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Il '48 in Italia

 

Il 6 giugno del 1846 dopo un breve Conclave fu eletto papa Pio IX, che influenzato dalla lettura del Primato giobertiano, diede l'impressione di poter far assumere al papato un ruolo di primo piano nell'unificazione dell'Italia. Generò intorno a sé un forte apprezzamento per le timide riforme liberali che introdusse nello Stato Pontificio, uno fra i regni più reazionari e conservatori dell’intera penisola. I principali risultati della sua azione riformatrice furono una larga amnistia nei confronti dei condannati per motivi politici, la costituzione di una commissione per studiare la realizzazione di una linea ferroviaria, da sempre osteggiata dai precedenti pontefici, l’emanazione di un decreto che concedeva una limitata libertà di stampa e migliorie nell’apparato burocratico dello Stato. Ma le sue timide iniziative furono travisate dalla popolazione: essa si illuse che il sogno di Gioberti si fosse avverato e che il papa fosse l'atteso liberatore d'Italia. Metternich stesso si allarmò e fece occupare Ferrara nell'agosto '47, sperando di arrestare l'ondata di entusiasmo suscitata dalla politica liberale del papa. Ma la sua politica di potenza non sortì l'effetto sperato: servì solo ad aumentare l'odio popolare nei confronti dell'Austria. Il papa, invece, ricevette messaggi di solidarietà e disponibilità militare da Carlo Alberto, già da tempo in aperto contrasto con l'Austria per questioni economico-commerciali, da Garibaldi e da Mazzini, che lo esortò a farsi iniziatore dell’Unità italiana. Incoraggiati da questi presupposti, i cittadini di varie città italiane diedero vita a rivolte e manifestazioni in cui era sempre presente il grido "Viva Pio IX", divenuto oramai lo slogan dei liberali di tutta Italia. A Milano nel dicembre del '46 scoppiarono tumulti in occasione dei funerali del patriota Federico Confalonieri, delle cerimonie per la nomina ad arcivescovo dell’italiano Romilli (al quale Vienna avrebbe preferito il principe Schwarzenberg) e delle commemorazioni per il Parini; alla base di tutte queste azioni ci furono forti sentimenti patriottici. Accaddero successivamente ben più gravi avvenimenti all’inizio del ’48 sempre a Milano, dove i cittadini nell’intento di danneggiare finanziariamente il governo asburgico organizzarono uno "sciopero del fumo" che suscitò una reazione alquanto violenta delle truppe austriache sulle quali, secondo un comunicato dello stesso imperatore, la corona faceva affidamento per ogni evenienza. Il governo austriaco, come ci testimonia Cesari Correnti, divenne nemico per natura, per elezione, per necessità del popolo lombardo. Più tranquillo si mantenne il Veneto, mentre in Toscana, dove i regnanti si mostrarono più tolleranti, si svilupparono moti patriottici e liberali che indussero Leopoldo II a concedere maggiori libertà di espressione e a sopprimere i corpi di polizia segreta.
Nella vicina Lucca Carlo Ludovico cedette alle manifestazioni di piazza dell’agosto ’47 concedendo promesse di ampie libertà, mentre a Parma e Modena i governi decisero di far fronte alle manifestazioni con le consuete repressioni poliziesche, che si dimostrarono inadeguate alla gravità della situazione.
Avvenimenti importanti in senso riformatore furono la legge comunale del 27 novembre 1847, che concesse la libertà di stampa e portò dunque a una più vasta diffusione degli ideali liberali grazie alla pubblicazione di giornali, e i preliminari di una lega doganale italiana posti da Carlo Alberto, Pio IX e Leopoldo II il 3 novembre del 1847.
Inoltre Carlo Alberto si vide costretto ad essere ancora più benevolo per non lasciarsi sopravanzare nell'opinione pubblica da Ferdinando II che, dopo la rivolta del 12 gennaio 1948 a Palermo, era pronto a concedere lo statuto.

