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Le ricerche più recenti avanzano l'ipotesi
che i giapponesi descendano da un ceppo coreano. Ma gli intellettuali conservatori
ribadiscono l'unicità ed il mistero delle origini dell'impero del
Sol Levante
Cercando gli antenati
Peter Landers, Far eastern economic Review, Hong Kong
Tutto cominciò 2.400 anni fa, quando centinaia di persone migrarono
dalla penisola coreana, attraversando lo stretto bracccio di mare che le
separava dall'isola giapponese di Kyushu. All'inizio i nuovi arrivati ebbero
uno scarsissimo impatto sulle abitudini della popolazione jomon, le tribù
di cacciatori e raccoglitori che avevano abitato le isole giapponesi nei
diecimila anni precedenti.
Nel giro di alcuni secoli, tuttavia, si verificò una spettacolare
trasformazione: gli immigrati, che utilizzavano strumenti di metallo e
padroneggiavano la tecnologia della risicoltura su vasta scala, sviluppata
per la prima volta i Cina, arrivarono a dominare gran parte del Giappone
meridionale. In breve tempo nacquero piccoli Stati retti da un'aristocrazia,
che si diffusero nella pianura di Kansai, vicino ad Osaka. Nei primi secoli
dopo Cristo quello che un tempo era un piccolo gruppo di avventurieri provenienti
dalla Corea fondò uno Stato giapponese unificato, diretto antecedente
di quello odierno.
Questa è la storia raccontata da un numero crescente di antropologi
che studiano uno dei problemi più carichi di conseguenze politiche
della scienza giapponese: l'origine della popolazione del Giappone. Le
prove a sostegno di questa tesi, prevalentemente ossa e antichi manufatti,
sono consistenti, quando non schiaccianti. Ma l'aspetto che colpisce di
più è la scarsissima attenzione suscitata tra i giapponesi.
Molti intellettuali, rieccheggiando le convinzioni del periodo prebellico,
preferiscono ancora credere che le origini del giappone siano nascoste
in un passato lontano e inaccessibile alla ricerca scientifica. Una stretta
identificazione del Giappone con la Corea mette a disagio molte persone.
"I giapponesi non vogliono ammettere di essere in qualche modo imparentati
ai coreani", osserva Johann Nawrocki, specialista di storia del pensiero
dell'istituto germanico di studi giapponesi di Tokyo. Il Giappone ha colonizzato
la Corea dal 1910 al 1945, giustificando il suo dominio con l'idea che
i coreani fossero esseri inferiori bisognosi di una forza civilizzatrice.
Ancora oggi, in Giappone, la discriminazione nei riguardi dei coreani resta
forte.
Shinichiro Fujio, archeologo al Museo nazionale di storia giapponese,
racconta che, a volte, durante le conferenze sull'influsso coreano gli
ascoltatori più anziani lo contestano, insistendo che devono essere
stati i giapponesi a insegnare ai coreani la coltivazione del riso, e non
viceversa. "I giapponesi", osserva Fujio, "non pensano ai coreani come
loro simili. È un lavoro durissimo insegnare alla gente i fatti
della storia". Lo scarso interesse della stampa su questa controversia
costituisce un ulteriore ostacolo al diffondersi di una maggiore consapevolezza.
I media, infatti, preferiscono dedicare la loro attenzione a questioni
meno spinose, come per esempio l'ubicazione del reame di Pimiko, regina-sciamana
del Terzo secolo.
La storia basata sulla mitologia
Come sottolinea il professor Jared Diamond, docente dell'Università
della California di Los Angeles, nel numero del giugno 1998 della rivista
Discover, in Giappone parlare di storia antica non è mai stato semplice.
Prima e durante la Seconda guerra mondiale la propaganda del governo considerava
come fatti accertati i miti registrati nelle cronache antiche, usandole
come base per l'insegnamento.
