I personaggi minori della
prima sequenza: il barocciaio, il barcaiolo, il padre guardiano
Interessi narrativi e contenutistici del Manzoni nella
vicenda di Gertrude
Il principe padre: un personaggio shakespeariano
Gertrude: un personaggio tragico, anima violata da un destino
avverso
A) I personaggi minori, e l'incipit
del capitolo
Il capitolo inizia con un ridimensionamento nella realtà dei sentimenti e delle
speranze di Lucia. Abbiamo la scena del distacco fra i Promessi. Già la barca che urta la
riva dà molto conretamente l'idea del distacco dai pensieri, del ritorno alla realtà.
Anche la nuda panca su cui i tre fuggitivi siedono serve a suggerire l'idea della
stanchezza, della solitudine, della durezza della nuova realtà a cui i fuggitivi sono
ormai crudamente esposti.
Questa generale nota di distacco è presente anche nei personaggi minori che compaiono
all'inizio del capitolo nella funzione di uomini fidati del padre Cristoforo: il barcaiolo
ritira un po' bruscamente la mano in cui Renzo voleva far scivolare una qualche moneta, il
barocciaio dal canto suo si rivela un buon uomo sicuramente, ma troppo infatuato del mito
dei potenti, che hanno sempre ragione; e il padre guardiano, amico di fra Cristoforo, si
rivela in realtà un ben povero aiuto, visto che penserà subito alla "Signora",
la monca di Monza, appunto, che a lui appare in tutto il suo mito di elezione e di
nobiltà, e di cui egli non ha in realtà capito nulla. Il padre guardiano ha anche una
certa mondanità, che dimostra facendo un discorso non molto adeguato all'abito che porta
intorno alla bellezza fisica di Lucia. Il suo tentativo di rimediare a questa gaffe
non è molto felice. Anche il padre guardiano si rivela animato dallo spirito di
asservimento ai grandi del mondo.
In generale, dunque, si può dire che il Manzoni ottiene qui un ridimensionamento dei temi
alti e sublimi con cui si era chiusa la fase borghigiana del romanzo, e prepara in questo
modo la narrazione della fase successiva, tutta caratterizzata dalla crudele realtà di un
mondo in cui imperversano il male e la violenza: un mondo su cui l'artista Manzoni
rifletterà con grande intensità e passione e con un impegno che non gli avevamo ancora
conosciuto.
B) Interessi narrativi e
contenutistici del Manzoni nella vicenda di Gertrude
Nella vicenda di Gertrude, che, asservita ad un amante, favorisce il ratto di una
povera fanciulla, che sarà da lui consegnata al suo persecutore, salvo il colpo di scena
finale per cui la fanciulla passerà dal terrore alla salvezza, si notano tutti gli
elementi di una letteratura romanzesca d'avventura, a sfondo giallo, quale poteva essere
cara a certa letteratura d'appendice d'oltralpe. Temi facili, con cui avvincere il lettore
ed ottenere un grande successo.
Ma il Manzoni, inutile dirlo, avverte immediatamente il pericolo di scadere nella
volgarità: si sofferma sulla cautela con cui l'Anonimo tace i nomi, scherza sui dotti che
darebbero la vita per conoscerli. Possiamo però poi immediatamente cogliere che in
realtà l'interesse del Manzoni in tutta questa vicenda è un altro: non soffermarsi sullo
scandalo che pure è ampiamente presente nella vita e nella figura di Gertrude, nella vita
reale Maria Anna de Leyva, figlia di Virginia Marino e d'un nobile spagnolo (don Martino
de Leyva, figlio di Antonio de Leyva, che fu governatore del ducato di Milano, nominato
duca d'Ascoli da Francesco Sforza, e feudatario di Monza, titolo quest'ultimo che gli
confermò anche Carlo V°): ma riflettere invece su dolorose vicende rigorosamente
storiche, e prendere una netta posizione contro certe istituzioni, che usate in modo
distorto, al solo scopo di servire la vuota superbia di un casato e di un nome, possono
causare dolore e sofferenza e rovina. E' appunto il caso del maggiorascato
e della monacazione forzata, sua diretta conseguenza. Qui il Manzoni ci
rivela il suo sdegno per queste usanze, che, sradicate dal loro contesto storico, e
perpetuate senza più alcuna giustificazione, si rivelano usanze barbariche e
sostanzialmente anticristiane. Non è giusto metter al mondo figli per poi negare loro la
libera affermazione nella vita, a vantaggio di un solo, che è destinato ad ereditare
tutto il patrimonio. Non è possibile imporre una vita di sacrificio e di rinuncia, adatta
a spiriti elevati e propensi alla santità, a uomini o donne normali, incapaci di
qualunque grandezza, e chiamati dalla natura a vivere una vita normale.
