INFLUSSI FORMATIVI DELLA COMMEDIA NEA  NEL ROMANZO GRECO
I principali sostenitori dell' influsso formativo della commedia sul romanzo greco sono A. Barchiesi e M. Fusillo. Entrambi gli studiosi mettono in risalto la parzialità delle singole spiegazioni di carattere genetico sostenendo la tesi secondo la quale il romanzo nacque grazie agli influssi di altri generi letterari precedenti. Tra questi sia Fusillo sia Barchiesi individuano la commedia νέα come uno dei generi che ha dato un apporto determinante. Se, infatti, Euripide fu il primo a rivestire di quotidianità il mito nelle sue tragedie, fu certamente la commedia νέα ad assumere come oggetto privilegiato la dimensione privata: i personaggi di Menandro sono persone ordinarie, che vivono in un mondo ordinario. Ovviamente, quindi, nella commedia si assiste a quel fenomeno di valorizzazione della vita privata, e in particolare dell'eros, che domina indiscusso il romanzo greco. Vi è un elemento che accomuna la commedia νέα e le tragedie euripidee dell'ultima fase (Elena, Ione, Oreste, Ifigenia in Tauride), cioè la Τύχη (Fortuna, Sorte, Caso) che sarà la vera divinità dell'età ellenistica. "Sono la dea che arbitra e amministra tutte queste vicende, la Fortuna" dice la dea nel prologo dell'Ἀσπὶς di Menandro (vv.147-148) svelando così la visione menandrea del mondo, dominato dal caso che vanifica le azioni umane e provoca coincidenze imprevedibili, avvenimenti inaspettati. La Fortuna fa sì che le azioni dell'uomo non incidano sul corso degli eventi (ad es. nell'Ἀσπὶς il piano di Davo per ingannare Smicrine e concludere il matrimonio perde senso quando il padrone, creduto morto, ritorna) o che le stesse azioni umane allontanino dall'obiettivo che si vuole raggiungere (ad es. nell'Ἐπιτρέποντες far credere il trovatello figlio di Abrotono risulta un ostacolo all'unione dei protagonisti). Ed è proprio su questo inconciliabilità tra il disegno della sorte e i progetti dell'uomo che si situa il ruolo della Τύχη nel romanzo greco. Caritone (2.8.3) scrive: "Fu sconfitta, però, da uno stratagemma della Fortuna, l'unica contro la quale non ha alcuna forza la razionalità umana; è una dea che ama le contese, e tutto ci si può aspettare da lei. Allora, quindi, portò al successo un piano inaspettato, o piuttosto incredibile". Eliodoro fa dire a Cariclea (1.26.4): "Spesso il caso offre la soluzione che gli uomini non avrebbero trovato in infinite considerazioni". Ancora Caritone scrive: "Ogni inflessione e ogni dialogo d'amore fu rovesciato dalla Fortuna, che trovò pretesto per azioni più eccezionali" (6.8.1). Achille Tazio all'inizio della sua vicenda (1.3.3) scrive: "La Fortuna dava inizio al dramma" e, successivamente, fa dire a Clitofonte: "Ma contro di me si pone di nuovo la solita fortuna e dispone una nuova peripezia ai miei danni" (6.3.1). L'uomo non può dominare i capricci della sorte, la quale rovescia ogni progetto e previsione. Alla fine la beffa del destino si tramuta sempre in trionfo, esattamente come accade anche nella commedia. Ma se nella visione menandrea la Τύχη è arbitra indiscussa di tutti gli eventi, felici o meno, nel romanzo greco si specializza come elemento negativo, ostacolo al ricongiungimento della coppia di amanti che vengono sottoposti ad una serie continua di avventure e insidie da parte dei loro nemici. Tutte le volte che il caso porta a una soluzione non si parla di Τύχη ma di una generica divinità o ad un demone come in Eliodoro, 1.26.4 ("il demone che dall'inizio ha avuto in sorte di proteggere il nostro amore") o in Achille Tazio, che parla di un "demone benevolo" (3.22.3) che la Fortuna non ostacola. Neanche il lieto fine viene provocato dalla Τύχη; essa è, quindi, quella forza distruttrice che rende il romanzo, con continui equivoci e separazioni, un'avventura infinita. Un'altra personificazione comune a Menandro e al romanzo è l' Ἄγνοια (Ignoranza), che pronuncia il prologo dalla Περιχειρομένη. L' Ἄγνοια crea sia nella commedia sia nel romanzo quell'effetto che si definisce come ironia drammatica che nasce dalla maggiore informazione del lettore o dello spettatore rispetto ai protagonisti. Così come nella commedia così anche nel romanzo l'equivoco svolge una funzione determinante; l'intreccio di Caritone scaturisce da un equivoco (un rivale deluso fa credere a Cherea che Calliroe lo tradisca), e si sviluppa con continui quiproquo, scambi di persona, morti apparenti, insomma altri equivoci. Anche il romanzo di Achille Tazio è ricco di situazioni da commedia: alla base dell'intreccio abbiamo uno scambio di persona e il conflitto padre-figlio che tanta fortuna ebbe nella commedia latina. Persino Eliodoro, colui che si allontana maggiormente dalla commedia e dallo schematismo tipico del romanzo greco, sfrutta lo scambio di persona fra Tisbe e Cariclea in ben tre occasioni (2.1-5; 5.8; 5.2.7). 

