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Il '48 nell'Impero asburgico


Malgrado la Francia non cercasse nel '48, come aveva invece fatto ai tempi della prima repubblica, di scatenare rivoluzioni negli altri paesi europei, la rivolta scoppiò ugualmente in tutta Europa, poiché la situazione era da allora radicalmente cambiata, non più sclerotizzata entro gli immutabili schemi assolutistici.
I moti tedeschi di febbraio e marzo avevano determinato l'assestarsi di una nuova legalità riformistica, mentre la seconda ondata europea ebbe origine dalla capitale stessa della restaurazione, Vienna, iniziando con alcune manifestazioni studentesche.

Il cancelliere Metternich convocò alla Cancelleria di Stato i professori dell’università per invitarli ad adoperarsi per calmare gli studenti: il 12 marzo, mentre Metternich parlava, le porte della sala si aprirono all’improvviso ed essa fu invasa da una folla di giovani, che improvvisarono un comizio nel corso del quale venne formulata una petizione alla Dieta degli Stati provinciali dell’Austria inferiore, convocata per il giorno dopo, ed in cui si chiedevano Costituzione, libertà di stampa, uguaglianza dei diritti civili e delle confessioni religiose ed unione politica degli Stati tedeschi.
Il giorno successivo, il 13, gli studenti si astennero dalle lezioni ed organizzarono un corteo, a cui si unirono altri comuni cittadini, molti operai ed ebrei; l’esercito intervenne, ed i dimostranti si diressero alla Cancelleria, tenendo un discorso proprio sotto le finestre di Metternich, chiedendo le sue dimissioni.
Venne chiesto e non ottenuto il ritiro dell'esercito, mentre la Guardia civica assumeva funzioni di polizia; nel pomeriggio la situazione precipitò, e le richieste divennero tre: aumento della guardia civica, armamento degli studenti e dimissioni di Metternich. Per la violenza degli scontri, la corte dell'imperatore Ferdinando I  fu costretta ad accettare tutte le richieste, compresa quella che dimissionava il cancelliere, al potere da quasi quarant’anni: Metternich, che aveva servito l’Austria durante tutta la sua vita, non fece difficoltà, ed accettò di firmare le sue dimissioni, commentando: "Non avrei potuto fare nulla per evitare le concessioni che ci condurranno necessariamente alla rovina. Ho evitato così la vergogna di sottoscriverli".

Il 14 marzo fu annunciata con un proclama imperiale la concessione della libertà di stampa, fu istituita la Guardia nazionale e convocati gli Stati provinciali di tutto l’impero, mentre Metternich era costretto a rifugiarsi all’estero; il governo oscillava ancora tra l'idea della repressione e la capitolazione, con l'esercito che veniva preparato per assediare Vienna, ma alfine, venne annunciata la concessione della Costituzione e la convocazione dei deputati di tutti i paesi per il 3 luglio.
La concessione costituiva una brillante mossa per prendere tempo, ma venne accolta con delusione, tanto più che il manifesto conteneva anche un bando minaccioso del generale Windischgratz, che comandava le truppe acquartierate intorno a Vienna; gli studenti assunsero quindi un atteggiamento minaccioso, che determinò la promulgazione nel pomeriggio di un nuovo bando imperiale, che annunciava l'immediata convocazione dei deputati.

Il giorno 15 vi furono tumulti a Budapest, e le promesse del governo imperiale di concedere una costituzione ed un parlamento nazionali non bastarono a fermare l’agitazione autonomistica.


Il patriota ungherese Kossuth

Sotto la spinta dell’ala democratico-radicale, che faceva capo a Kossuth, i patrioti ungheresi profittarono della crisi in cui versava il potere centrale per creare un governo nazionale ed agire in totale autonomia da Vienna; fu decretata la fine dei rapporti feudali nelle campagne, misura che assicurò l’appoggio dei contadini, ed in luglio venne organizzato anche un esercito nazionale.
La legge che sanciva l'autonomia ungherese fu firmata dall'imperatore l'11 aprile.

