Torna all'indice dei capitoliCAP. VIII°

Le sequenze narrative
I caratteri del procedimento narrativo
Lo "Addio monti": la prima testimonianza di religiosità nel romanzo

 

A) Le sequenze narrative
L'ottavo capitolo rappresenta innanzitutto l'ultimo della cosiddetta fase borghigiana del romanzo. I due Promessi da questo momento in poi saranno separati, e dovranno ciascuno per proprio conto affrontare una serie di prove, fino al ricongiungimento finale. Il capitolo è pertanto la stazione d'arrivo del primo progetto di stesura del romanzo, prima che la materia si estendesse sotto le mani del M. al punto da consentirgli gli ampliamenti dell'intreccio che analizzeremo nei prossimi capitoli.
Il capitolo si distingue nettamente in cinque sequenze, così individuabili:

  1. il fallito tentativo di matrimonio in casa di don Abbondio
  2. il colpo fallito dei bravi
  3. l'assembramento della folla ai ritocchi della campana
  4. l'incontro dei Promessi e di Agnese in chiesa col padre Cristoforo
  5. l'abbandono del paese

La struttura narrativa del capitolo è decisamente complessa, e la materia viene dominata dal narratore con sicurissima maestria. Le cinque sequenze su elencate si possono suddividere secondo criteri diversi: v'è innanzitutto uno stacco netto fra le prime tre e le ultime due (=123--45), inquantochè nelle prime abbiamo l'operare del partito dei malvagi, nelle ultime l'azione dei perseguitati. Si sciolgono così in due correnti distinte le azioni che nel capitolo precedente erano fatte procedere in parallelo. Esiste però un'altra, e forse più sottile comunanza delle sequenze, che può permettere di appaiare i primi due espisodi e gli ultimi tre (=12--345): infatti i primi due episodi mantengono i tratti della commedia, assomigliano a scene da rappresentazione comica. La vicenda di don Abbondio è incentrata quasi su di un ritmo di balletto, mentre la spedizione dei bravi è colma di suspense e di beffa. Sigillo di scena, dunque. Non così per le sequenze 345, dove il Manzoni invece gioca la carta di una tecnica narrativa diversa, quella del disegno di quadro, variando però i caratteri di ciascuno: quadro vivace e mosso quello della folla, solenne e quasi immoto quello della preghiera di fra Cristoforo, con i fuggitivi che gli fanno da corona quasi a sottolinearne l'eroismo e la superiorità etica; quadro peasistico, infine, quello finale, dove il paesaggio stesso si anima di intensità di ricchezza affettiva perchè suscita il pianto segreto di Lucia.

B) I caratteri del procedimento narrativo
In questo passaggio dalla linea al quadro, il narratore si serve però costantemente di riferimenti interni, che fondono perfettamente l'una con l'altra scena: si tratta delle notazioni luministiche e delle pause musicali. Il primo elemento di cui il Manzoni si serve come "sutura", è proprio la luce lunare: essa accomuna tutte e cinque le sequenze, illuminando i sopraccigli folti di don Abbondio, la piazza in cui si raduna la folla, la barba candida del padre Cristoforo, il lago e la scia resa argentata della barca che trasporta i fuggitivi. Anche il suono, oltre che la luce, gioca un ruolo importantissimo nell'economia narrativa del capitolo: il contrasto rumore-silenzio determina gran parte degli effetti, e in tutti i momenti in cui il silenzio è rotto, v'è una grande efficacia: come per lo scricchiolìo del passo assassino del bravo nella casa ormai abbandonata di Lucia, per il lacerante rintocco della camapana a martello, o per il tonfo misurato dei remi, che fa da contrappunto ai segreti pensieri di Lucia. Analogamente, altamente musicale e tutto studiatissimo è il linguaggio: soprattutto quello dello "Addio", dove il Manzoni ricorda la sua vena lirica, e ricorre con ampiezza al ritmo melodico dell'endecasillabo, del settenario tronco, dell'ottonario o del decasillabo. Tutte queste sono in estrema sintesi considerazioni che dobbiamo al Getto, che ha scritto mirabili ed imprescindibili pagine sull'ottavo capitolo del romanzo. Potremmo anche paragonarlo ad un magistrale pezzo musicale, dove ad un inizio simile ad una sinfonia all'italiana, come da un'opera di Rossini, si arrivi agli accenti sublimi del più alto sinfonismo romantico tedesco, ai magici accenti d'un adagio beethoveniano, nell'"Addio monti" finale.

C) Lo "Addio monti": la prima testimonianza di religiosità nel romanzo
Ma la maestria narrativa dell'artista sarebbe ben poca cosa, per quanto ci si potrebbe soffermare su di essa ben oltre, se non le si accompagnasse il momento altrettanto fondamentale della visione etico-religiosa, che dà corpo e senso al narrare stesso. Finora noi abbiamo imparato a conoscere un Manzoni che sa polemicamente puntare il dito contro ogni insufficienza morale, oppure messianicamente indicare una promessa o un castigo: ma qui, per la prima volta, su queste pure essenziali componenti della personalità del Manzoni, se ne innesta un'altra, più nuova: quella della religiosità. Al grande moralista, si affianca qui nel Manzoni, per la prima volta in modo scoperto ed esplicito, lo spirito intriso di religiosità. Di una duplice religiosità: quella quasi sovrumana ed eroica del padre Cristoforo, fatta di totale rinuncia di sé, e che culmina nella preghiera di perdono per il nemico, e quella ben più umana e commovente di Lucia, che è poi la possibilità di superare ogni contrasto, ogni dolore della vita, perchè riconduce tutto alla luce di Dio. E' questa la sostanza del celeberrimo finale, lo "Addio monti sorgenti", dove la religiosità si fa discorso umano, si risolve tutta nel pianto di Lucia, pianto per l'abbandono del paese, per il destino incompiuto di sposa e di madre, per le sofferenze che attendono Renzo a lei negato da un destino ostile; legame alla terra natale, amore, dolore: i valori eterni di cui è sostanziata la vita dell'uomo, quei pochi che danno un vero senso alla vita. Se non ci fosse chi ce li difende e garantisce, togliendoceli solo in apparenza, per darceli poi in misura ancora più grande, la nostra vita umana sarebbe ben poca cosa. Il pianto è in realtà una altissima preghiera, la celebrazione appassionata di una fede. E come tale, ridà a Lucia la forza di vivere e di sperare.

Vale appena la pena di ricordare qui come lo "Addio monti sorgenti" abbia dato occasione ai detrattori del M. di accusarlo di mancanza di credibilità per avere affidato a Lucia, una semplice contadinella lombarda, la sua voce di letterato aristocratico. A prescindere dal fatto che l'accusa così formulata pare fin troppo grossolana e maldestra, basti dire che il Manzoni giustifica questo passo, con la assai sobria specificazione "Di tal genere, se non tali appunto, ...": egli si mette così al riparo dalla retorica, attribuendo questi pensieri al suo personaggio, mentre salva il personaggio dalla retorica, suggerendo discretamente di aver dato le sue parole all'espressione del sentimento religioso di Lucia. Comunque, non pare proprio che la straordinaria sobrietà dell'"Addio", che pure è espressione diretta, lo ripetiamo, della forma di religiosità più sentita dal Manzoni, possa suscitare in un qualunque lettore, anche uno dei più antimanzoniani, la sensazione che si tratti di vuota retorica.

 

Vai al commento al Capitolo IXVai al commento al Capitolo VIIVai al testo del Capitolo VIII