sep1.gif (30063 byte)

Bisogna però specificare che nel romanzo viene accentuato rispetto a Menandro il potere del caso, a scapito dell'iniziativa umana. Nel commediografo lo spazio riservato alle possibilità di intervento e di azione umana è ridotto ma non azzerato: i piani architettati dal protagonista non ottengono successo, ma alla fine risulta vincente chi si è adoperato con tutte le sue forze per giungere ad una soluzione eticamente positiva. La ragione del minore spazio concesso all'iniziativa dell'individuo nel romanzo va individuato nello iato temporale che separa commedia e romanzo: nella commedia nuova si riflette il nuovo assetto della società ellenistica, che comporta un allontanamento delle tematiche politiche a vantaggio della sfera privata, ma il romanzo si situa in una fase successiva, nella quale l'assetto politico era già stato stabilizzato dall'impero romano. Ne deriva il senso angoscioso di un universo dipinto come inganno continuo dell'apparenza e della Fortuna verso cui l'uomo ha scarsissime possibilità d'intervento. Tuttavia l'iniziativa personale non è del tutto assente nel romanzo; spesso assume le tinte dell'intrigo da commedia, in particolare il motivo topico del piano architettato dal servo (si ricordi il ruolo di Plantagone nel favorire l'amore del padrone Dioniso per Calliroe in Caritone 2.6-11 o l'intrigo di Satiro perché Clitofonte possa raggiungere e rapire Leucippe in Tazio 2.4-31 o ancora Cibele che tenta di convincere Teagene ad unirsi con Arsace in Eliodoro 7.9-8.7).

sep1.gif (30063 byte)

Inoltre ci sono altre iniziative tipiche che i protagonisti oppongono alle persecuzioni della sorte che sono il travestimento e la menzogna, derivate da Omero (Odissea), rintracciabili soprattutto in Eliodoro. L'individuo si può difendere solo con l'inganno, la finzione o altri espedienti i quali non possono cambiare il corso degli eventi ma possono ritardarli, dando il tempo per far prevalere il demone benefico. Si può notare come si possa ricondurre a Menandro la generale tendenza del romanzo ad abbassare tutta la letteratura precedente a livello "borghese", come succede nei monologhi che si potrebbero definire paratragici del commediografo greco. Dal momento che, però, la maggior parte della produzione di Menandro ci è giunta in stato frammentario non è possibile fare troppe generalizzazioni per cui ci si limiterà a notare come le commedie menandree e i romanzi greci rientrino nello stesso modello narrativo: una coppia attraversa una separazione e varie peripezie fino al ricongiungimento finale. Si possono constatare alcune differenze che riguardano fondamentalmente la coppia che si può presentare fin dall'inizio come una coppia di coniugi (Menandro, Ἐπιτρέποντες e Caritone), a cui può aggiungersi anche il matrimonio di un'altra coppia (Caritone, Senofonte Efesio, Achille Tazio e Menanadro Πειχειρομένη, Ἀσπίς, Δύσκολος). Abbiamo, ovviamente anche la fabula più lineare, la coppia che si fidanza nella fase iniziale e si sposa in quella finale, forma rappresentata da Eliodoro e Longo Sofista. Sembra quasi che i romanzi greci scaturiscano dagli intrecci menandrei, dilatati, modificati, dando molto più spazio all'avventura che riprende anche materiali storiografici, paradossografici ed oratori. Certamente le commedie menandree sono più interiorizzate, grazie ad un maggiore approfondimento della psicologia dei personaggi, e rifuggono dalla tipizzazione, mentre i romanzi greci presentano una maggiore convenzionalità. Quello che importa, però, è che sia nella commedia che nel romanzo l'intreccio venga ridotto allo spazio privato, procedimento ancora più accentuato nei romanzi del secondo periodo in cui assumono scarso spessore anche tutti i legami familiari eccetto quello amoroso. Varrà la pena di concludere il confronto tra Menandro e il romanzo osservando la fondamentale analogia della ricomposizione nei finali, sempre positivi. Ciò ha, ovviamente, le sue radici nell'Ellenismo in cui l'insicurezza e lo smarrimento erano caratteristiche peculiari e quindi era molto sentita la necessità di trovare consolazione e tranquillità. Il fatto che l'eroe sia quasi "passivo" davanti allo svolgersi degli eventi sottolinea il fatto che la vita sia vista come qualcosa di incontrollabile, in cui le iniziative dell'individuo sono inutili e in cui l'individuo stesso si smarrisce. Ma non è certo questo l'unico aspetto che permette di ritrovare nel romanzo le caratteristiche del suo tempo: capita spesso che prima del lieto fine si viva "fuori posto", concetto evidenziato dagli scambi di persona,false morti, bambini esposti che hanno perso ogni contatto con la famiglia d'origine... Da tutto questo si deduce una perdita d'identità e di ruolo dell'individuo all'interno della società e della società stessa, ormai lanciata in un nuovo orizzonte cosmopolita che porta insicurezze e paure nuove. Il lieto fine, dunque, permette di "esorcizzare" almeno in parte l'inquietudine tipica di un'età di grandi cambiamenti.

 

Nel contributo Influssi menandrei, è a disposizione un elenco ragionato del debito della commedia latina di Plauto e Terenzio nei confronti del modello menandreo.