A Praga, dopo che il 19 marzo i cittadini avevano inviato una petizione all’imperatore chiedendo autonomia e libertà politiche, in aprile venne formato un governo provvisorio: i patrioti cechi, in maggioranza di orientamento liberale, non mettevano in discussione il vincolo con la monarchia asburgica, ma si limitavano a chiedere più ampie autonomie per le popolazioni slave dell’impero, ed una parificazione tra nazionalità ceca e tedesca.
Una deputazione inviata a Vienna ai primi di aprile, ottenne un parlamento nazionale ed organi esecutivi centrali per la Boemia.

Capo del governo a Vienna, dopo la caduta del Cancelliere artefice della restaurazione, era Kolowrat, un uomo che aveva governato, se pure con un potere inferiore, insieme a Metternich prima della rivoluzione, ed anche gli altri dicasteri chiave erano in mano a uomini dell'ancien régime. Anche dopo la sua cacciata, il suo posto fu preso da altri rappresentanti di quell'idea tipicamente settecentesca dell'assolutismo illuminato, che erano però invariabilmente distanti dai liberal-democratici.
Il governo propose una Costituzione il 25 aprile: essa stabiliva un ordinamento a due camere, delle quali la prima era di nomina imperiale, la seconda eletta su base censitaria. Tale progetto incontrò una immediata resistenza dei democratici, che chiedevano il suffragio universale; su una situazione già tesa, un ordine di scioglimento del "Comitato centrale", costituito per controllare il governo, emesso il 14 maggio, provocò il giorno successivo una seconda insurrezione, a cui parteciparono guardie nazionali, studenti e operai, che chiedevano il ritiro dell'ordine e l'elezione di un Reichstag monocamerale eletto a suffragio universale: i comandi militari non garantirono una resistenza vittoriosa, ed il primo ministro capitolò.
Un proclama imperiale del 16 maggio concedeva una Costituente eletta a suffragio universale; il giorno successivo, però, l'imperatore abbandonò Vienna rifugiandosi ad Innsbruck.


L'imperatore austriaco
Ferdinando I

La sua fuga determinò la nascita a Vienna di un forte movimento autoritario ed antirivoluzionario, il cui tentativo, il 26 maggio, di sciogliere nuovamente una organizzazione rivoluzionaria, la Legione accademica, scatenò un'altra rivolta. Essa si propagò in tutta la città, specialmente tra operai e studenti, e le barricate furono erette di nuovo, nel timore di una repressione militare: il governo però cedette nuovamente, annullando il decreto e ritirando le truppe.

 

 

Mentre la situazione si evolveva in tal senso a Vienna, nei paesi slavi incalzavano più che mai gli autonomismi nazionali, tanto che la Costituzione era stata osteggiata perché centralistica e favorevole alla supremazia dell'elemento tedesco. Accadde quindi, per quanto ciò possa sembrare paradossale, che la rivolta viennese del 15 maggio produsse a Praga nell'elemento nazionale ceco una esplosione di lealismo dinastico, con proclama di fedeltà verso l'imperatore emanati dal Comitato nazionale. Il lealismo, tuttavia, si associò ad un rafforzamento della spinta autonomistica, che determinò l'insediamento a Praga di un Consiglio provvisorio di governo, nella considerazione che il governo imperiale di Vienna non era più libero. Tale Consiglio si insediò il 29 maggio, mentre il 2 giugno si riunì a Praga un congresso cui parteciparono delegati di tutti i territori slavi soggetti al governo asburgico, sia quelli settentrionali di Boemia, Slovacchia, Galizia e Rutenia che quelli meridionali, di Croazia e Slovenia. Venne presentata al Congresso slavo una proposta di comitato per la conclusione di un'alleanza tra tutti gli slavi dell'Austria, e per una ricostruzione  federale dell'impero.

