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Il '48 nell'area tedesca


Le notizie della rivoluzione di Parigi giunsero presto nell'area germanica, causando una serie di moti che iniziarono dal Baden, uno dei paesi più democratici della Germania, in cui già dal 27 febbraio vi furono tumulti del popolo che chiedeva libertà di stampa, guardia nazionale e parlamento della nazione tedesca, richieste che fecero in breve il giro della Germania, venendo subito riprese dal Württemberg al Nassau, con grandi adunate di popolo e chiamate di oppositori al governo.
Nel movimento liberale si determinarono presto due tendenze, delle quali una più radicale, che era formata soprattutto da contadini che volevano l'affrancamento completo e e la distribuzione di terre appartenenti ai nobili, e per alcune settimane si videro in Germania scene che ricordavano la vita di Parigi nei primi tempi della rivoluzione, dopo la presa della Bastiglia.
Il moto si estese ad un grande Stato come la Baviera, portando il 2 marzo a Monaco ad una agitazione culminata nella presa dell'arsenale della città; già il 6 marzo un decreto regio annunciava la convocazione della Dieta, per discutere le riforme popolari e per abolire la censura; l'elettore di Assia dovette cedere all'opposizione chiamando al governo i liberali, come già aveva fatto la Baviera.
La Dieta federale concesse il 3 marzo l'abolizione della Censura a tutti gli Stati, quando già Baden e Württemberg avevano dovuto provvedere per proprio conto; il re di Prussia, vista la situazione, propose a Metternich un congresso di sovrani, che avrebbe dovuto riunirsi a Dresda il 25 marzo, allo scopo di tenere la riforma nelle esclusive mani dei sovrani.


Il re di Prussia Federico
Guglielmo IV

Presto però scoppiarono agitazioni anche in Prussia, dopo le prime notizie dei fatti di Vienna, e scossero il re Federico Guglielmo IV dalla sua certezza di poter dominare sia il moto prussiano sia quello pangermanico: manifestazioni avvennero in Renania, a Colonia, a Breslavia, dall'altro capo del regno prussiano, mentre il governo era diviso sul da farsi, non riuscendo a decidere se mettersi a capo del movimento nazionale oppure seguitare nella via decisa con Metternich.
Il 13 marzo dunque, alla notizia dei moti nell'impero, ci furono i primi scontri tra popolazione ed esercito, che restarono circoscritti sino al 15, giorno in cui l'agitazione si diffuse a Berlino, al grido di "Via i militari!", con la manifestazione di un odio per una casta che in Prussia come in nessun altro paese deteneva il potere.
Veniva infine promulgata, il 18, la Regia Patente in cui si stabiliva la trasformazione della Germania da Federazione di Stati a Stato federale, con un parlamento composto da rappresentanze di delegati dei diversi paesi tedeschi; durante i festeggiamenti per tale concessione, vennero per errore sparati da parte dei soldati alcuni colpi; ancora oggi non si conosce esattamente la meccanica dell'avvenimento, che provocò però tumulti generali.
Sorsero in un batter d'occhio barricate, vennero attaccati i posti di guardia e tutti si gettarono nella lotta, che fu la prima e l'ultima rivolta contro il "militarismo prussiano".

Mentre il popolo combatteva, deputazioni del municipio, dell'Università e della guardia civica si recavano dal re al Castello chiedendo il ritiro delle truppe.
Il re, per salvare il prestigio, chiedeva di demolire prima le barricate; il giorno successivo, il 19, il re, informato che alcune barricate erano state abbandonate, decise di ordinare il ritiro delle truppe, che però sguarnirono le difese anche del castello reale, lasciando il re quasi indifeso. La città si trovò il 21 totalmente priva di soldati, e la guardia nazionale rimase così la sola padrona di Berlino, costringendo il re a promulgare amnistie e a farsi paladino della causa tedesca; il nuovo manifesto convocava una Dieta riunita, e non una assemblea Costituente prussiana che qualcuno aveva invocato, ma venne dai più interpretato come una via praticabile per giungere alla Costituzione.
Al potere fu chiamato un liberale, e la Dieta, il 2 aprile, decretò la libertà di stampa, di riunione e di associazione, la parità di tutte le confessioni religiose e la approvazione obbligatoria da parte della rappresentanza nazionale per le leggi e le imposte.

