QUANTO DI MENANDRO RIMANE NELLA COMMMEDIA LATINA DI PLAUTO E TERENZIO?



Collegamenti Plauto-Menandro

Le trame
Plauto ricavò le trame di alcune sue commedie da opere di Menandro.
Analizziamo le commedie plautine:

  1. Stichus: Panfila e Panegiri sono due sorelle i cui mariti sono partiti da tre anni e, ormai, se ne sono perse le tracce. Il loro padre vorrebbe che tornassero a casa, ma esse, fedeli ai mariti, li aspettano fiduciose. Quando quelli tornano carichi di denaro guadagnato durante i loro viaggi, Stico, lo schiavo che dà il titolo alla commedia, prepara il banchetto che chiude la rappresentazione. (Da: Ἀδέλφοε, perduta)

  2. Cistellaria: una bimba viene esposta dalla madre in una cesta, con alcuni giocattoli; viene raccolta ed allevata da una cortigiana che la chiama Selenio. Passano gli anni e lei s’innamora Alcesimarco, ma alle nozze si oppone il padre del giovane che vuole che Alcesimarco sposi, per ragioni d’interesse, la figlia del loro vicino Demifone. Dai giocattoli che erano stati messi nella cesta si scopre che anche Selenio è figlia illegittima di Demifone, disperatamente ricercata dai genitori naturali. La vicenda si può, dunque, concludere con il matrimonio dei due ragazzi. (Da: Συναριστῶσαι, perduta)

  3. Bacchides: Mnesiloco s’innamora di Bacchide, una cortigiana, e il giovane riesce a convincere il padre a riscattarla dal debito che la tiene legata. Un amico di Mnesiloco è innamorato della sorella di Bacchide, a lei tanto somigliante da rendere quasi impossibile distinguerle. E’ naturale, dunque, che le due ragazze verranno spesso scambiate l’una per l’altra, ma, dopo una serie d’equivoci, le due fanciulle riusciranno a farsi apprezzare anche dai padri dei loro innamorati e il lieto fine è assicurato. (Da: Δυσεξαπατῶν, frammenti)

  4. Aulularia: Eulione nasconde in una pentola le sue ricchezze e sospetta di tutto e tutti. Strobilo, servo del giovane Licone, innamorato della figlia dell’avaro, riesce a rubare la pentola usandola come arma di ricatto: la restituirà solo se Eucalione acconsentirà le nozze. Non ci è giunto il finale ma si suppone che l’opera fosse a lieto fine. (Probabilmente da una commedia di Menandro andata perduta)

I temi
Già da una prima analisi si possono notare i topoi che furono di Menandro e passarono poi nel romanzo greco, oltre che nel teatro successivo, sia greco, sia latino:

Su tutte le vite dei personaggi di queste commedie domina incontrastata la τύχη, regina incontrastata del teatro da Euripide in poi e di tutta la civiltà e cultura ellenistica, alleata e antagonista dei protagonisti.

In comune con Menandro, Plauto ha anche l’attenzione per il microcosmo famigliare più che per l’ambito politico, per mondo degli schiavi, per casi di vita borghese portati all’estremo. Anche la scelta di rappresentare personaggi che, secondo alcuni critici di Plauto, sono esagerati fino ad essere più caricature che personaggi realistici, è in comune con Menandro in cui gli influssi della scuola peripatetica e in particolare gli studi di Teofrasto (cfr. Χαρακτῆρες) portavano ad una catalogazione dei vari "tipi" umani.

Le differenze
Pur senza dilungarsi eccessivamente sulla questione dibattuta da tanti critici dell’originalità del teatro plautino rispetto a quello dei suoi modelli, sembra necessario soffermare l’attenzione su alcune delle differenze più evidenti tra il teatro di Plauto e quello di Menandro, anche perché ciò permette di capire meglio quanto l’autore di cui ci occuperemo in seguito,Terenzio, si avvicini maggiormente al commediografo greco. A tale proposito è utile citare le opinioni di due studiosi della letteratura classica, riportando alcuni passi di loro opere.

