude il capitolo con le notizie di Renzo che ricevono le burocrazie ufficiali. Gli amici, come Bortolo, inventano fandonie sul suo conto per trarre in inganno i curiosi. In particolare proprio il cugino Bortolo trarrà in inganno il Cardinale Federigo,pur non sapendo quale personaggio e a quali scopi chiedesse notizie del giovane.
In conclusione, dunque, il Manzoni si diverte non più narrando l’equivoco, ma insistendo sulla satira del linguaggio burocratico e delle manovre diplomatico-poliziesche che possono essere rese vane da un semplice Bortolo.

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