Torna all'indice dei capitoliCAP. XIII°

Puntualizzazioni sulla concezione del popolo
Inquadramento ed interpretazione del personaggio di Ferrer
I modi della narrazione

 

A) Puntualizzazioni sulla concezione di popolo
Il Manzoni si identifica in parte col personaggio di Renzo, in parte se ne distacca, mostrandocelo come il contadino inurbato a contatto con una realtà più grande di lui, quella della città. Analoga è sostanzialmente anche la posizione nei riguardi della folla, della cui esasperazione l'autore può comprendere bonariamente le ragioni, sebbene essa sia condannata per i suoi atteggiamenti irrazionali (distruggere i forni non può servire certo di rimedio contro la carestia). Inoltre i veri responsabili di quell'esasperazione sono i governanti, ed anche questo costituisce un motivo di ammorbidimento delle responsabilità del popolo.
Ma esiste una precisa novità in questo capitolo, rispetto alla visione del popolo: gli atteggiamenti irrazionali non possono servire in alcun caso a giustificare la violenza o l'omicidio. Il fatto che il Vicario di provvisione sia causa della carestia non può giustificarne il linciaggio. Se alla violenza delle istituzioni si reagisce con la violenza irrazionale della folla, cessa ogni senso per una società civile. Una tesi assai cara al Manzoni, la celebrazione della quale è indubbiamente l'asse portante di tutto questo capitolo.
Infatti esso risponde tutto quanto a questa struttura: la diversificazione della folla è tutta fra chi vorrebbe il linciaggio del Vicario, primo fra tutti il vecchio malvissuto, e chi ha istintivo orrore di questo gesto, Renzo. Questi due sono quindi i poli di un'antitesi netta. Nella presentazione del vecchio malvissuto viene meno per un attimo la consueta pacatezza manzoniana, e nessun aggettivo la invoca (il sogghigno diabolico, la canizie vituperosa). La sua violenza ha un che di disumano e di disgustoso, di veramente diabolico, e rimanda per molti versi all'episodio dantesco di Buonconte. Indubbiamente il vecchio malvissuto è il momento di punta della polemica manzoniana del capitolo: infatti non solo gli è contrapposto Renzo, come dicevamo, che lo rimbrotta con grande sicurezza - rischiando non poco, ma addirittura persino Ferrer è rivalutato in quanto il suo intervento ha il merito di stornare il gesto tragico dell'uccisione del Vicario.

B) Inquadramento ed interpretazione del personaggio di Ferrer
Infatti anche Ferrer è vecchio, ma la sua vecchiaia è volutamente contrapposta a quella del vecchio malvissuto. Affermare che il Manzoni apprezza il gesto generoso di Ferrer, di scendere in campo per sottrarre il Vicario al linciaggio, non significa però affermare che egli ci offra di questo personaggio un quadro positivo. Anzi: abbondano le spie testuali della sua negatività: la sua testa è una zucca monda, la sua toga pare una coda di serpe, l'italiano è la lingua con cui buggerare il popolo, ma i suoi veri sentimenti li esprime in castellano. E secondo quei veri sentimenti, il tumulto avrebbe dovuto solo essere represso brutalmente, visto che egli non ne è minimamente toccato in quanto uomo di governo, e lo vede solo come un potenziale pericolo per la sua carriera, dovendone forse rispondere al Governatore don Gonzalo. Se nel capitolo precedente di Ferrer era vista la negatività intellettuale (la sua incapacità di ragionare e la sua caparbietà), ora si sottolinea ancora una volta la negatività morale, che si esplica nella sua ipocrisia e nella volontà esasperata di ingannare il popolo con il fascino ed il carisma della sua figura.
Assai efficace è anche il suo cocchiere, che funge quasi da controfigura, riprendendo come in funzione contrappuntistica tutti i gesti e i modi del padrone. Quando la carrozza è finalmente libera, non ha più certo tanti scrupoli nel frustare i cavalli: la gente ora è poca, e può essere anche travolta senza troppi problemi.

C) I modi della narrazione
Il capitolo è caratterizzato da una notevole tensione: ed è naturale, visto il tema, che è quello dell'omicidio sventato. Se Renzo prima poteva osservare standosene in disparte, e fare qualche commento fra il critico ed il benevolo, ora, di fronte al linciaggio, deve impegnarsi con tutta la forza dei suoi vent'anni per impedirlo, e non può più assistere passivamente.
Ma, al solito, denunciare l'impegno etico di un capitolo, non significa esaurire la complessità dei modi narrativi manzoniani: essi non vanno solo nella direzione della denuncia. Vi è anche il narratore distaccato, che narra con impersonalità i fatti storici, nel silenzio del suo studiolo. Questo aspetto della natura manzoniana è sicuramente presente nella sua anima tanto quanto l'appassionato impegno etico-politico: un bisogno di serena obiettività e di libertà spirituale nel giudicare le cose, senza essere troppo condizionato dall'aspetto caldo ed esplosivo della materia narrata. Quindi se il messaggio contenuto in questo capitolo risponde tutto quanto al comandamento evangelico "Non uccidere"; il Manzoni, sapendo che purtroppo nella storia sempre si è ucciso e sempre si ucciderà, sente istintivamente il bisogno di divergere nell'obiettività, per non impoverire la sua attenzione etica, così vitale, ma pure così lontana dalla realtà dalla storia. La sua è certo la verità, ma esistono anche i più, che di quella verità nulla intendono, ed il narratore scrive anche per loro, forse soprattutto per loro. Ecco allora emergere quella umanità stolida, ingenua e crudele, che fa soffrire e soffre, pur dichiarando ad ogni istante di possedere l'antidoto contro la sofferenza. E l'arte del Manzoni eccelle sicuramente nel dono naturale di descriverla, nell'intento di denunciarla ed accusarla, pur sapendo parlare anche a chi è sordo agli argomenti della religione e dell'etica.

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