"[...] Le usanze di una società sensibile i cui membri migliori da lungo tempo vedevano nella εὐσχημοσύνη e nella σωφροσύνη un ideale d'umano agire e sentire, e un lungo addestramento al pensiero teoretico avevano aguzzato lo sguardo a determinati fenomeni [i moti umani]. A Roma queste premesse mancavano totalmente o quasi. Il conflitto "delle forze che agitano il petto umano con sentimenti ora dolci, ora terribili" [Goethe] non vi poteva destare commossa simpatia; la gioia di contemplare l’elemento umano nella sua forma genuina era ancora sconosciuta a Roma. [...] Nessuna risonanza poteva trovare a Roma la nota principale di molte delle commedie greche, cioè la rassegnazione, molto fine e educata ma un po’ morbida, d’una generazione in decadenza. [...] Cosa avrebbero giovati a Nevio o a Plauto le riflessioni frequenti non solo in Menandro ma anche in Filemone, espressioni di un senso della vita estremamente raffinato, ma scettico, e in fondo malinconico?[...] La contemplazione tutta sottili vibrazioni diventa in Plauto un grossolano philosophari: egli conservò il nocciolo banale che ogni sentenza in ultima analisi contiene, ma elimina la fine e tutta la sua propria formulazione; ben di rado in lui rieccheggia il pessimismo degli originali. [...] Nei loro confronti [dei modelli] Plauto si comporta con la più assoluta disinvoltura. Essi devono fornirgli la materia prima per le sue produzioni, la vera e propria invenzione drammatica. [...] Ma nei loro riguardi egli si sente esente da ogni obbligo. Plauto e la sua epoca erano lontani dal mondo greco. Solo a poco a poco, con la progressiva ellenizzazione dei costumi romani, anche alcuni scrittori di palliate riuscirono ad immedesimarsi di più in quest’arte così diversa e lontana." (E. Fraenkel, Elementi plautini in Plauto)

"Quando fu scoperto Menandro, stupì la rarità dei frizzi limitati a certe scene, piuttosto periferiche, e a personaggi d’importanza secondaria e di condizione inferiore, schiavi, cuochi e simili. E’ lecito supporre che altri commediografi della nuova fossero più corrivi o volessero apparire più spiritosi, per quanto i frammenti ci dicano poco. Ma nulla consente di credere che gli scherzi, i giuochi di parole e simili si succedessero colà senza interruzione come spesso in Plauto. [...] E’ certo, dunque, che gli scherzi, o almeno moltissimi scherzi di Plauto sono aggiunte all’originale, condimento o salsa su manicaretti che a lui o al suo pubblico parevano scipiti." (G. Pasquali, Stravaganze e quarte supreme)

Dunque Plauto prende da Menandro gli spunti per le trame delle sue commedie ma, per motivi sociali e storici (e probabilmente anche per gusto personale) non si lascia condizionare troppo dai suoi modelli. Otteniamo così commedie che mantengono molti dei topoi del teatro menandreo ma si distaccano dalla concezione di uomo, dal modo di pensare, dalla serietà di analisi psicologica, dal pessimismo, dai riferimenti alle filosofie soprattutto peripatetica ed epicurea, dall’attenzione verso chi soffre, dalla fiducia, nonostante tutto, nella bontà umana, dalle sfumature e dalle motivazioni della commedia nea.

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Collegamenti Terenzio-Menandro

Le trame
Anche Terenzio utilizzò per le sue commedie trame che furono di commedie di Menandro:

  1. Andria: Panfilo ama Glicerio, una fanciulla giunta ad Atene dall’isola di Andro. Il padre del ragazzo, però, vorrebbe che il figlio sposasse la figlia dell’amico Cremete. Proprio quando le nozze sembrano inevitabili si scopre che anche Glicerio è figlia di Cremete, creduta morta da piccola in un naufragio. (Dalla contaminatio del testo Menandreo: Ἄνδρια, perduto)

  2. Hecyra: Panfilo, un giovane che ama la cortigiana Bacchide viene costretto a sposare controvoglia Filomena. Panfilo trascura la moglie che rimane, nonostante tutto, affettuosa e sottomessa. Ma improvvisamente, durante un viaggio del marito, Filomena torna da sua madre e di questo viene incolpata Sostrata, la suocera. La vera ragione è un’altra: prima del matrimonio la ragazza era stata sedotta da uno sconosciuto e ora attende un bambino. Tutto precipita, quando, grazie ad un anello, si scopre che lo sconosciuto altri non era che Panfilo, il quale è quindi legittimo padre del bambino. La commedia finisce con il matrimonio dei due giovani. (Da una commedia omonima di Apollodoro di Caristo, contaminata con gli Ἐπιτρέποντες di Menandro)

  3. Heautontimoroumenos: Menedemo ha costretto il figlio Clinia, ostacolandone l’amore verso la bella ma povera Antifila, ad abbandonarlo e ad arruolarsi come mercenario in Asia. Menedemo si autopunisce lavorando faticosamente la terra. Clinia ritorna ma preferisce essere ospitato dall’amico Cremete piuttosto che rivedere il padre. Si scopre che Antifile è figlia di Cremete e quindi può sposare Clinia che si riconcilia con il padre. (Da: Ἑαυτὸν Τιμωρούμενος di Menandro).

