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Gli anni decisivi: '31-'48

 

L'azione di Giuseppe Mazzini dal '31 in poi: la creazione e diffusione dell'idea nazionale
Dal romanticismo al neo-guelfismo: il "Primato" di Vincenzo Gioberti
Aspetti di vita economica nel Lombardo-Veneto negli anni '15-'48



L'azione di Giuseppe Mazzini dal '31 in poi: la creazione e diffusione dell'idea nazionale
E' precisamente pochi mesi dopo l'elezione al trono di Sardegna di Carlo Alberto di Savoia-Carignano, il 27 aprile 1831, che il Mazzini,
dopo aver rivolto in una celebre lettera il suo saluto ed espresso le sue aspettative e quelle di tutta l'Italia al nuovo re, veniva organizzando e costituendo una nuova organizzazione politica, la Giovine Italia, che, pur non ignorando le esperienze settarie sia della Carboneria sia delle altre sette minori, si riproponeva di raccogliere i patrioti più ardenti per riorganizzare con loro l'opposizione politica all'Austria con nuovi mezzi e nuovi fini: si trattava di propugnare l'idea unitaria e repubblicana, inauditamente progressista per l'epoca. La grande fiammata del 1831, con l'episodio di Ciro Menotti, l'aveva tuttavia costretto all'esilio, a Marsiglia, ma da quel luogo egli aveva in animo di continuare con ogni mezzo la diffusione e la propaganda delle sue idee. E' appunto lì che nasce la Giovine Italia.

E' indubbio che il grande merito storico di questo movimento, tutto sorretto ed animato dalla grande personalità del suo fondatore, sta nel fatto di avere contribuito in modo determinante alla diffusione dell'idea di nazione negli strati liberali e progressisti, nel ceto che aspirava alla libertà. L'idea di libertà, certo presente, ma ancora in modo sovranazionale anche nei moti del '21 e nelle associazioni settarie, si congiunge col Mazzini indissolubilmente all'idea di nazione. Basti ascoltare queste istruzioni per gli affratellati, contenute negli scritti che venivano messi a disposizione dei nuovi adepti:

"La Giovine Italia è la fratellanza degli Italiani in una legge di Progresso e di Dovere, i quali - convinti che l'Italia è chiamata ad essere Nazione, che può con proprie forze crearsi tale, che il mal esito dei tentativi passati spetta, non alla debolezza, ma alla pessima direzione degli elementi rivoluzionari, che il segreto della potenza è nella costanza e nell'unità degli sforzi - consacrano, uniti in associazione, il pensiero e l'azione al grande intento di restituire l'Italia in Nazione di liberi ed uguali, una, indipendente, sovrana."

Non pare esagerato pertanto affermare con Rosario Romeo, che

"...il mazzinianesimo riuscì a realizzare, su scala nazionale, il primo movimento autenticamente democratico".

L'intensa carica ideale della Giovine Italiasi concretizzò inizialmente in alcune azioni rivoluzionarie, tutte però caratterizzate da clamorosi fallimenti: il tentativo di far penetrare gli ideali politici del Mazzini  tra gli ufficiali e i sottufficiali dell'esercito sabaudo, per minare le basi stesse del principio monarchico, fu la causa nell'aprile del '33 di una spietata repressione militare che vide il sacrifizio di Jacopo Ruffini e le fucilazioni, tra gli altri, di Andrea Vochieri, di Efisio Tola (da ricordare la presenza tra gli esuli di Vincenzo Gioberti); per il '34 fu preparato un colpo di mano in Savoia, che con l'invasione di quest'ultima e il contemporaneo scoppio di un'insurrezione a Genova avrebbe dovuto far insorgere il Piemonte, ma l'insurrezione fu pregiudicata sul nascere a causa, soprattutto, dell'incompetenza del generale Ramorino. Questi insuccessi e la repressione ordinata in Piemonte e nel Lombardo-Veneto avevano messo in crisi il Mazzini, costretto all'esilio in Svizzera dove nell'aprile del '34 insieme ad esuli di altre nazionalità fondò la Giovine Europa in cui proclamava che la causa italiana doveva essere collegata strettamente a quella di tutti i popoli d'Europa. Braccato dalle polizie, riparò a Londra dove sorse "L'Apostolato Popolare", il foglio che gli consentì di penetrare più direttamente tra il popolo e, soprattutto, pose per la prima volta il problema dell'adesione dei ceti popolari alla futura rivoluzione italiana. La precedente crisi del Mazzini legata al dubbio dell'inattuabilità delle sue idee:

"...mi si affacciò il dubbio: forse io errava e il mondo aveva ragione.
Forse l'idea che io seguiva era un sogno..."