Secondo la mitologia, il primo imperatore giapponese discendeva dalla
dea del sole e sal&igrane; al trono nel 660 avanti Cristo, fondando
una linea imperiale ininterrotta. Quando negli anni Trenta la destra nazionalista
rafforzò il suo potere in Giappone, per gli studiosi divenne impossibile
contestare questa storia.
Dopo la sconfitta giapponese nel 1945, la mitologia è stata
tolta dai programmi scolastici, anche se sono ancora difuse opinioni analoghe.
Per esempio, Takeshi Umehara, noto filosofo ed esperto di problemi culturali,
è un fautore dell'idea che i giapponesi abbiano le loro radici nella
popolazione del periodo jomon, e quindi che vissero in relativo isolamento
per circa diecimila anni. Secondo questa tesi, dunque, i giapponesi forse
non sono unici, ma hanno sicuramente un passato diverso da quello degli
altri popoli asiatici.
Le prove più recenti, tuttavia, suggeriscono che i jomon avessero
poco in comune con i moderni giapponesi. Da uno studio sui teschi - spiega
Yukio Dodo, professore all'Università Tohoku di sendai - emerge
che i jomon sono i diretti antenati degli ainu, popolazione a sé
stante che un tempo viveva numerosa sull'isola settentrionale di Hokkaido.
La civiltà degli ainu è srtata a lungo disprezzata dai giapponesi,
che l'hanno sempre considerata barbara e hanno costretto la popolazione
ad assimilarsi. Oggi resta solo un esiguo gruppetto di ainu purosangue.
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Riunione ainu |
Antenati continentali
Alcuni antropologi sostengono che gli attuali giapponesi discendono principalmente
dalle tribù giunte dalla penisola coreana intorno al 400 avanti
Cristo e non dai jomon. Takahiro Nakahashi, docente di antropologia all'
università di Kyushu, ha esaminato una serie di crani risalenti
a duemila anni fa, rinvenuti nella zona settentrionale dell'isola di Kyushu,
confrontandoli con alcuni crani contemporanei provenienti dalla punta meridionale
della Corea e di Shadong, in Cina.
Secondo le sue conclusioni, pubblicate quest'anno su Anthropological
Science, i crani di Kyushu "mostrano tratti distintivi che corrispondono
con precisione quasi assolua, bisogna riconoscerlo, a quelli dei gruppi
continentali". Il volto è allungato e relativamente piatto,
considerevolmente diverso dai visi larghi e con lineamenti prominenti dei
jomon che avevano popolato Kyushu per migliaia di anni.
Esistono altre prove a favore della tesi di Nakahashi, il quale sostiene
che i nuovi arrivati dalla penisola coreana e i loro discendenti finirono
con il dominare la popolazione locale di Kyushu. I denti risalenti a duemila
anni fa trovati qui, infatti, sono più lunghi dei reperti del precedente
periodo jomon e sono analoghi ai reperti continentali.
C'è poi il problema del linguaggio. Il giapponese e il coreano
hanno in comune molti termini presi dal cinese, ma è difficile trovare
nelle due lingue parole originali comuni. molti linguisti hanno abbandonato
l'impresa di individuare le origini del giapponese; alcuni, tuttavia, ritengono
che possa derivare da un antico dialetto coreano ormai estinto. Mark Hudson,
antropologo dell'Università Tsukuba, afferma che se gli intellettuali
giapponesi avesssero occupato le isole per diecimila anni o più,
dovrebbero parlare decine di lingue diverse, come gli aborigeni australiani
e i nativi americani. Invece parlano una sola lingua, anche se divisa in
dialetti regionali molto diversi tra loro. Questo fatto suggerisce l'arrivo
in Giappone di una nuova lingua, che abbia cominciato a differenziarsi
tra i 1.500 e i duemila anni fa: una teoria che ben si adatta alla tesi
secondo cui un piccolo gruppo di immigrati giunse in Giappone 2.400 anni
fa, per poi insediarsi in tutto il paese.
