Torna all'indice dei capitoliCAP. XV°

Il Manzoni si vuole fare gioco di Renzo?
L'oste della Luna Piena
Il notaio criminale

 

A) Il Manzoni si vuole fare gioco di Renzo?
Il personaggio di Renzo non esprime meno del mondo  del suo creatore rispetto a Lucia. Sarebbe superficiale affermare che Lucia ha uno spessore funzionale superiore al suo promesso nell'economia del romanzo. Se la religiosità, vissuta con soavità e fermezza di carattere è al centro della figura di Lucia, e si gioca tutta su componenti squisitamente femminili, quali l'istinto ed il sentimento, diversamente avviene per Renzo, in cui la religiosità è pure centrale, ma si rivela ancorata a motivi e necessità più terrene, razionali e concrete. Così potremmo scrivere l'equazione:

Lucia = religione e fede
Renzo = religione e storia

Se quanto precede è vero, allora appare superficiale il giudizio di chi vuole vedere nell'atteggiamento del Manzoni verso Renzo solo un gioco o una sottile volontà di beffa. Non è così, anche se va certo tenuto presente che il narratore ha in mente il topos letterario del contadino inurbato, un modulo assai illustre e che risale alle letterature classiche. Ma se il narratore volesse solo prendere in giro Renzo, tutto quello che abbiamo già detto nel commento al 14° cap. circa l'identificazione fra i due, verrebbe a cadere.
Sarebbe anche interessante confrontare il personaggio di Renzo col tipo comico del Calandrino boccaccesco: mentre questi è un idiota che vuole fingersi furbo e viene smascherato e beffeggiato da tutti, Renzo, invece, è dabbene, ossia ingenuo, perché onesto: e chi è onesto, in un mondo di furbi e di ipocriti, non può apparire se non idiota, o comunque fuori luogo. Che Renzo non sia sciocco, ma impari subito la lezione di questo mondo di ipocriti e di sopraffattori, lo dimostra che egli non presta fede a tutte le menzogne con cui il notaio criminale lo vuole rabbonire, per ottenere lo scopo di condurlo in prigione. E nessuno può dubitare che la protesta contro un mondo di potenti che si servono del latino e del catellano per ingannare la povera gente non trovi il M. concorde al cento per cento: di un personaggio capace di essere fiero di aver fatto tutto in volgare, ossia di aver detto le cose una volta per tutte nella chiarezza della verità, il M. non può certo prendersi gioco.

B) L'oste della Luna Piena
La figura di questo oste, che abbiamo già conosciuto nel cap. precedente, viene approfondita anche qui. Egli ha una sua precisa configurazione morale, che lo accomuna a quello del paese di Renzo. E' la morale dell'interesse privato, senza preoccupazione per gli interessi civili e sociali, gli interessi "degli altri" che egli non può identificare anche come i suoi. Egli sa di non potersi comportare altrimenti da come i tempi e i potenti lo costringono: il mondo è sempre stato in loro mano, e qualunque cosa si ascolti o si senta, bisogna far finta di niente, e badare solo che i clienti paghino: non importa se essi parlino di pane e di galera. Bisogna solo far l'oste (espressione divenuta proverbiale in italiano proprio grazie a queste magistrali figure di osti manzoniani).
La negatività di questo oste è tuttavia smorzata dal fatto  che egli prova una segreta, quasi inconfessata attrazione per Renzo, cioè per la sua antitesi vivente (il binomio prudenza-imprudenza): egli a differenza di Renzo, sa che quella giustizia da lui tanto gridata è impossibile e che costerà cara al montanaro: ma questa consapevolezza gli causa un certo sentimento paterno e di pietà verso l'ingenuo giovane, che sente con ambivalenza come un seccatore, ma anche confusamente come la vittima innocente di un mondo spietato di violenza. Dunque un personaggio più approfondito e meglio caratterizzato del primo oste. Appartiene ad un popolo che ha ancora in sé tutte le possibilità di una coscienza morale, ma che fallisce perchè tenuto sotto il calcagno di un sistema politico violento, e soprattutto per mancanza di chiarezza etica ed intellettuale.

C) Il notaio criminale
E proprio di nullaggine intellettuale e morale è intriso totalmente il secondo dei personaggi minori del capitolo: il notaio criminale. Asservito al sistema di in-giustizia e sopraffazione della dominazione spagnola, egli si rivela capace di assoggettarsi a questo sistema di violenza e sopraffazione per il solo amore di carriera e di quieto vivere (l'amore per la toga): è per amore di carriera che egli è felice di poter consegnare nelle mani dei suoi superiori un responsabile del tumulto: che lo sia veramente, è poi cosa totalmente secondaria, ai suoi occhi. Il fatto di avere un colpevole fra le mani è per lui la riprova che il suo sistema giudiziario funziona: ecco perché si lascia andare alla deformazione professionale di vedere in tutti (anche in chi, come l'oste, non sta facendo altro che il suo dovere di esguire le prescrizioni di legge) potenziali criminali. Infatti il tono con cui si rivolge all'oste è quello con cui l'uomo di giustizia si rivolge ad un colpevole o ad un sospetto. Di qui la conseguenza che "aver a che fare con la giustizia" è sempre un pericolo, anziché una garanzia della vita associata.
Altra caratteristica di un uomo di legge fasullo, di un falso magistrato, un uomo nullo sotto il prfilo etico e professionale, è poi che sa fare il tracotante e lo spavaldo solo quando si sente al sicuro nel palazzo di giustizia: ma poi è vigliacco fino al midollo di fronte alla folla minaccioso. La sua fuga (uh! corvaccio) ne sancisce la distruzione totale. Anche se abbiamo una sfumatura comica in questa beffa popolare ai suoi danni, la condanna morale e civile del M. non potrebbe essere più completa.

Concludendo, possiamo affermare che la lezione che Renzo deve apprendere con grande celerità per sottrarsi alle grinfie del notaio è già la molla del riscatto dalla sua precedente ingenuità-dabbenaggine, che diventerà completa però solo quando egli saprà trovare dentro di sé la forza per non crollare, e sentirà infine la voce dell'Adda, potente metafora anche simbolica del salvataggio della sua Anima.

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