e l'azione di coloro tra i vecchi compagni che si muovevano in altre direzioni, diedero inizio alla crisi del mazzinianesimo. Nel 1840 ricostituì la Giovine Italia, la cui efficacia attiva era stata praticamente annullata dalla raffica della reazione. Ma la costituzione di un'altra associazione di affiliati rivoluzionari, come "La lega italica" di Fabrizi, e il tentativo dei fratelli Bandiera, sebbene il Mazzini l'avesse fortemente sconsigliato, entrambi d'ispirazione repubblicana e tragicamente destinati al fallimento, contribuì a riaccendere le critiche nei confronti dei metodi mazziniani e fornì nuovi argomenti alle polemiche di parte moderata contro le strategie rivoluzionarie. Dunque acquistò importanza quella vasta corrente di opinione politica che aveva due facce: il neoguelfismo di Gioberti e il moderatismo di Balbo.

Dal romanticismo al neo-guelfismo: il "Primato" di Vincenzo Gioberti
Nel secolo decimonono, come noto, si sviluppò il Romanticismo: corrente culturale che comportò la ripresa e l'esaltazione dei valori nazionali, tanto contestati nel periodo illuminista. Si verificò, dunque, una rivalutazione del Medioevo e di conseguenza della chiesa cattolica, vista come il possibile elemento unificatore dei movimenti rivoluzionari nei paesi cattolici. Le opere letterarie di vari intellettuali italiani, per esempio le tragedie del Manzoni, le fantasie liriche del Berchet e le storie del Cesare Balbo e di Carlo Troya, contribuirono a rivalutare quei secoli, in cui il guelfismo fu garanzia di difesa e resistenza contro i prepotenti progetti di invasione da parte di principi ed eserciti stranieri. A porre in ulteriore evidenza la ritrovata funzione protettiva della chiesa vi fu la diffusa sfiducia verso i tentativi rivoluzionari, le agitazioni settarie e le congiure mazziniane. Comunque anche questa nuova religiosità, anche questo neo-guelfismo influenzato dall'attuale clima storico della società europea si configurò in un nuovo cattolicesimo ripensato con animo liberale. Personaggio simbolo di questa corrente di pensiero fu il Gioberti, cui va riconosciuto il grande merito di aver saputo lanciare al momento opportuno questo programma politico, che avrebbe permesso di rompere il fronte della reazione in Italia ponendo la questione nazionale sotto la bandiera papale. La sua opera principale  "Il Primato morale e civile degli italiani" del 1843 fu criticato da alcuni moderati, tra i quali Cesare Balbo e Massimo d'Azeglio, ma soprattutto dai gesuiti che lo accusavano giustamente di volersi servire della Chiesa per un fine politico ad essa estraneo.

Aspetti di vita economica nel Lomardo-Veneto negli anni '15-48
Un'altra componente sicuramente importante per meglio intendere le premesse ai moti del '48, è la considerazione delle obiettive difficoltà dell'economia lombarda in particolare sotto il regio imperial governo. In seguito alla caduta del predominio napoleonico in Europa e in Italia, quest'ultima vide risorgere le barriere doganali tra i vari principati in cui fu divisa nel 1814. In Italia nessuno fu capace di ribellarsi all'Impero per raggiungere un'unità economica, come invece avvenne in Prussia, e dunque i traffici commerciali furono notevolmente danneggiati. Il Lombardo-Veneto si trovò nelle condizioni peggiori: oltre alle altissime barriere doganali estere e al fatto che il sistema commerciale di quel Regno fu "congegnato in modo tale da giovare all'economia austriaca e da eliminarvi qualsiasi concorrenza da parte italiana", per qualche tempo fu diviso dal cordone del Mincio e contò sul solo Po ventuno ricevitorie. Qualche modificazione apportata dal governo austriaco a questo sistema tanto restrittivo, le ricchezze di mezzi di comunicazione stradali e fluviali, la pace durata per quasi un trentennio e la grande tenacia di operai e padroni portarono a un notevole incremento dell'industria: in Lombardia ebbero grande importanza le industrie seriche di Pavia e Como. Vanno ricordate anche l'industria del lino, della lana, del cotone, insieme a quelle metallurgiche e siderurgiche, che conobbero un periodo di regresso, da addebitare alla politica doganale austriaca non favorevole all'importazione di ferro dall'Inghilterra, ma si ripresero negli anni '40 per la costruzione dei primi tratti ferroviari della Lombardia, oltre alle raffinerie di zucchero. I progressi furono comunque parziali in quanto sotto il regime austriaco, a differenza di quello francese, non vennero effettuati alcuni importanti investimenti in territorio lombardo, nemmeno sfruttando le imposte ordinarie, a causa dell'instabilità finanziaria dell'Impero.