Reazioni al manifesto prussiano del 21 marzo non si fecero attendere né in Germania né in Austria, tra proteste ufficiali e manifestazioni popolari, come quelle avvenute in Baviera, in cui il popolo bruciò per le strade il ritratto di Federico Guglielmo, al grido di "morte al nuovo imperatore tedesco". Lo zar si dimostrò subito ostile al pronunciamento del re di Prussia, anche perché nel manifesto si potevano notare concessioni alla corrente antirussa presente in forze nel movimento liberale.
Tuttavia l'allarme austro-russo si dimostrò infondato, dato che lo stesso Federico aveva rifiutato di essere acclamato imperatore durante i tumulti a Berlino, ed andava sempre dicendo che la corona tedesca spettava al sovrano austriaco.

Un Preparlamento, convocato per decidere della modalità elettive della Assemblea Costituente tedesca, lasciò ad ogni Stato il diritto di regolare l'applicazione del suffragio universale, tanto che il parlamento risultò essere in prevalenza borghese ed intellettuale, a grande maggioranza monarchico.
L'Assemblea si riunì il 18 maggio a Francoforte, sotto la presidenza di Gagern, esponente del centro-destra; una delle prime disposizioni approvate stabilì che le costituzioni dei singoli Stati sarebbero state valide solo se d'accordo con la Costituzione unitaria che sarebbe stata varata.

Risultò però subito chiaro che l'Assemblea non aveva i poteri necessari per imporre la propria autorità ai principi dei vari stati tedeschi, né tantomeno per avviare un processo di unificazione nazionale: le sue sorti non potevano che dipendere da quanto accadeva nello stato più grande ed importante, cioè la Prussia. I suoi lavori si arenarono presto sulla questione pangermanica, di cui lo Schleswig fu la pietra di scandalo: uno scontro tra Prussia e Danimarca si era concluso il 26 agosto con un armistizio, ma l'Assemblea di Francoforte si rivolse indignata al governo prussiano, che si era accordato senza tener conto delle disposizioni del Parlamento: il punto era proprio la questione nazionale, e l'idea che questo armistizio decretasse la morte della causa dell'unità germanica ne provocò la sospensione.
Si apriva dunque un evidente conflitto tra Francoforte e Berlino, anche in considerazione del fatto che buona parte dei rappresentanti prussiani aveva votato contro la sospensione.
Per le sinistre, la questione nazionale fu un mezzo per combattere le Prussia conservatrice e regia, ed alcuni loro comizi scatenarono tumulti a Francoforte, il giorno 16, in cui l'assemblea incaricava il governo di cercare modificazioni all'armistizio, ed ancora il 18, con comparsa di barricate: il nuovo primo ministro, Schmerling, ordinò una rapida repressione, che portò allo stato d'assedio, alla sospensione delle riunioni dei clubs ed al disarmo; la sinistra parlamentare fu screditata ed attaccata.
L'agitazione non si limitò però a Francoforte, culminando nella proclamazione di una repubblica nel Baden e nei moti di Colonia: questi avvenimenti ebbero effetti simili a quelli delle giornate di giugno a Parigi, e segnarono per la rivoluzione tedesca un analogo punto di svolta: gli spiriti dei membri del ceto medio concepirono lo stesso rivolgimento antirivoluzionario che si era verificato in Francia.

Anche a Berlino, tra agosto e settembre, ci fu un aumento di tensione, con moti di piazza che portarono anche alle barricate: l'assemblea prussiana contestò al governo la durezza della repressione, e per l'ennesima volta si giunse allo scontro tra civili e militari. A capo del governo fu nominato il generale von Pfuel, di sentimenti non antiliberali, che cercò di ristabilire gli accordi con il Parlamento; ciò non servì ad impedire nuovi scontri, che il 16 ottobre causarono decine di morti in scontri tra manifestanti operai e Guardia nazionale.
I lavori del Parlamento prussiano per approvare la Costituzione proseguirono, ma presto le due Assemblee, di Berlino e di Francoforte, si sconfessarono a vicenda, rimettendo in primo piano la questione dell'unità nazionale tedesca: la Prussia sosteneva infatti la superiorità della sua legislazione su quella tedesca, mentre l'Assemblea costituente aveva espresso un parere contrario: l'Assemblea di Francoforte non aveva però grandi argomenti da far valere contro il particolarismo di uno Stato così importante come la Prussia.