Il Reichstag, convocato per la prima volta all'inizio di luglio, incontrò però sul suo cammino una pietra di scandalo, su cui la rivoluzione avrebbe urtato, traballato e fallito: tale inciampo era costituito dal problema della nazionalità, vissuto in uno stato multinazionale come l'impero Asburgico in modo così intenso da far naufragare fin da principio il piano democratico europeo dell'accordo fra i popoli contro i governi assolutistici.
A Vienna, infatti, si pensava e diceva che la rivoluzione era stata fatta in vantaggio di tutti, mentre a Praga e a Zagabria quella stessa rivoluzione era malvista, perché si trattava di un movimento tedesco, di nazionalismo germanico, dal quale si temeva il decisivo fallimento delle proprie aspirazioni; mentre a Vienna, dunque, si mirava ad indebolire la dinastia imperiale, a Praga e a Zagabria si guardava invece ad essa come ad un baluardo contro il germanesimo centralizzatore ed oppressore. In Boemia ed in Croazia si aspirava ad una conservazione a qualunque prezzo dell'Austria, capace di neutralizzare la predominanza tedesca e possibilmente di evolversi in Stato a predominanza slava: l'idea del preparlamento tedesco di unire alla nuova Germania unificata anche gli stati slavi sotto il dominio austriaco aveva incontrato il più secco rifiuto dei patrioti cechi.
I Serbi, per citare qualche esempio, convocarono una Assemblea nazionale dei Serbi d'Austria-Ungheria, che proclamò la Serbia nazione libera e indipendente sotto lo scettro degli Asburgo; analoghe iniziative furono prese dai Valacchi e dai Croati, che si opponevano ad un'assemblea unificata ungherese.
Questo cozzo di nazionalità l'una contro l'altra mostra chiaramente come dalla fase delle nazionalità si stesse passando rapidamente a quella dei nazionalismi, cioè della negazione del principio di nazionalità, in quanto se ne afferma una a scapito di tutte le altre. Veniva così a mancare la possibilità tra popoli insorti contro i governi assolutistici, e veniva così rinforzata materialmente e moralmente la posizione di questi: questa situazione era la più adatta a mantenere la compattezza dell'esercito austriaco. A causa di tale situazione, il Reichstag riuscì a varare soltanto una norma circa l’abolizione della servitù della gleba in tutti i territori dell’impero, dando il tempo al governo di riprendere in mano la situazione.

A metà giugno assistiamo così, per questo concorso di cause, alla prima vittoria del vecchio sistema sui movimenti popolari, nata da un conflitto a Praga tra il patriottismo indipendentistico della gioventù boema, eccitato dal congresso panslavo, e la durezza del comandante supremo imperiale in Boema, principe Windischgratz: gli studenti chiesero il ritiro delle misure poliziesche da lui emanate e la distribuzione delle armi. Al suo rifiuto, il 12 giugno, si formò un grande agglomerato di dimostranti, con costruzione di barricate, a cui seguirono, il giorno successivo, trattative, che proseguirono fino al 14. Al fallimento di ogni accordo, Windischgratz assediò e bombardò la capitale Boema, ottenendone la resa incondizionata il 17 giugno; ad essa seguì un periodo di legge marziale, con arresti in massa; la Guardia nazionale fu sciolta, i circoli chiusi, il congresso slavo disperso ed il governo ceco sciolto d’autorità.