In questa sdegnata polemica contro certi ordini religiosi potrebbe sembrare che il Manzoni
voglia assumere posizioni laiche ed anticlericali. In realtà non è affatto così. Il suo
dito si alza implacabile a condannare non già il clero, ma quei potenti laici, quei
nobili, che, attraverso l'usanza di mandare in convento figli cadetti, si servivano
indegnamente del clero come di un mero strumento al loro potere. E davano alla Chiesa non
già anime disposte a servirla, ma uomini e donne asserviti a ogni passione della terra, e
soprattutto intrisi di orgoglio, che è la prima negazione delle virtù cristiane. La
Chiesa era così asservita, anche se all'apparenza sembrava un privilegio che i figli dei
nobili entrassero a farne parte. Ancora una volta, la causa prima di ogni male di questo
Seicento pare al Manzoni la distorta concezione dell'onore, quel puntiglio e quel falso
orgoglio che spingono i singoli ad agire in modo biecamente esteriore, senza curarsi della
sostanza umana ed etica delle loro azioni. Anche alla base della "scommessa" di
don Rodrigo c'è il punto d'onore: ma ora, nel caso di Gertrude, vediamo come questo male
possa risultare ancora più devastante.
C) Il principe padre: un
personaggio shakespeariano
Personaggio cupamente monocorde, totalmente animato dall'orgoglio della casata,
incapace di qualunque sentimento ispirato ad un'autentica umanità, "assoluto"
nel portare a termine il proprio criminale disegno di sacrificare la figlia, piegato egli
stesso nella servitù al mito del suo potere, schiavo di esso più di quanto gli altri
mostrino di riverirlo e servirlo. Della vita non coglie nessun elemento positivo,
piacevole, e vive come un gretto miserabile burocrate, ministro della sua dignità. Figura
spietata, proprio perché totalmente priva di una qualunque luce, di qualunque dubbio.
Egli è affiancato dalla moglie e dal principino primogenito, che assecondano il suo
disegno senza altra motivazione che quella di un volgare interesse personale. Altrettanto
asservito il coro dei servi, tutti obbligati ad ossequiare la volontà del padrone. Questa
situazione cupa e terribile, solo apparentemente sfarzosa, di totale asservimento (e il
principale - ricordiamolo - è quello del Principe padre verso se stesso), è poi
simmetricamente presente anche nel convento, con la madre badessa, le monche faccendiere,
le quali si prestano senza minima esitazione a questa terribile ingiustizia, di accogliere
dentro il convento contro la sua volontà la giovane Gertrude. In realtà tutte sono
superficiali, incapaci di un'autentica coscienza, che avrebbe loro consentito di
perpcepire il delitto tremendo di questa coartazione.
D) Gertrude: un personaggio tragico,
anima violata da un destino avverso
Se tragica è la figura del Principe padre, la cui vita è oppressa da un destino
che lo porta alla sopraffazione ed alla violenza, la tragedia di un destino che porta al
dolore dello spirito e alla condanna dell'insoddisfazione perenne è tutta quanta presente
in Gertrude. Ella ha ereditato dal padre tutti i suoi stessi difetti: è orgogliosa,
superba, smaniosa di primeggiare e di trarre i massimi piaceri dalla vita, capace di
dissimulare. Due esseri legati nel sangue e nell'istinto, ma divisi da interessi opposti:
e soccombe, ovviamente, quello più debole, cioè Gertrude stessa. La quale dunque suscita
nell'animo del lettore (e del narratore) un'intensa pietà, che è tanto più forte quanto
più pronunciata è la reazione morale di abominio ed orrore che finiamo col provare,
insieme al narratore, per il Principe padre (tanto che "non ci regge il cuore a
chimarlo padre"). La pietà per la sofferenza di un destino avverso è la vena che
percorre queste pagine, splendide, del romanzo. La poesia di Gertrude è tutta racchiusa
in questa pietà. Ma provare pietà, una dovuta pietà, per lei, non significa mandarla
assolta dalle sue colpe, che in sede morale ci sono, e sono anche gravi. Gertrude infatti
arriva al delitto, il sommo dei crimini, per un percorso fatto di finzioni ed ipocrisie di
ogni genere. Chissà quante altre, nella sua condizione, avranno trovato il modo di farsi
una ragione, e di moderare la loro insoddisfazione, senza lasciarla degenerare nella
lussuria o nell'assassinio. Tuttavia, va ben specificato, onde evitare fraintendimenti,
che qui al Manzoni non interessa il giudizio morale definitivo su Gertrude. Considerando
infatti la vicenda storica, che si concluse con un'espiazione durata più di dieci anni,
ed il fatto che anche l'Innominato è redento dopo una vita trascorsa nel delitto, ci si
potrebbe anche chiedere perché il Manzoni non ci abbia voluto descrivere la redenzione e
la salvezza dell'anima di Gertrude. Ma al Manzoni interessa soprattutto suscitare la pietà
nel lettore, e, specularmente, il disgusto contro certi modi educativi e certe istituzioni
che pretendono di prendere a norma la coartazione di un'anima, il soffocamento del libero
sviluppo di una personalità umana. E' precisamente qui che la valenza
"educativa" del romanzo tocca uno dei suoi momenti più alti e più
straordinari.
Già nella descrizione di Gertrude abbiamo la sensazione che il Manzoni cerchi i modi
narrativi specifici per questo superbo romanzo nel romanzo. I sottili, quasi
impercettibili tratti di scompostezza presenti in Gertrude, che vengono a turbare un
ritratto solo in apparenza ispirato a criteri di bellezza classica, cioè fondata
sull'armonia e sulla regolarità, costituiscono un primo importante segnale del dramma che
si agita anche nell'anima della protagonista. Questa pagina è un'altra prova superba
dell'arte manzoniana, che ci fornisce qui un vero ritratto romantico, ove la bellezza è
appunto nell'inquietudine e nell'irregolarità che emergono dal viso di Gertrude.