Allo scoppio della rivoluzione d'ottobre a Vienna, i democratici berlinesi sostennero davanti all'Assemblea prussiana una mozione che prevedeva il soccorso ai rivoltosi, ma tale mozione venne bocciata: i berlinesi avevano però buone ragioni di sentire come propria la causa di Vienna, dato che, fino a quando la reazione non fosse cominciata in Austria, difficilmente il re di Prussia avrebbe osato mettersi apertamente contro il parlamento e la democrazia.
L'entrata in Vienna del generale Windischgratz diede alla Corte prussiana la possibilità di riprendere in mano la situazione: il generale Pfuel venne congedato, e sostituito dal conte von Brandenburg il 2 novembre: l'Assemblea votò subito un manifesto indirizzato al re che esprimeva la preoccupazione per tale designazione, ma il governo si insediò ugualmente; Brandenburg il 9 novembre presentò all'Assemblea un messaggio reale che ne decretava l'aggiornamento fino al 27 ed il trasferimento in una cittadina a più di cinquanta chilometri da Berlino. L'Assemblea continuò a riunirsi, non invocando però in proprio aiuto l'intervento della Guardia nazionale, e permettendo così l'ingresso a Berlino delle truppe del generale Wrangel. L'11 i deputati trovarono la sede dell'assemblea sbarrata, ed a Berlino venne sciolta la Guardia civica, e fu proclamato lo stato d'assedio, con la conseguente chiusura dei circolo, la proibizione delle riunioni e della diffusione di stampe non autorizzate.
A Berlino non ci fu resistenza, in provincia invece scoppiarono vari incidenti, anche sanguinosi, ma nessun moto generale. Il governo Brandenburg mantenne però fede alla promessa di un regime costituzionale, ricorrendo alla promulgazione della Costituzione da parte del re: essa venne promulgata il 5 dicembre e stabiliva il veto assoluto regio ed il pieno potere esecutivo della Corona, mentre le due Camere erano elette una a suffragio censitario, l'altra a suffragio universale; contemporaneamente fu sciolta l'Assemblea nazionale.

Nel frattempo, i lavori dell'Assemblea di Francoforte erano dominati dalla questione dell’unità nazionale: nei giorni della rivolta di Vienna, tra il 20 e il 27 ottobre, si era discussa a fondo la questione del rapporto con l'impero austriaco. Due paragrafi del progetto costituzionale stabilivano che:

"...ove un paese tedesco [l'Austria] avesse il capo di stato in comune con uno non tedesco [gli stati Slavi dell'Impero e l'Ungheria], il primo dovesse avere costituzione, governo ed amministrazione interamente distinti, con pieno vigore della costituzione e legislazione del Reich. Se il capo di stato comune non risiedeva nel paese tedesco, doveva insediarsi in questo una reggenza tedesca".

Ciò comportava che, se l'Austria voleva entrare a far parte del nuovo Reich, avrebbe dovuto essere unita agli altri paesi della Corona asburgica con una semplice unione personale, ovverosia i due Stati avrebbero dovuto rimanere separati ed essere uniti solo dalla persona dell'imperatore. La votazione di questi due paragrafi poneva di fronte a due alternative: o tutta la monarchia austriaca rimaneva fuori dal nascente Reich, o essa si sarebbe dovuta decomporre, perché sarebbe stato necessario creare due diverse amministrazioni, una per la parte tedesca e una per la parte non tedesca. Da questo punto cominciò la lotta tra i partigiani dei due paragrafi, che volevano che volevano mantenere separata l'Austria dal Reich, battezzati "piccoli tedeschi", ed i sostenitori della partecipazione allo Stato Federale, definiti "grandi tedeschi".


Il primo ministro austriaco
Schwarzenberg

I due paragrafi, dopo lunghe discussioni furono approvati il 27 ottobre a larghissima maggioranza, e determinarono una implicita esclusione dell'Austria dalla nuova Germania: infatti se l'Austria avesse voluto mantenere sotto la corona degli Asburgo anche l'Ungheria e i paesi slavi, avrebbe dovuto creare due amministrazioni distinte; il primo ministro austriaco Schwarzenberg, però, dichiarò ufficialmente il 13 dicembre che l'Austria intendeva far parte della nuova confederazione così come aveva fatto parte dell'antica.
Si delineava così una lotta aperta tra Francoforte e Vienna, in cui Francoforte avrebbe avuto bisogno dell'appoggio della Prussia, dato che era inconcepibile una lotta contemporanea contro Austria e Prussia. Il 28 dicembre l'Assemblea proclamò, senza attendere la formulazione della Costituzione, i diritti fondamentali: cittadinanza tedesca, valevole per tutti gli Stati, con diritto di abitare e lavorare dappertutto e libertà di cambiamento di domicilio, soppressione d tutti i privilegi feudali e nobiliari, diritti uguali di ammissione a tutti gli impieghi, nessuna chiesa di Stato, uso della propria lingua garantito alle minoranze e voto decisivo delle rappresentanze popolari nella legislazione e nelle imposte. La pubblicazione di tali diritti non venne però garantita da tutti gli Stati, tra i quali l'Austria e la Prussia.