Antropologi contro archeologi
Non tutti riconoscono agli immigrati un ruolo così rilevante. I
critici accademici sono in maggioranza archeologi, che guardano ai reperti
quali ceramica e terraglie, piuttosto che a ossa e denti come fanno gli
antropologi. Fujio, del Museo nazionale, ritiene che i nuovi arrivati si
siano stabiliti in villaggi in cui la popolazione locale costituiva la
maggioranza. "Fu un atto di collaborazione", scrive nel numero di ottobre
di Iden (Eredità). Confutando la tesi di Nakahashi, egli afferma che
la società agricola non si è sviluppata grazie alle azioni
indipendenti di una delle due parti. Le prove a suo favore: molte delle
ceramiche e delle terraglie dei nuovi villaggi assomigliano a quelle del
periodo jomon, piuttosto che a quelle coreane e cinesi.
Da parte sua, l'antropologo Nakahashi sostiene che i nuovi arrivati dalla
Corea furono prevalentemente uomini che portarono nei loro insediamenti
donne indigene, e con loro gli stili locali di lavorazione delle ceramiche e
delle terraglie.
Una nuova ondata di immigrati coreani potrebbe anche essere giunta in
Giappone circa 1'500 anni fa e aver svolto un ruolo centrale nel nascente
governo. Da recenti scavi archeologici sono emerse prove di questo
collegamento, per esempio oggetti funerari simili a quelli usati dai
più antichi colonizzatori. Ma l'Agenzia della casa imperiale
giapponese, istituzione conservatrice che controlla l'accesso ai sepolcri
contenenti i resti dei primi imperatori, ha limitato gli scavi che potrebbero
rivelare maggiori informazioni.
Questo ente non è il solo a essere riluttante a confrontarsi con le
prove. Molti intelletuali sono convinti che i giapponesi siano un nebuloso
miscuglio di razze, all'interno del quale gli immigrati della penisola
coreana rivestono solo un piccolo ruolo. "Siamo completamente di sangue
misto", dichiara Katsuaki Asano, produttore cinematografico dalle idee
conservatrici. "Tutti si concentravano qui perchè il Giappone è
il punto più a est: non si può andare oltre". Asano vorrebbe
che nei programmi scolastici fosse reintrodotto lo studio delle antiche
cronache.
Il risvolto politico
Il dibattito sulle origini del popolo giapponese - ammesso che si possa
parlare di dibattito - è dominato da esponenti della cultura piuttosto
che da scienziati. Nakahashi, studioso dai modi affabili, trova più
agevole discutere le dimensioni dei crani che affrontare un confronto con gli
intellettuali: "Noi cerchiamo di spiegare basandoci sui fatti", osserva,
"loro sono filosofi che esprimono idee. La corrente semplicemente non passa".
Secondo lui, comunque, moltissimi giapponesi sono aperti alle nuove teorie,
in particolare quelli cresciuti dopo la guerra. "Esistono effettivamente
alcuni strani tipi di destra", afferma, "ma in tutte le conferenze che mi
è capitato di tenere non ho mai personalmente sperimentato un rifiuto
fondato su ragioni emotive".
Ammesso che gli attuali giapponesi e gli odierni coreani abbiano in comune le
medesime radici, che ripercussioni petrebero esserci sulle relazioni
politiche? Nell'articolo pubblicato su Discover, Diamond sostiene che
l'antico legame potrebbe essere usato per promuovere un miglioramento dei
rapporti.
"Sebbene siano rilutanti ad ammetterlo, giapponesi e coreani sono come
fratelli gemelli che hanno condiviso i loro anni formativi. Il futuro
politico dell'Asia orientaledipende in larga misura nel loro successo nel
riscoprire quegli antichi legami." (S.P.)
dal numero 272 di Internazionale del 26 Febbraio 1999
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