Dopo aver eliminato il pericolo ceco e ripreso il controllo del Lombardo-Veneto, il governo imperiale si accinse alla repressione del moto ungherese, che aveva ottenuto una quasi totale autonomia e la convocazione di una Dieta a Pest, il 5 luglio, sotto la presidenza di Batthyany; per questo Vienna rafforzata dai successi riportati in Italia e dal ritorno alla normalità della situazione interna, sferrò il primo colpo contro gli ungheresi privando di autonomia il loro sistema legislativo. La reazione ungherese fu affidata ad una delegazione inviata all'imperatore, che non ottenne che vaghe promesse; contemporaneamente il capo croato Jellacic, con l'approvazione imperiale passò con le sue truppe la Drava e invase l'Ungheria, iniziando così la guerra tra croati e magiari. Un tentativo di mediazione di Kossuth fallì per la forte volontà imperiale di riprendere saldamente in mano il potere in Ungheria, eliminando le nuove autonomie locali; con un decreto del 3 ottobre Ferdinando scioglieva la Dieta ungherese e ne annullava le deliberazioni, proclamando lo stato d'assedio in tutto il regno d'Ungheria ed affidandone l'esercito a Jellacic. Il parlamento ungherese rifiutò le decisioni imposte da Vienna affidando al Comitato di difesa, presieduto da Kossuth, il pieno potere esecutivo. La funzione antiaustriaca che l'Ungheria andava assumendo, provocò l'entusiasmo dei patrioti italiani, che rivolsero ai soldati ungheresi di Radetzky l'invito all'insurrezione.

Questo conflitto imperiale-ungherese provocò ai primi di ottobre una ripresa della rivoluzione a Vienna, rivoluzione che fu l'ultima e terminò con una catastrofe; nella capitale, non erano mancati ad agosto e settembre incidenti tumultuosi, ed il radicalismo viennese era arrivato a fraternizzare con l'indipendentismo ungherese, con una solidarietà tra cause nazionali che aveva fatto acuire il dissidio con un altro nazionalismo, quello slavo-croato, che, come abbiamo visto, era alleato della Corte austriaca.
Quando dunque il ministro della guerra austriaco generale conte Latour, per andare in soccorso di Jellacic, costretto a ripiegare dall'Ungheria in Austria, ordinò ad una parte della guarnigione di Vienna di mettersi in marcia, il gesto fu interpretato come una doppia provocazione, che scatenò il 6 ottobre un moto rivoluzionario, cui parteciparono studenti, la Guardia nazionale e molti operai: primo obiettivo fu proprio il generale Latour, che venne massacrato dal popolo inferocito, mentre la presa dell'arsenale fornì ai rivoltosi armi in abbondanza. Mentre l'imperatore fuggiva da Schönbrunn, seguito da molti membri del governo e da molti deputati, a Vienna si formava un Comitato insurrezionale, che prese il comando anche della Guardia nazionale.
Vienna era nel frattempo stretta da un cerchio di ferro, circondata a nord da Windischgratz e da sud da Jellacic, al seguito del quale erano milizie di tutte le nazioni dell'impero, persino polacchi e italiani.
Windischgratz fu nominato comandante supremo e, al fallimento di ogni trattativa, ordinò l'attacco: nonostante la resistenza accanita, le truppe in una settimana presero la città, arrivando la sera del 29 ad occupare i sobborghi e le opere di difesa più esterne. La resa fu decisa il giorno dopo, ma una improvvisa notizia circa l'arrivo di un soccorso ungherese fece riprendere le armi: in realtà le poche truppe ungheresi vennero facilmente respinte e la occupazione della città continuò, terminando il giorno successivo. Il 2 novembre entrava in Vienna lo stesso Jellacic.
Le vittime furono circa duemila, a cui vanno aggiunti gli arresti in massa eseguiti dopo la proclamazione della legge marziale; molti giornali scomparvero, ed il Reichstag fu trasferito in Moravia.

Il governo austriaco, presieduto dall'energico Schwarzeberg dal 21 novembre, doveva affrontare ancora gravi e molteplici compiti: consolidare la situazione interna, domare l'Ungheria e far fronte alla situazione tedesca. Il primo ministro presentò il 27 il suo progetto di monarchia costituzionale, liberale e popolare, che unisse tutti i paesi e tutte le stirpi in un unico corpo statale e sancisse l'uguaglianza di tutti i cittadini innanzi alla legge e la parificazione di tutti i popoli: la sua idea fondamentale era appunto quella di un unico corpo statale, cioè del ritorno alla centralizzazione tramite la parificazione e la rappresentanza comune.