Nelle sedute dell'11-13 gennaio 1849 vennero discussi il progetto "piccolo tedesco" di Gagern, che fu infine approvato dopo lunghe discussioni, e la questione del capo dello Stato, che risultò dover essere un imperatore ereditario.
A questo punto è lecito chiedersi se i seguaci di Gagern avessero chiesto al re di Prussia se era disposto ad accettare tale titolo, tanto più che, mettendosi contro l'Austria, avrebbero dovuto per lo meno assicurarsi la Prussia, ed era decisamente inutile istituire un impero se non c'era l'imperatore.
Sull'argomento il primo ministro prussiano, il re ed il plenipotenziario prussiano a Francoforte facevano tre politiche diverse: re e governo, all'insaputa l'uno dell'altro ed all'insaputa dell'Assemblea, trattavano con Schwarzenberg.
Anche negli altri Stati tedeschi la decisione aveva generato forti polemiche, mentre l'Austria esponeva il 4 febbraio la sua contrarietà all'unitarismo della Costituzione di Francoforte ed escludeva di sottomettersi ad un altro principe tedesco quale capo federale.

Lo scioglimento del Reichstag austriaco del 7 marzo e la nota del 9, di cui abbiamo parlato in un'altra sezione, distrussero ogni possibilità di intesa tra il partito austriaco ed i pangermanisti a Francoforte. Il 28 marzo l'assemblea promulgò la Costituzione, e proclamò "imperatore dei tedeschi" Federico Guglielmo di Prussia.
Egli era stato sempre contrario ad assumere una tale carica, poiché pensava che l'impero romano-germanico andasse restaurato nella dinastia degli Asburgo; ma se anche avesse cambiato idea negli ultimi tempi, la vittoria austriaca di Novara l'avrebbe fatto ritornare alla sua idea originaria.
Federico diede una risposta, forse nel desiderio di ottenere qualcosa per la Prussia, non formalmente negativa, ma sospensiva, dicendo che voleva prima conoscere l'opinione dei vari Stati tedeschi.
Di essi, si ebbero 28 pareri favorevoli, ma da parte dei piccoli Stati, mentre nessuna delle quattro monarchie diede una risposta, né la Baviera, né il Württemberg, né il Baden, né l'Assia.
Il Parlamento di Berlino invitò il re ad accettare, ma Schwarzenberg rifiutò anche di esaminare la Costituzione, limitandosi il 5 aprile a richiamare semplicemente i deputati austriaci dall'Assemblea di Francoforte. I Parlamenti dei vari Stati, nel frattempo, accettavano a larga maggioranza la Costituzione, spingendo i governi ad eliminare l'incomoda pressione delle Camere congedandole: così fecero l'Hannover, il 25 aprile, la Sassonia, il 28, la Prussia il 27, mentre il Wurttenberg era costretto ad accettare dalla pressione popolare. Il 28 la Prussia comunicò a Francoforte il suo "no" definitivo alla Costituzione.

A questo punto l'agitazione in favore dell'Assemblea portò in vari paesi all'insurrezione, che dilagò in Sassonia, in Prussia, in Baviera e nel Baden.
L'Assemblea tentò allora timidamente di assumere l'iniziativa rivoluzionaria, unica alternativa allo scioglimento; molti membri di essa, però, la abbandonarono, timorosi di scatenare sviluppi rivoluzionari: dopo i membri dell'Austria, ad andarsene furono i delegati prussiani, che si dimisero il 14 maggio, mentre il 26 si dimetteva anche Gagern, insieme ad altre decine di deputati. Mentre venivano domate le rivoluzioni del Palatinato e del Baden l'Assemblea Costituente, ridotta alla sola componente democratica, si trasferì a Stoccarda, nel liberale stato del Württemberg, dove fu sciolta il 18 giugno 1849.