Il problema della
giustizia
La figura del dottor Azzeccagarbugli
L'episodio di fra Galdino
A) Il problema della giustizia
Come è possibile affermare guardando alla carta su cui furono stesi i primi due
capitoli del romanzo, e quella del terzo, che è diversa, esiste uno stacco preciso fra
quelli e questo. Il narratore - si può affermare - decide di alzare il tiro della sua
analisi, e mette al centro del terzo capitolo il problema fondamentale di ogni società
civile: la giustizia. L'amministrazione della giustizia è uno dei banchi di prova di ogni
società civile, e ne è soprattutto al centro della vita morale. Indubbiamente la
responsabilità morale dell'avvocato Azzeccagarbugli è molto più grave di quella dei
Bravi o di don Abbondio: attraverso la sua corruzione, egli mette la sua scienza ed il suo
sapere al servizio dell'iniquità.
Ma questo terzo capitolo ci mette anche a contatto con la sete di giustizia che
caratterizza il mondo umano del Manzoni: il problema del trionfo del bene l'aveva
angosciato fin dall'inizio delle sue riflessioni sulle cose umane. Se in un primo momento
il Manzoni dà una risposta di tipo religioso, ponendo la questione della giustizia nel
mondo nei termini di un'attesa mistica che si compia il volere di Dio al termine
dell'esistenza del mondo, tuttavia egli non può acquietarsi e rimanere contento di essa; egli
avverte la necessità di misurarsi col problema della storia: tuttavia
l'esperienza del razionalismo illuministico, coi fallimenti della rivoluzione francese e
dell'impero napoleonico, non può certo fornirgli risposte valide. L'unica soluzione che
si prospetta al Manzoni è quella della sua concezione provvidenziale della storia,
che gli consente di tramutare l'attesa mistica del compiersi del volere di Dio al
termine della storia del mondo, nella visione messianica, che lo
spinge ad intravvedere in alcuni eventi clamorosi della storia il segno del volere divino
tendente al bene. Si viene così ad instaurare un preciso parallelo fra Grazia
e Provvidenza: se la prima rende eccezionali gli individui e li salva
ponendoli a diretto contatto con la realtà di Dio, la seconda produce invece gli eventi
eccezionali, che, imperscrutabilmente ma infallibilmente, recano le eccezionali salvezze.
Sia la Grazia sia la Provvidenza operano però a livello terreno, e possono riguardare
qualunque uomo, l'umile filatore di seta come il nobil signore. Possiamo pertanto
affermare che, nella concezione di giustizia manzoniana, l'irrazionalismo è di natura
messianica: ovverosia la Grazia è strumento della Provvidenza nella realizzazione nella
storia di un piano salvifico. La vicenda di Renzo e Lucia assurge così a paradigma
di tutta la vicenda umana, proprio come la salvezza dell'anima individuale nella
luce divina fa della Commedia dantesca un paradigma del percorso di tutta
l'umanità verso Dio.
B) La figura del dottor Azzeccagarbugli
Agostino Bottazzi, Renzo e Azzeccagarbugli |
L'avvocato venduto è sicuramente al centro della narrazione, perchè il Manzoni con implacabile nitidezza ne mette in evidenza tutti i caratteri negativi: egli è un miserabile, ma il Manzoni non ce lo dice apertamente; ci descrive invece una situazione di forte equivoco comunicativo, che si risolve in un apparente distruzione del povero Renzo, che viene allontanato in malo modo dall'avvocato, ma in realtà si compie la distruzione della sua figura. La quale, come pure gli oggetti che lo circondano, la serva stessa, e il quadro descrittivo d'assieme sottolineano con efficace compattezza il grado di un'assoluta miseria morale: ciò che preme in realtà all'avvocato è di assicurarsi il favore di don Rodrigo, e un posto alla sua tavola, non importa se per questo egli debba calpestare la giustizia di cui dovrebbe essere servitore e garante.
C) L'episodio di fra Galdino
Una funzione di stacco narrativo ha sicuramente l'episodio della cerca delle noci di fra Galdino. Il tema del miracolo
raccontato dal frate ha però un'attinenza col problema della giustizia. Le noci negate al
convento suscitano l'intervento punitore di Dio. Nonostante che fra Galdino sia presentato
anche con i suoi "difettucci", come direbbe il Manzoni, egli mostra anche un suo
candore, e una sua modestia discreta; la sua figura serve da contrappeso all'atmosfera
dell'equivoco e dell'imbroglio miserabile della sequenza precedente. Sentiamo, in questo
episodio di carità prestata, un'aura di serenità e di armonia nel reciproco rapporto di
tutte le creature umane, quelle che donano e che ricevono; alla funzione di contrappeso,
nell'ottica della quale fra Galdino offre una vicenda opposta a quella della grettezza e
dello squallore di Azzeccagarbugli, si affianca anche la funzione preparatoria di questo
episodio all'ingresso in scena di uno dei massimi eroi (e ci riserviamo di meglio
approfondire più avanti l'accezione di questa parola nel mondo manzoniano) del
romanzo: fra Cristoforo.