 

 

I moti del Mezzogiorno furono alquanto confusi: non si può parlare infatti di consapevole antagonismo fra movimenti politici avversi, bensì di un'opinione pubblica favorevole alle riforme di carattere costituzionale e di gruppi conservatori ligi alla Corte. Per quanto riguarda il settore liberale, questo si definì nelle sue sfumature d'opinione in base al verificarsi degli avvenimenti esteri. Napoli non si ribellò, poiché vi erano troppi reparti militari ed una polizia forte, ma vi fu una grande manifestazione il 27 gennaio 1848, dopo che Ferdinando, per ingraziarsi i liberali, aveva mandato in esilio due personaggi molto invisi, il capo della polizia marchese Del Carretto ed il suo confessore monsignor Cocle; la manifestazione sfilò lungo via Toledo verso Palazzo Reale, sotto una pioggia scrosciante ed inneggiando alla Costituzione. La sera stessa Ferdinando convocò il consiglio dei ministri e accolse il consiglio di concedere la Costituzione. Questo gesto, di un re mediocre, che nulla aveva fatto nei suoi diciassette anni di regno, incapace di cogliere le necessità del suo regno e di assecondarle, provocò notevoli difficoltà a Carlo Alberto ed al papa Pio IX, mentre gli Austriaci a Milano ed a Venezia svolgevano un’azione preventiva arrestando i patrioti più in vista. Il vero problema per la Costituzione napoletana fu di essere stata redatta da Francesco Paolo Bozzelli. Ministro degli Interni dal 27 gennaio 1848, e liberale di fama, questi si ispirò alla "carta" costituzionale utilizzata da Luigi Filippo, basata ancora sulla concezione di uno stato forte e accentrato e sul sistema elettivo censitario. Il Regno di Napoli si trovò dunque ad avere una costituzione che favoriva le posizioni moderate e conservatrici più che il liberalismo meridionale; d'altronde proprio in quel periodo il modello di Costituzione cui si ispirò il legislatore napoletano venne data come superata negli ambienti liberali europei e soprattutto in Francia. Per questo si ebbe un diffuso malumore tra i democratici del Regno che reclamarono una più diretta partecipazione al problema nazionale, un allargamento delle basi del suffragio, una maggiore limitazione dei poteri della corona.

Le costituzioni concesse da Leopoldo II in Toscana, Carlo Alberto in Piemonte ed infine da Pio IX, presero a modello la costituzione francese del 1830. Queste decisioni furono prese non tanto per una convinzione politica ma semplicemente per alleggerire la pressione popolare divenuta insostenibile anche a causa del carattere troppo moderato degli statuti, che apparvero un compromesso diretto a frenare il movimento riformatore. Per quanto riguarda il Lombardo-Veneto, rimasto totalmente avulso al movimento liberale a causa della rigida politica imperiale, oltre alle insurrezioni milanesi, anche a Venezia si verificarono dei moti vittoriosi, guidati da Niccolò Tommaseo e Daniele Manin. I moti furono ispirati da programmi politici differenti: a Napoli, Torino, Roma e Firenze prevalsero le teorie giobertiane, nel Lombardo-Veneto e nei ducati quelle mazziniane. La mancanza di un piano prestabilito e di una direzione politico-militare delle rivoluzioni scoppiate simultaneamente in tante città secondo il concetto mazziniano, trovò all'atto pratico i suoi limiti nel difetto organizzativo. Ma la necessità incombente di proseguire l'azione contro l'Austria impose il ricorso all'opera dei principi, sfruttando cioè le forze di tutti i piccoli stati italiani riuniti in una specie di federazione. Il 23 marzo il Piemonte dichiarò guerra all'Austria e diede dunque inizio alla prima guerra d'Indipendenza. Diverse furono le ragioni che spinsero Carlo Alberto a questa decisione: la pressione dei liberali e democratici, la tradizionale aspirazione della monarchia sabauda ad allargare verso est i confini del Regno, il timore che il Lombardo-Veneto diventasse un centro di agitazione repubblicana. Per aiutare il re sabaudo si mossero, oltre a folte colonne di volontari, anche Ferdinando II, Pio IX e Leopoldo II.