  4. Eunuchus: Fedria e Cherea, due fratelli ateniesi, sono entrambi innamorati, il primo dell’etera Taide, concubina del soldato Trasone, il secondo di Panfila, una giovane che Trasone ha acquistato perché accudisca la sua favorita. Cherea riesce, facendosi passare per un eunuco, ad entrare in casa di Taide e a far sua Panfila. Panfila viene riconosciuta cittadina ateniese e può, quindi, sposare Cherea. (Da: Κόλαξ di Menandro)

  5. Adelphoe: Demea ha allevato con rigore e severità il figlio Ctesifone, mentre Eschino, fratello di Ctesifone, viene allevato con più ampia libertà dallo zio. Le nefaste previsioni di Demea nei confronti di Eschino sembrano avverarsi quando pare che questi abbia rapito una fanciulla; ma il rapimento è in realtà ispirato da Ctesifone, il quale si rivela diverso da ciò che credeva il padre. Demea deve ammettere il suo fallimento pedagogico anche se, alla fine, tutto si appiana. (Da: Ἀδέλφοι di Menandro)

I temi
Come in Plauto, anche in Terenzio ritroviamo alcuni dei topoi tipici del teatro menandreo, più in generale, della commedia nea e successivamente del romanzo greco e latino:

Naturalmente anche nelle commedie di Terenzio domina la tuch, dea incontrastata del periodo ellenistico, che tanto peso ha nella commedia nea e nel romanzo.

Rispetto a Plauto, però, notiamo grandi affinità anche per quanto riguarda concetti più profondi: Terenzio non riprende solo le trame di Menandro ma ne trasporta a Roma, adattandole chiaramente al pubblico e alla mentalità romane, le caratteristiche principali del teatro e alcuni concetti chiave. Per Terenzio si parla di humanitas ("riconoscere e rispettare l’uomo in ogni uomo", come detto da Traina) così come in Menandro si parla di filanqropia come tentativo di conoscere l’uomo, analizzare le caratteristiche della natura umana e, sopratutto, come solidarietà verso chi soffre. I rapporti tra gli uomini, quindi, nelle commedie di Terenzio vengono analizzati con maggiore serietà problematica, anche per adesione al modello di Menandro e, più in generale, alla circolazione degli ideali "umanitari" ellenistici negli strati più elevati della società romana. Terenzio non punta più sulla caricatura: egli si rivela capace di penetrare a fondo nell’animo umano.

Inoltre grande peso hanno in Menandro le donne come elementi che permettono la stabilità della società fatto indubbiamente determinato anche dall’attenzione nuova, che si manifesta dal IV sec. ed è costante dell’ellenismo per il microcosmo familiare piuttosto che per la politica; pensiamo ora alle commedie di Terenzio: in alcune le donne hanno un ruolo importantissimo, basti citare l’Hecyra.

Ultimo notevole punto di contatto del teatro di Terenzio con quello di Menandro è il lieto fine, tipico delle commedie, che diventa non più solo coronamento di un’intricata vicenda, spesso amorosa: è il momento in cui trionfano i veri valori quelli basati sulla giustizia e sulla filanqrwpia che le filosofie ellenistiche andavano teorizzando e che il Circolo Scipionico, tramite in particolare, il pensiero di Panezio, andava traducendo nella romana humanitas. Difficoltà, equivoci, insuccessi, le stesse cattive intenzioni degli uomini non hanno la forza di affermare la supremazia del male. Nell’universo teatrale si rivendica la fiducia in quella giustizia immanente che gli eventi della realtà smentivano troppo spesso. E’ per questo motivo che per Menandro si può dire che la commedia esorcizza il disorientamento della sua epoca attraverso una serie di riparazioni e soluzioni che salvaguardano la letizia della commedia.

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