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Il primo ministro austriaco
Schwarzenberg

Tali idee furono ribadite dal proclama del nuovo imperatore, Francesco Giuseppe, succeduto a Ferdinando dopo la sua abdicazione del 2 dicembre: lo stesso Schwarzenberg, d'accordo con la Corte e l'esercito, aveva organizzato la successione, per poter così restaurare completamente l'autorità imperiale.

Il nuovo imperatore gestì con abilità anche la situazione ungherese, dichiarando di voler liberare con le armi l'Ungheria dalla "opposizione tirannica dei ribelli"; di fronte a questo gesto, la dieta di Pest non seppe fare di meglio che impugnare il titolo del nuovo re, perché l'abdicazione e la successione erano avvenute senza il consenso della nazione ungherese, e dichiarando dunque nulli tutti i suoi atti.
Le operazioni militari, condotte dall'onnipresente Windischgratz, procedettero così favorevolmente che il governo ungherese fu costretto, nel gennaio del 1849, ad abbandonare Budapest, in cui fecero ingresso il 5 gennaio Windischgratz e Jellacic. La guerra, che sembrava destinata ad una rapida conclusione, continuò in realtà per molti mesi con alterne vicende, prima vittorie ungheresi, poi riscossa austriaca alla fine di febbraio, poi ancora vittorie ungheresi ad aprile, con la caduta di Pest e la destituzione di Windischgratz, sostituito dal generale Welden. Kossuth, il 14 aprile, riuscì a far decretare dal parlamento la decadenza della dinastia asburgica, scontrandosi però con il suo comandante in capo, Gorgey; la fine della resistenza ungherese fu decisa dall'incontro tra il nuovo imperatore austriaco e lo Zar, che fornì il suo aiuto militare: le truppe russe attraversarono i Carpazi indifesi alla metà di giugno, e si congiunsero con gli imperiali ad agosto, dopo aver sconfitto ripetutamente le armate ungheresi.
Gorgey, che era riuscito infine a far cadere il governo di Kossuth e a prenderne il posto, dovette firmare il 13 agosto la resa nelle mani dei russi a Vilagros. Gli ultimi capisaldi della resistenza caddero alla fine di settembre, e la repressione austriaca, culminata nelle impiccagioni di Arad, fu implacabile.


Un ritratto dell'imperatore
austriaco Francesco Giuseppe

Contemporaneamente alla battaglia militare per la riconquista dell'Ungheria, Schwarzenberg condusse quella politica e diplomatica per la riconquista della Germania: di fronte ai progetti "piccolo tedeschi" che di fatto estromettevano l'Austria dal nuovo Stato, il primo ministro austriaco dichiarò ufficialmente il 13 dicembre che l'Austria intendeva far parte della nuova confederazione così come aveva fatto parte dell'antica, volendo naturalmente impedire che la corona imperiale tedesca finisse in altre mani.

Nel frattempo, la Dieta austriaca, trasferita in Moravia, aveva elaborato un progetto di diritti fondamentali come preambolo alla Costituzione, ed un progetto costituzionale che non era affatto ultrademocratico, e prevedeva una Camera popolare eletta a suffragio ristretto ed una Camera dei Paesi, costituita dai delegati delle Diete.
Improvvisamente, il 7 marzo, il Reichstag fu sciolto manu militari, e lo stesso giorno fu pubblicata una Costituzione, che risultava essere molto meno liberale e più centralizzata di quella preparata dall'Assemblea. Il 9 Schwarzenberg inviò a Francoforte una nota che esigeva l'entrata nella nuova Confederazione germanica di tutto l'impero austriaco, con la sua nuova Costituzione unitaria, ed accettava l'esistenza di una unica Camera degli Stati in cui l'Austria doveva avere la maggioranza assoluta.
Quando Schwarzenberg richiamò, il 5 aprile, i deputati austriaci a Francoforte, determinò la rapida fine dell'Assemblea costituente germanica, che fu sciolta il 18 giugno.