Una immagine del Maresciallo
Radetzky

Carlo Alberto mostrò scarsa risolutezza nel condurre le operazioni militari, permettendo a Radetzky di riorganizzare le sue truppe, e si preoccupò soprattutto di preparare l'annessione del Lombardo-Veneto al Piemonte, suscitando l'irritazione dei democratici e la diffidenza degli altri sovrani. Incominciarono, quindi, a estromettersi dal conflitto alcuni principi tra i quali anche Pio IX, che annunciò il ritiro delle sue truppe il 29 aprile poiché si trovò in una situazione particolarmente imbarazzante a dover combattere contro una grande potenza cattolica; rimasero tutti i volontari e giunse addirittura dal Sud America Garibaldi. Dopo alcuni modesti successi iniziali dei piemontesi l'iniziativa tornò nelle mani dell'esercito asburgico che il 23-25 luglio, nella prima grande battaglia campale a Custoza, sconfisse clamorosamente il disorganizzato esercito sabaudo che firmò il 9 agosto un armistizio con i rappresentanti austriaci. Il 20 marzo del 1849 Carlo Alberto, schiacciato fra le pressioni democratiche e l'intransigenza dell'Impero, che pose condizioni molto pesanti per la firma della pace, si decise a tentare di nuovo la via delle armi. Penetrate in territorio piemontese, le truppe di Radetzky affrontarono l'esercito sabaudo il 22-23 marzo nei pressi di Novara e gli inflissero una gravissima sconfitta. La stessa sera del 23 marzo, Carlo Alberto, per non mettere in pericolo le sorti della dinastia, abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele II, che il giorno dopo giunse ad un nuovo armistizio con gli austriaci. Una rivolta democratica scoppiata a Genova fu duramente repressa dall'esercito. Liquidata la partita del Regno sabaudo, gli asburgici poterono procedere alla restaurazione dell'ordine in tutta la penisola. Alla fine di marzo un'insurrezione a Brescia fu schiacciata dopo durissimi combattimenti: le "dieci giornate" di Brescia. In aprile le truppe imperiali strinsero d'assedio Venezia, che resistette eroicamente per circa cinque mesi e si arrese per fame solo ad agosto; in maggio occuparono il territorio delle Legazioni pontificie (Bologna, Ferrara, Romagna, Marche settentrionali) e contemporaneamente posero fine all'esperienza della Repubblica toscana. Più lunga e gloriosa fu la resistenza della Repubblica romana, divenuta il centro principale della rivoluzione democratica e il luogo d'incontro di esuli e cospiratori di tutta Italia. Questa Repubblica, nata nel gennaio del 1849 in tutti i territori dell'ex Stato pontificio, fu eletta a suffragio universale e fu il primo passo verso la realizzazione di quella "Costituente italiana" che avrebbe dovuto fondare la costruzione dell'unità nazionale su basi democratiche e non dinastiche. L'azione di questo nuovo governo, in cui spiccarono figure come quelle di Mazzini e Garibaldi, si mosse verso un'opera di laicizzazione dello stato, con l'abolizione dei tribunali ecclesiastici e la confisca dei beni del clero, e di rinnovamento  politico-sociale, con un progetto di riforma agraria che prevedeva la concessione delle terre confiscate  alle famiglie più povere. Purtroppo Pio IX, dall'esilio di Gaeta, chiese aiuto alle potenze cattoliche per potersi ristabilire negli ex territori pontifici. A questa richiesta rispose la Francia  clerico-conservatrice del presidente Bonaparte, che agli inizi di giugno pose in assedio Roma; gli assediati resistettero per circa un mese, ma il 4 luglio, dopo che l'Assemblea costituente ebbe approvato il testo della nuova costituzione, si arresero e permisero ai francesi di entrare nella capitale.